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Prof in cattedra solo con il concorso Ma ai bocciati restano le private

Scuola, chi non supera la prova può comunque accedere alla formazione pagando

25/01/2017
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Corriere della sera

È forse la delega più importante della Buona scuola. Quella che dovrebbe servire a mettere ordine nel caotico sistema di reclutamento dei docenti delle scuole medie e superiori. Basta con la giungla delle abilitazioni. E basta anche con il purgatorio delle graduatorie. Dal 2020 si verrà assunti solo tramite concorso (bandito ogni due anni su base regionale per un numero di posti corrispondente al fabbisogno delle scuole pubbliche).

I vincitori firmeranno un «contratto triennale retribuito di formazione e tirocinio». Il compenso sarà crescente: 400 euro al mese per 10 mesi per il corso universitario del primo anno con test e diploma di specializzazione finale; 400 euro più il corrispettivo per eventuali supplenze brevi al secondo anno; 34.400 euro per 12 mesi al terzo anno (come lo stipendio di un supplente annuale), quando i tirocinanti copriranno i posti vacanti e disponibili. Un percorso più lungo della media europea (perfino quegli stakanovisti dei tedeschi ci mettono un anno di meno) ma alla fine — salvo parere negativo della commissione di valutazione guidata da un preside e composta da professori universitari e tutor scolastici — si otterrà l’agognata cattedra.

Un cambiamento epocale: finora per essere assunti bisognava essere (a vario titolo) abilitati, ora per essere abilitati e assunti bisogna prima vincere il concorso. Non solo: la formazione non sarà più a spese dei futuri insegnanti, ma pagata dallo Stato. E qui si apre il problema — gigantesco — degli insegnanti delle scuole private. In base alla legge sulla parità scolastica del 2000 devono essere in possesso di titolo di abilitazione. Ma d’altra parte non possono essere formati a spese dei contribuenti perché si violerebbe l’articolo 33 della Costituzione, che riconosce il diritto di istituire scuole private purché «senza oneri per lo Stato».

Al momento lo schema di decreto depositato alle Camere prevede che gli aspiranti prof delle paritarie possano iscriversi ai corsi di specializzazione in sovrannumero ma che le spese di frequenza siano a carico loro. La conseguenza è paradossale: nella stessa aula universitaria siederanno i vincitori del concorso ma anche, purché paghino, coloro che invece sono stati bocciati. Con il rischio che la scuola privata diventi la seconda scelta di chi è stato scartato al concorso.

Spiega l’onorevole Manuela Ghizzoni (Pd), relatrice del provvedimento che viene incardinato oggi alla Camera: «L’articolo 15 della delega (quello sulle paritarie, ndr ) presenta un problema di formulazione. Cercheremo di migliorarlo, anche se l’inconveniente risale alla versione definitiva della legge 107, che consente l’accesso al corso a proprie spese senza vincolarlo al reale fabbisogno delle scuole paritarie».

Certo sarebbe stato meglio evitare di scrivere nero su bianco che possono iscriversi «i soggetti che non abbiano partecipato al concorso ovvero che non ne siano risultati vincitori». Ghizzoni però difende il fatto di aver creato carriere separate per la statale e per la paritaria: «Non credo che alle scuole secondarie paritarie si indirizzeranno solo coloro che non sono riusciti a entrare nel nuovo sistema di accesso al ruolo previsto per quelle statali. Anzi. Proprio perché le due carriere si separeranno, chi sceglierà la paritaria lo farà perché crede in quel progetto educativo». D’ora in poi la paritaria non potrà più essere usata come parcheggio per ottenere il punteggio necessario a risalire le graduatorie.

C’è però ancora un altro rischio. In un Paese che fa continuamente ricorso al Tar come il nostro, chi può garantire che una volta preso il diploma di specializzazione a spese proprie, l’aspirante prof invece di optare per la scuola paritaria non si presenti dal giudice per chiedere di poter essere immesso nel percorso di tirocinio della scuola pubblica?

Orsola Riva


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