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Repubblica-D'Alema: Berlusconi non è un interlocutore credibile

presidente Ds: il sistema giudiziario è in crisi, l'Ulivo stia in campo con le sue proposte "No al tavolo sulla giustizia le riforme si fanno in aula" D'Alema: Berlusconi non è un interlocutore ...

20/11/2002
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la Repubblica

presidente Ds: il sistema giudiziario è in crisi, l'Ulivo stia in campo con le sue proposte
"No al tavolo sulla giustizia le riforme si fanno in aula"
D'Alema: Berlusconi non è un interlocutore credibile

il modello lula Il presidente del Brasile chiede più Europa per equilibrare gli Usa
MASSIMO GIANNINI

ROMA - Presidente D'Alema, ci sono davvero le condizioni per aprire un tavolo di confronto con la maggioranza sulla giustizia?
"Non vedo che bisogno ci sia di aprire "tavoli" particolari. Le riforme della giustizia si discutono in Parlamento, la sede nella quale ognuno ha il diritto e il dovere di presentare le sue idee per rendere più efficace il sistema giudiziario. Tutto il resto sono chiacchiere".
Perché chiacchiere? In fondo Berlusconi dopo la sentenza su Andreotti ha fatto appello "a tutte le forze civili e democratiche".
"Purtroppo Berlusconi non è credibile nei suoi appelli. L'approccio del premier alle questioni della giustizia è stato sempre condizionato da un'utilità particolare e mai da un interesse generale. Il governo non ha fatto nulla per accelerare il corso dei processi. In compenso, per un anno e mezzo la maggioranza ha paralizzato il Parlamento, a discutere di legge Cirami e rogatorie. Questo è intollerabile. Tanto più che, come dimostra l'ultima sentenza della Consulta, non vi era alcun vuoto legislativo da colmare in materia di legittimo sospetto".
Non è che voi dell'Ulivo, in cinque anni di legislatura, abbiate fatto molto di più per migliorare la giustizia.
"Non è assolutamente vero. I nostri governi hanno varato la riforma costituzionale del giusto processo e le riforme della giustizia civile. Abbiamo cominciato a cambiare il sistema. Certo, soltanto cominciato: molte cose restano da fare, a partire da una seria verifica del funzionamento del processo penale di tipo accusatorio. Continuo a pensare che alcune delle ipotesi di riforma che discusse in Bicamerale siano ancora attuali. Berlusconi le bocciò perché gli parvero insufficienti: in realtà, allora come oggi, il suo vero obiettivo era colpire l'autonomia dei giudici".
In ogni caso lei che giudizio dà sulla sentenza di Perugia?
"Aspetto di leggere le motivazioni. Ma è una sentenza che colpisce per la sua durezza e che lascia sconcertati: alla condanna del presunto mandante corrisponde l'assoluzione del presunto killer. E poi arriva dopo 23 anni, in un'epoca storica ormai totalmente mutata. Il che è un segno dell'inefficacia di questo sistema".
Questa condanna non fa passare in secondo piano il giudizio politico su Andreotti, da sempre uno dei vostri avversari "preferiti"?
"Non ho mai pensato che il giudizio storico e politico sulle persone debba essere accertato dalla magistratura e passare attraverso i tribunali. Chi pensa a fare politica nei tribunali non appartiene alla cultura democratica della sinistra alla quale credo io".
Insomma, niente dialogo bipartisan. Questa è la sua linea.
"Che vuol dire "dialogo"? In politica si dialoga sempre. Bisogna vedere con quali contenuti e con quali obiettivi. Sono convinto anch'io che le riforme essenziali per il buon funzionamento della democrazia dovrebbero essere fatte insieme. Ma questa è una posizione di principio: la sua applicabilità pratica, sui temi della giustizia, dipende dall'atteggiamento della maggioranza. Se non cambia, io resterò scettico".
Quindi Fassino ha sbagliato, ad aprire uno spiraglio?
"No, io sono perfettamente d'accordo con Fassino, che ha detto un'altra cosa: la giustizia va riformata".
Con un'altra Bicamerale, magari.
"No, non avrebbe molto senso, neanche dal punto di vista istituzionale, perché la Bicamerale fu studiata come una procedura speciale di riforma costituzionale in deroga all'articolo 138. Ora non vedo proprio né la materia né le condizioni, per procedere ad una scelta analoga. Noi dobbiamo invece evitare qualunque genere di inciucio, e procedere a viso aperto, in Parlamento, con la forza delle nostre proposte. Perché questo ha detto Fassino, e questa è la cosa più importante: il centrosinistra, anche sulla giustizia, deve rilanciare il suo profilo riformista".
In che modo?
"Sarebbe sbagliato che ci schiacciassimo su una posizione di pura difesa dell'esistente, non nel nome della dell'indipendenza della magistratura (che è sacrosanta) ma all'insegna della difesa corporativa del sistema della giustizia. Noi dobbiamo avere a cuore la giustizia dal punto di vista del cittadino".
Il rimedio non sarà la separazione delle carriere tra giudici e pm, ma anche lei è convinto che qualcosa occorra farla al più presto?
"Io sono contrario alla rottura dell'unità della magistratura, che presenta rischi come si è visto nei paesi dove questa separazione è avvenuta. Sono invece per un sistema più attento di distinzione delle funzioni, in modo da evitare che lo stesso magistrato si trovi a esercitare funzioni accusatorie o giudicanti nell'ambito degli stessi uffici. Ho grande rispetto della magistratura, ma non ho un atteggiamento acritico. Per questo non mi stupiscono iniziative come quelle della Procura di Cosenza: la magistratura italiana è anche questa. Io ne rispetto pienamente l'autonomia, ma non ho mai pensato che sia depositaria dell'avanguardia politica o addirittura della coscienza morale del Paese. Purtroppo esiste ancora nella sinistra italiana una vena minoritaria di giustizialismo. Se ne subissimo l'influenza usciremmo isolati rispetto al senso comune della società italiana".
Non la sfiora il sospetto che il centrosinistra sia già isolato, rispetto al senso comune della società italiana.
"No. Io credo che per l'opposizione si apra una fase nuova. C'è un processo politico che si è avviato, con l'assemblea degli eletti dell'Ulivo. Ora dobbiamo accelerare, con uno sforzo ambiziose e propositivo, soprattutto in vista delle elezioni amministrative. Dobbiamo arrivarci indicendo una grande assise programmatica".
Cofferati pare pronto a entrare in un gruppo che redige il programma. resta il nodo degli assetti organizzativi: il voto a maggioranza, la sua nomina a portavoce unico.
"Mi sembra una discussione fasulla e bizantina, ormai superata. E' chiaro a tutti che il dibattito sulle regole procede insieme a quello sul programma, perché in caso contrario non procede nulla. E' il momento di un grande salto di qualità. Il centrosinistra deve ripartire da due constatazioni di fondo. La prima: la destra sta fallendo la prova del governo. Berlusconi ha amalgamato una maggioranza che può tutt'al più sopravvivere al suo fallimento, ma che ormai ha chiaramente esaurito la sua spinta propulsiva. Ma se il centrosinistra non offre progetti alternativi all'opinione pubblica, si rischia solo un' ulteriore disaffezione dalla politica. Questo rilancia la palla nel campo del riformismo. E qui si innesta la seconda constatazione: la sinistra italiana, parte della grande famiglia della sinistra europea, deve integrare tutti i riformismi, omogeneizzando le culture liberal-democratiche, cattoliche e ambientaliste, per poi collegarsi ai movimenti, ai giovani di tutta Europa che hanno dentro se stessi un'idea di futuro e in questo momento stanno esprimendo il bisogno di alleanze più vaste, transnazionali".
Vuole salire sul carro dei no global, dopo il successo del Social Forum di Firenze?
"Ho seguito il Social Forum da lontano. Tra Genova e Firenze si nota un'evoluzione. L'appuntamento è stato ben gestito dalla città di Firenze, dal nostro partito e poi anche dal governo, benchè non fossero mancati i profeti di sventura. Il movimento ha isolato le frange violente, e si è orientato di più alla proposta che non al rifiuto acritico della globalizzazione, che ormai non ha alcun senso: è un dato di fatto, che semmai va governato attraverso processi politici. Io sono d'accordo con l'analisi di Prodi: il successo di Firenze sancisce la crisi del pensiero unico neo-liberista, che ha dominato la scena per un quindicennio. E' caduta l'idea che la fine delle ideologie avrebbe lasciato campo libero al mercato, e che quest'ultimo ci avrebbe consegnato il migliore dei mondi possibili".
E non è così, secondo lei?
"No. E questa illusione, falsa e a sua volta ideologica, è stata spazzata via dall'11 settembre: il nuovo terrorismo è la privatizzazione della guerra. E' la globalizzazione senza politica. Ora quello che serve è ri-orientare il processo di globalizzazione per riportare la politica in posizione di comando. Per riuscirci, occorre una visione generale dei problemi del mondo. Occorrono risposte a interrogativi angosciosi".
La guerra è sicuramente quello più angoscioso di tutti. E su questo la sinistra è ancora molto divisa e il movimento molto confuso.
"Al pericolo di una guerra all'Iraq non si risponde alzando la bandiera "fuori l'Italia dalla guerra". La risposta alla guerra unilaterale non è il pacifismo unilaterale. La risposta vera è un nuovo ordine internazionale, che imbrigli l'unilateralismo americano. Siamo sulla strada giusta, grazie alle posizioni di Chirac e Schroeder, e alla fine anche di Blair. Ma dobbiamo continuare su questo percorso. Il mondo ha sempre più bisogno di Europa. E di questo mi sono reso conto nel viaggio che ho appena fatto in America Latina. E' stata un'esperienza straordinaria".
Il centrosinistra italiano riparte da Lula: questo è l'insegnamento?
"Non c'è da ironizzare, ma c'è molto da capire. L'America Latina è un continente che fa parte dei perdenti della globalizzazione, vissuta come un processo ingiusto che ha peggiorato le condizioni di vita di 50 milioni di persone sotto la soglia della povertà. Quel continente vede ora in Lula la sua grande speranza. Ho parlato a lungo, con lui. E' interessante la sua linea di politica estera. Vuole pari dignità commerciale con gli Stati Uniti, e cerca un accordo con l'Europa. Ha una visione triangolare dei problemi del mondo, e un'idea multilaterale delle relazioni internazionali. L'Europa è un modello politico-culturale, e quando si viaggia fa piacere sentirsene parte. Ma è ora che l'Europa sia all'altezza della sfida. Ed è ora che l'Italia se ne renda conto. La destra non sa e non può farlo: è in altre faccende affaccendata. Tocca alla sinistra raccogliere la sfida".


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