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Qualcosa di sinistra? Non esageriamo.

Sulle “tre abolizioni che la sinistra non vuole”

08/06/2013
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ScuolaOggi

Antonio Valentino

Le provocazioni – chiamiamole così - di Stefanel e Tosolini in un articolo di alcune settimane fa (“E allora diciamo qualcosa di destra”) sollecitano domande e riflessioni che desidero condividere in primo luogo con loro e con quanti interessati al dibattito sulla scuola che vogliamo.

L’espediente retorico del titolo e l’intero impianto dell’articolo sono tesi a rendere più accattivante il messaggio che sostanzialmente è: “non regaliamo alla destra ciò che appartiene alla sinistra”. Con ciò facendo chiaramente capire qual è il loro campo politico-culturale di riferimento, ma anche dicendo tra le righe di sentirsi in qualche modo traditi, al riguardo, dalle politiche della sinistra.

Sinistra il cui impegno, nelle loro intenzioni, dovrebbe, in questa fase, essere rivolto a “liberare” il nostro sistema di istruzione, puntando – sembrano queste le piorità che indicano - sull’abolizione sia degli esami di stato e del valore legale dei titoli di studio, sia delle bocciature.

Nella loro analisi, la sinistra – a differenza della destra - non starebbe lavorando in questa direzione, che le sarebbe invece più congeniale. E questo - sembra di capire -:

a. perché è attaccata a valori ormai superati, come l’unitarietà del sistema di istruzione,

b. perché difende più i posti di lavoro che la qualità della scuola,

c. perché ha pregiudizi nei confronti della valutazione di sistema e di un sistema nazionale di valutazione tout court,

d. perché non crede nella meritocrazia, vista come lo strumento che garantisce quel poco di equità che, a loro avviso, è possibile oggi, realisticamente, assicurare a tutti

Che dire?

Che dire?

Tralascio, in queste riflessioni, di considerare il problema delle bocciature, che richiederebbe ragionamenti a parte. Limitandomi alle altre due questioni.

Sul valore legale dei titoli di studio andrebbe, a mio avviso, preliminarmente osservato che, oggi come oggi, esso è messo in discussione soprattutto dal fatto che i diplomi che si rilasciano sono attestati che nulla dicono né sul tipo di preparazione e formazione effettivamente e credibilmente accertate; né sulle responsabilità di questo stato di cose.

E mettono a nudo, assieme alle carenze di sistema, il nodo non sciolto di professionalità “scolastiche” spesso scarsamente coltivate e, per alcuni versi, arretrate.

Tenderei perciò a dire che l’abolizione del valore legale del titolo di studio non mi senbra “oggetto” contendibile tra destra e sinistra e, comunque, non appare, visto come si mettono le cose oggi, una questione dirimente. O no?

Lo scandalo dei diplomifici, giustamente richiamato nell’articolo, lo vedo piuttosto come conseguenza di un sistema che non funziona nei suoi elementi strutturali (oltre che per la coscienza civica particolarmente “lasca” in vasti settori del nostro paese).

Sugli esami di stato , l’ abolizione invocata da Stefanel e Tosolini mi sembra legata al fatto che entrambi mi sembrano più favorevoli ad un sistema scolastico centrato sulla personalizzazione dei percorsi formativi degli allievi.

In questa visione, l’unitarietà del sistema perde, ovviamente, di senso e di valore.

Io penso invece che l’unitarietà del sistema sia un valore, come penso che siano un valore sia i livelli essenziali di prestazione (LEP) di cui parla la nostra costituzione - art. 117 - sia il sistema nazionale di valutazione che dovrebbero garantirla – l’unitarietà -, in quanto potenziali strumenti di equità e di uguaglianza.

L’unitarietà del sistema non penso contraddica in niente l’autonomia delle scuole ai vali livelli: essa significa - dovrebbe significare - semplicemente attenzione e intenzionalità “orientante”, rispetto a traguardi comuni per tutti gli studenti (le competenze chiave di cittadinanza).

Il problema che io vedo per gli esami di stato è piuttosto un altro. E riguarda le procedure e le modalità delle prove scritte e orali e i criteri valutativi e certificativi finali che concretamente e puntualmente si utilizzano ogni anno e che mettono sempre più a nudo il carattere scoordinato e caotico del sistema.

Su merito e meritocrazia

Ancora una riflessione sulla meritocrazia che, nelle intenzioni dei Stefanel e Tosolini, “dovrebbe essere il cavallo di battaglia di un’equità cara alla sinistra”, mentre sarebbe diventato in Italia un tema ‘di destra’”.

Al riguardo, penso in primo luogo che l’ideologia meritocratica – che è altra cosa dal riconoscimento del merito come frutto dell’impegno costante e del talento coltivato – difficilmente potrebbe essere “cavallo di una battaglia per l’equità”. Equità come frutto dell’uguaglianza, a sua volta punto fermo e fondante della sinistra. (Vado per slogan, ma penso che mi si intenda).

Certamente – sotto il profilo dell’equità - va visto come un grosso passo in avanti, per il nostro paese, l’obiettivo, indicato nell’articolo, che “il più bravo ottiene il posto per il solo fatto di essere il più bravo”. Ritengo però che sia nel DNA della sinistra, in primo luogo, la prospettiva - graduale finchè si vuole, ma comunque prioritaria - “del più bravo che diventa tale, quale che sia il suo livello di partenza” .

Per questo, “il recupero” non è – come si legge nell’articolo - un “buttar via i soldi” e “far perdere tempo alla gente”. E se lo è, la causa è da cercarsi solo in un sistema che non si cura di funzionare bene, di non spendere bene i soldi di tutti per “attrezzare” sistematicamente i suoi operatori (meglio sarebbe dire: investire, perché docenti e dirigenti siano messi nelle condizioni di “attrezzarsi”).

D’altra parte, sono fin troppo evidenti, soprattuto a chi lavora a scuola, le ragioni per opporsi alla meritocrazia. Che a me è sempre parsa, almeno nelle proposte degli ultimi governi di Berlusconi, divisiva e, per alcuni veri, insensatamente punitiva e gerarchizzante. (Opporsi alla meritocrazia non significa ovviamente essere contrari – anzi – a forme accorte di sistemi premianti).

Regali presunti e colpe certe

Ma – ed è qui il problema che mi preme invece sollevare -, nonostante la drammatica evidenza dei tanti studenti che perdiamo soprattutto come effetto delle diseguaglianze sociali, la battaglia della sinistra al riguardo è, a mio avviso, opaca e pigra. E non certo perché si è poco “meritocratici” (come pensano Stefanel e Tosolini), ma perché una battaglia di questo tipo richiede, assieme ad una “visione”, coraggio e competenze. In quanto volta sia a snidare, nelle categorie, posizioni professionali autoreferenziali e non responsabili (alimentate nel tempo dai vari governi che si sono succeduti negli scorsi decenni), sia a farsi carico di questioni come la formazione continua e obbligatoria del personale e il loro sviluppo professionale – e quindi di carriera – (con quello che comporta).

Più che i presunti “regali” alla destra sulle questioni sollevate dai due DS, alla sinistra andrebbero invece rimproverati, da una parte, l’incoerenza e la sottovalutazione di questioni vecchie e nuove (vi risparmio l’elenco) che bloccano ogni possibilità di arrestare la deriva in atto; dall’altra, il vezzo di parlarne molto (anche se per slogan) e di pensarci poco.

Sulle varie questioni, non volendo comunque negarmi la speranza di un futuro con qualch raggio di sole, concludo confidando nella neo-ministra.

Dalla quale continuiamo ad aspettare qualche segnale; disponendoci, in tanti, penso, a fornirne.


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