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Qui sont les illettrés en Italie ?

di Benedetto Vertecchi

29/09/2014
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Mi sono preso la libertà di modificare il titolo di un servizio pubblicato su Le Monde, che era – ovviamente – “Qui sont les illettrés en France ?”. Il fatto è  che il servizio di Le Monde (che si aggiunge a una serie imponente di studi che si sono succeduti negli ultimi due decenni) fornisce una risposta per quel che riguarda la Francia, mentre è sempre più  difficile proporre risposte sensate per l’Italia. Il cambio nel titolo va preso, quindi, come la manifestazione del disagio che prova chi vorrebbe che il profilo “alfabetico” dei cittadini italiani fosse almeno altrettanto noto di quello dei cittadini francesi. In Francia opera da tempo un’istituzione (l’Agence nationale de lutte contee l’illettrisme, con sede a Lione) che da un lato studia il fenomeno e la sua evoluzione, dall’altro propone e in parte realizza iniziative di prevenzione e di contrasto. Per cominciare, mi sembra molto appropriata la definizione di illettrisme elaborata dall’Agence (in italiano potremmo tradurre illetteratismo), condizione che troppo spesso è confusa con l’analfabetismo. Quest’ultimo consiste, infatti, nella estraneità al codice, mentre “une personne illettrée a déjà reçu un apprentissage de la lecture mais n’en a pas acquis une maîtrise suffisante pour être autonome”. In Francia gli illetterati sono alcuni milioni. In Italia, già nell’ultima decade del Novecento, risultava una situazione anche più grave. È da notare che l’insieme degli illetterati è molto variegato, sia dal punto di vista sociale e professionale, sia da quello della distribuzione geografica. C’è da chiedersi perché – malgrado i continui richiami alla necessità di valutare il sistema educativo –  non vi siano dati che consentano di analizzare in profondità i limiti nel possesso di una condizione che segna la linea di confine tra chi possiede lo strumento per esercitare un pensiero autonomo e chi si è acconciato a uno stato di subalternità ai nuovi e meno nuovi strumenti per la comunicazione sociale. Certo, avere qualche idea meno sommaria sull’illetteratismo sarebbe più utile che continuare a disperdere le poche risorse disponibili per effettuare rilevazioni nelle scuole la cui maggiore utilità pare sia  quella di alimentare il dibattito sul cheating (ovvero, in buon italiano, sull’imbroglio).