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Repubblica-Il Cavaliere parla al popolo per battere il fantasma del '94

Il Cavaliere parla al popolo per battere il fantasma del '94 CON il secondo messaggio a reti unificate di questa legislatura, un Berlusconi sorprendentemente misurato e responsabile ha annunci...

30/09/2003
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la Repubblica

Il Cavaliere parla al popolo per battere il fantasma del '94

CON il secondo messaggio a reti unificate di questa legislatura, un Berlusconi sorprendentemente misurato e responsabile ha annunciato alla nazione la riforma delle pensioni targata Casa delle Libertà. "Riforma necessaria, ma giusta", ha detto il presidente del Consiglio. Nelle stesse ore Cgil, Cisl e Uil hanno di fatto già proclamato lo sciopero generale. La sequenza dei due eventi spiega tutto. "Impadronendosi" degli schermi Rai, il premier ha usato un'arma mediatica spettacolare e irrituale. Forse lo ha convinto un pretesto occasionale: distrarre l'attenzione degli italiani da un blackout energetico nel quale Palazzo Chigi ha brillato per la sua assenza. Sicuramente lo ha spinto una paura fondamentale: finire travolto da una protesta sindacale che conquista l'opinione pubblica e devasta la maggioranza. È questo il vero movente del messaggio berlusconiano. Il fantasma del '94
Il terrore è che, oggi come allora, la spallata della piazza possa costargli il governo del Paese. Per esorcizzarlo, il Cavaliere ha scelto la strada che pratica meglio. Ha guardato una telecamera, e ha parlato direttamente alla "gente". By-passando il confronto con l'opposizione e dando per scontata la contesa con Epifani, Pezzotta e Angeletti. Nel populismo berlusconiano c'è spazio per la "rappresentazione", ma non più per la concertazione. È la formula del "contratto sociale continuo" e diretto. La inaugurò lo stesso Berlusconi con lo show a "Porta a porta" del maggio 2001, quando sottopose ai cittadini un "contratto elettorale" con tanto di clausole e firme. La consacrò Tremonti con la comparsata al Tg1 del luglio 2001, quando spiegò alla lavagna che il centrodestra aveva ereditato dal centrosinistra un "extradeficit" clamoroso (ma altrettanto fumoso).
Questa volta il Cavaliere ha almeno il merito di aver parlato un linguaggio chiaro e non esasperato. Coerente, anche se non del tutto rassicurante. Con la sua collaudata attitudine trasfigurativa e fiabesca della realtà, Berlusconi avrebbe potuto inscenare la sua solita fiction propagandistica, infarcita bugie o di messaggi non veri ma verosimili. Con la sua nota strategia della demonizzazione del nemico, avrebbe potuto scaricare tutte le colpe sugli appositi "comunisti", colpevoli di aver svuotato le casse dello Stato. Con la sua consueta tattica della de-responsabilizzazione, avrebbe potuto collocare nella matrigna Europa quella "volontà superiore" che impone un sacrificio ai padri di oggi, per assicurare un futuro migliore ai figli di domani.
Il premier, ieri sera, non ha fatto niente di tutto questo. Ha spiegato agli italiani che la ragione principale, che giustifica un intervento correttivo sulla previdenza, sta nella demografia del Paese e non nell'apologia del conflitto. Ha spiegato che senza una riforma lo Stato sarebbe caricato di spese eccessive, e non avrebbe più risorse per garantire i servizi nella sanità, nella scuola, nella sicurezza. Ha spiegato che Francia, Germania e Austria l'hanno già fatta, con "governi di centrodestra e di centrosinistra". Ha compiuto, forse per la prima volta da quando governa, una forte assunzione di responsabilità: "Il governo sente il dovere di intervenire, nell'interesse di tutti gli italiani", ha detto. In questa assunzione di responsabilità c'è una triplice implicazione.
1) La prima riguarda la maggioranza. In questo messaggio, Berlusconi chiama a raccolta i suoi alleati: per fronteggiare l'urto della piazza servirà coesione. Molto più di quella, pressochè inesistente, di cui la Cdl ha dato prova in queste ultime settimane. Almeno sulle pensioni, visto che c'è il consenso di Bossi (colpevole di aver tradito la coalizione nove anni fa) non sarà ammesso il "fuoco amico". Il segnale, chiarissimo, è soprattutto ai centristi dell'Udc: ora che la maggioranza ha perso il sostegno della Cisl, Casini e Follini non si facciano condizionare dai mal di pancia di D'Antoni, né si lascino ammaliare dalle sirene di Pezzotta.
2) La seconda riguarda proprio il sindacato. Berlusconi punta ad aggirare l'opposizione sociale. Scommette sul deficit di rappresentanza della vecchia "Triplice" confederale, ricompattata sulla linea dura e oltranzista della Cgil. Sollecita il consenso non mediato dell'opinione pubblica. Spera di evitare che Epifani, Pezzotta e Angeletti riescano a portare in piazza qualche milione di persone, come fecero nel '94 Cofferati, D'Antoni e Larizza. Se lo sciopero generale fallisse, il premier avrebbe finalmente elaborato quel "lutto" politico che lo tormenta da allora. Per il suo governo, avvelenato dai sospetti reciproci, logorato dalle guerre intestine e paralizzato dalle inefficienze diffuse, sarebbe l'ultima e l'unica occasione di riscossa in vista delle sfide elettorali di primavera.
3) La terza implicazione riguarda l'opposizione politica. Nel merito si può discuterese la riforma del Polo sia veramente "giusta", come dice il Cavaliere. Quello che non si può più negare è che una riforma sia "necessaria". Lo sa anche l'opposizione, che ha il pieno diritto di contestare il dettaglio "tecnico" ma che farà bene a non trincerarsi dietro a un vecchio slogan che non ha aiutato l'evoluzione riformista del centrosinistra: "le pensioni non si toccano". Semmai, quello che l'Ulivo dovrà fare è incalzare il governo su un tema colpevolmente trascurato dal premier nel suo messaggio: la previdenza complementare. Nella sua unica scivolata da "televenditore", Berlusconi ha spacciato l'incentivo del 32,7% per chi deciderà di continuare a lavorare come una vincita al Superenalotto. Al contrario - visto che ai futuri pensionati sarà chiesto comunque un sacrificio - avrebbe dovuto assumere solennemente l'impegno a lanciare il "secondo pilastro" del sistema. Non l'ha fatto. E su questo il centrosinistra farà bene a non dargli tregua in Parlamento.


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