FLC CGIL
Contratto Istruzione e ricerca, filo diretto

https://www.flcgil.it/@3879848
Home » Rassegna stampa » Rassegna stampa nazionale » Quel silenzio in aula per salvare la scuola

Quel silenzio in aula per salvare la scuola

03/03/2011
Decrease text size Increase text size
la Repubblica

Nelle sue recenti esternazioni sulla scuola Silvio Berlusconi è riuscito ad argomentare nelle modalità più disparate e apparentemente sconnesse. Da una parte, in un contesto di "cattolici riformisti" (ma forse "contro"-riformisti), ha abbracciato tesi sanfediste. Si è cioè esibito in un'incredibile polemica contro la scuola di Stato. La scuola pubblica che sottrae i figlioli alle famiglie, per educarli a valori opposti a quelli in cui sono nati e in cui devono essere cresciuti - e che quindi in realtà "non educa" - . Era, questo, l'argomento portato dal cattolicesimo reazionario - in Francia e in Italia - contro lo Stato moderno nel momento del suo insediarsi e consolidarsi. Un argomento oscurantista, figlio di una visione chiusa e organicistica della società come di un corpo naturale di famiglie, tenute insieme dalla fede. Rispetto a questo scenario, lo Stato moderno, che attraverso la scuola statale pubblica porta i giovani fuori dalle chiusure localistiche e li educa ai principi civici razionali di cittadinanza universale - per quanto timidamente applicati nella pratica - , è un'intollerabile minaccia, un'inaccettabile sopraffazione. D'altra parte, per correggere i soliti fraintendimenti della stampa di sinistra, Berlusconi ha sfoderato, il giorno dopo, una impostazione ultraliberale. Ha cioè sostenuto che le famiglie hanno il diritto di avere a disposizione un'ampia gamma di scuole pubbliche, sia statali sia private, fra cui scegliere liberamente l'istruzione dei loro figli. Come il primo scenario era ostile allo Stato con modalità per dir così premoderne e organiche, quest'altro lo è in altro modo, cioè con abuso di argomenti individualistici e mercatistici. Il primo faceva appello alla continuità tra famiglia e scuola in nome della tradizione, il secondo invece esplicitamente richiama l'idea che l'educazione dei figli sia un affare privato delle famiglie, le quali - pagando - si possono permettere di scegliere il "modello" preferito. Il primo allude a un Paese compattamente cattolico, il secondo promuove - al di là della retorica patriottica a cui ogni tanto il governo indulge - un Paese frammentato lungo linee molteplici (censo, ideologia, e naturalmente religione e "cultura"), e non ricomponibili: anzi, la frammentazione sociale va coltivata amorevolmente nelle scuole differenziate. Nella prima prospettiva la scuola statale è delegittimata senza appello - e proprio la sua radicalità ha spinto le gerarchie ecclesiastiche a prenderne almeno formalmente le distanze - ; nella seconda, invece, è più astutamente equiparata, in quanto "pubblica", ad altre tipologie di scuola altrettanto 'pubbliché - perché rivolte al pubblico degli utenti - , che sono in realtà le scuole "private" (non importa se religiose e o laiche, ma prevalentemente le prime). Insomma, lo Stato e la sua scuola, con la sua opera di socializzazione paritaria alla cittadinanza democratica, è un'opzione fra le tante, un'opinione come un'altra: almeno sotto il profilo teorico, che è sempre quello decisivo. Una volta fatta passare la tesi che sarebbero tutte ugualmente scuole "pubbliche" - tesi peraltro già condivisa dal centrosinistra - , è poi semplice per chi sta al governo togliere finanziamenti alla scuola di Stato (e compiangere al tempo stesso i professori sottopagati! Un autentico virtuosismo comunicativo), e darli a quelle private, e così dequalificare le prime e invogliare chi appena se lo può permettere a iscrivere i figli nelle seconde, al riparo dal degrado. Che è infatti il risultato del cosciente e deliberato operare di questo governo verso tutte le scuole, e anche verso l'Università, per una scelta ideologica che, come è stato osservato su queste pagine, non è né nella lettera né nello spirito della Costituzione che non a caso privilegia, dal punto di vista logico e normativo, la scuola di Stato. Una scelta ideologica antistatale, di una destra che rinnega e rovescia il proprio passato (da Casati a Gentile); e che non ha nulla a che fare col liberalismo, se non con una sua interpretazione casereccia, particolaristica, qualunquistica. Una scelta declinata in due modalità diverse e opposte, come una sagace offerta commerciale rivolta a target elettorali distanti fra di loro (ultras cattolici, e individualisti postmoderni) che solo in lui, nel Cavaliere proteiforme come Zelig, trovano coerenza e credibilità. Proprio perché è stato capace di presentare le sue posizioni sulla scuola nel più gradito e dolce dei modi, cioè come una polemica sacrosanta contro l'indottrinamento di sinistra che sarebbe impartito nella scuola pubblico statale dagli ormai attempati professori sessantottini. È cavalcando questo pregiudizio benpensante di fondo, questo rancore di lungo periodo, questo fantasma politico che terrorizza i suoi molti antipolitici elettori, che la destra di Berlusconi vince; è attraverso questa vittoria postuma sull'odiatissimo Sessantotto che passa la vittoria di oggi su ciò che resta della scuola di Stato e della sua funzione in senso lato politica - non partitica, ovviamente, né ideologica - . Che è di formare i giovani, con fermezza e rigore, allo spirito pubblico e critico, e di non lasciare che in questo Paese la democrazia repubblicana si trasformi, anche in conseguenza dello smantellamento della scuola di Stato, in una democrazia a' la carte, senz'anima e senza futuro.


La nostra rivista online

Servizi e comunicazioni

Seguici su facebook
Rivista mensile Edizioni Conoscenza
Rivista Articolo 33

I più letti

Filo diretto sul contratto
Filo diretto rinnovo contratto di lavoro
Ora e sempre esperienza!
Servizi assicurativi per iscritti e RSU
Servizi assicurativi iscritti FLC CGIL