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Repubblica-E Ingrao sfida la coalizione -Dobbiamo aiutare Saddam

L'INTERVISTA "Il presidente Usa è l'aggressore, non deve passarla liscia" E Ingrao sfida la coalizione "Dobbiamo aiutare Saddam" hitler Non paragono il presidente Usa a Hitler, ma mi inter...

03/04/2003
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la Repubblica

L'INTERVISTA
"Il presidente Usa è l'aggressore, non deve passarla liscia"
E Ingrao sfida la coalizione "Dobbiamo aiutare Saddam"

hitler Non paragono il presidente Usa a Hitler, ma mi interrogo sulla superpotenza America
GOFFREDO DE MARCHIS

ROMA - Cessate il fuoco, ripresa delle trattative? "Per carità, sono tutte iniziative meritevoli. Ma ormai c'è poco da fare". O meglio, qualcosa si può e si deve fare, spiega Pietro Ingrao, leader storico del pacifismo e padre nobile della sinistra. Lo ha scritto ieri sul Manifesto in un breve corsivo: "Mi auguro ardentemente che il popolo iracheno resista all'aggressore fino all'ultimo minuto. L'impunità per gli aggressori sarebbe proprio il peggio. E io sono un pacifista, non un calabrache".
Di fronte alla sua presa di posizione, lo slogan "né con Bush né con Saddam" impallidisce, è persino moderato.
"Dobbiamo guardare in faccia le cose e dirci la verità per amara e dolorosa che sia. A fermare la guerra americana bisognava riuscirci prima. Non ci siamo riusciti, anzi alcuni o parecchi nel mondo non l'hanno nemmeno voluto o tentato. Ora dubito fortemente che gli americani si fermino prima di entrare a Bagdad. E in ogni modo anche questo risultato assai difficile dipende prima di tutto, e in modo per me lampante, dalla resistenza irachena sul campo".
Questo significa che Saddam Hussein deve vincere la guerra?
"Io dico un'altra cosa. Chi vuole veramente fermare la guerra prima di tutto deve aiutare gli iracheni nella loro resistenza civile ed armata. E, per quanto è possibile, far sentire che il mondo è vicino a loro nella tragedia e nella prova. Se gli iracheni si sfarinano, l'arroganza della Superpotenza americana diventerà ancora più grande. Bisogna fare in fretta perché non stiamo parlando di anni ma di giorni, forse addirittura di ore. E me lo lasci dire: resistere agli aggressori è da millenni la prima condizione per la pace. Questa verità io l'ho imparata duramente di fronte alle panzer divisionen hitleriane".
Bush come Hitler. La pensa come Gino Strada?
"Io non paragono Bush a Hitler, non confondo i due personaggi. Hitler è un'altra cosa. Dico che dobbiamo interrogarci su cosa è diventata l'America, questa Superpotenza economica, militare e politica".
E cosa è diventata: un regime, una dittatura?
"Ci vorrebbe un libro per dire cosa è diventata. È un paese che ha molto contato nella storia e nella modernizzazione, un grande paese e un grande popolo, che oggi però è diretto da un gruppo che ha fatto della guerra preventiva il suo dogma. Io sono anti-Bush, non anti-americano. Anche in America c'è chi resiste a Bush in una maniera che ha sorpreso un po' tutti. Esiste il consenso al conflitto, ma accanto a questo c'è tutta una parte di americani che si esprime criticamente. Con toni anche più aspri di quelli che può usare un europeo come me. Basti pensare alle parole di Chomsky".
Ma la guerra non è stata dichiarata da qualcun altro l'11 settembre, quel giorno non sono stati gli Usa ad essere aggrediti?
"L'11 settembre è stato un evento gravissimo, ma le origini della "guerra preventiva" sono più profonde. Ci sono persino testi teorici che lo confermano. E al tempo stesso c'è tutta la novità della gestione Bush: la guerra preventiva è proposta e dichiarata nei suoi scritti ufficiali, per chi li vuole leggere".
Si rende conto che con la resistenza irachena vince Saddam, il dittatore che ha sterminato il suo popolo, che ha gasato milioni di curdi.
"Il destino di Saddam è scritto, lui è già nella polvere. Il peso di questa guerra non cade su Saddam ma sul popolo che già dal '91 sta patendo. No, io non sono complice del dittatore di Bagdad e se qualcuno vuole divertirsi con questa ipotesi faccia pure, ma sono e restano delle fanciullaggini. Ho fatto tanti errori sulla guerra e sulla pace, ma questo non mi appartiene. Saddam non è della mia parrocchia: è della loro, di chi lo ha sostenuto economicamente, di chi lo ha salvato ancora dopo la prima guerra del Golfo".
L'impunità degli aggressori, scrive lei, sarebbe il peggio. Vuole che le truppe anglomaericane siano castigate con il maggior numero di morti?
"Mi auguro che il martirio di tutti sia il più breve possibile. L'ho scritto sul Manifesto: c'è la grande pietà per le morti di tutte le parti e il pensiero corre ad Antigone. Ma dev'esserci la resistenza. E la cosa che temo maggiormente è che chi ha aggredito la passi liscia. Bisogna resistere: è un verbo che non uso a caso. Resistere come abbiamo fatto noi, anche con l'aiuto decisivo degli americani, aiuto che io non ho assolutamente dimenticato".
Come vanno sostenuti gli iracheni? Andando a Bagdad, manifestando? Come?
"Innanzitutto con la solidarietà umana e politica, poi combattendo contro la guerra americana, schierandosi contro. Nei modi più diversi. Del resto una resistenza nel mondo c'è già. Penso all'Europa, anche a quella che non piace a me, quella di Chirac e di altri. In ogni modo, è sbagliata questa mia convinzione? E sia. Cominciamo allora a discutere subito, da domani mattina, gli atti da compiere per far cessare la guerra. E mi dicano dove e quando ci riuniamo per avviare questo esito: a che ora, in quale luogo, fra chi. E usando quali strumenti: alla Camera, al Senato, al Parlamento europeo, all'Onu. O nei mille comuni italiani o nelle venti regioni e ricorrendo a quali poteri di decisione. Perché in Iraq intanto si spara e laggiù la politica parla ed agisce con le armi. E la parola "disarmo", l'ho detto tante volte amaramente in questi anni, è parola defunta: non la pronuncia più nessuno".


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