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Non è più un rito ma ai ragazzi può rivelare il mistero della vita

Lo scrittore Giovanni Ricciardi ci racconta la maturità anomala del 2020

17/06/2020
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Il Messaggero

Lo scorso lunedì ho conosciuto il mio presidente di commissione. Un preside filosofo che ha aperto la burocratica riunione di insediamento di noi docenti in un liceo di Roma con una domanda vera, ma poco politically correct: ci chiedeva se non trovassimo perfettamente inutile questo baluardo ultimo della tradizione scolastica: l'esame di maturità.
Qualcuno ha reagito con cortesia e deferenza, ricordando l'unica cosa che si va dicendo in giro in questi giorni. Che la maturità è l'ultimo rito di passaggio rimasto intatto in questa società postmoderna.
LO SPAURACCHIOChe si tratti di un passaggio è innegabile. L'ipotesi della bocciatura è ormai un mero spauracchio di quelli che vanno presto in soffitta, come il babau o il lupo delle favole. Che si tratti di un rito, è oramai discutibile. Da qualche anno il legislatore si sente in dovere di cambiargli vorticosamente i connotati, partorendo novità nel corso dell'anno, come se la Federcalcio introducesse regole sempre nuove a metà campionato. Un rito, per essere tale, osservava il presidente filosofo, dovrebbe essere più o meno sempre uguale. Rassegniamoci.
Quest'anno, ovviamente, l'esame sarà ancora diverso. Ci si sono messi di punta scrittori e intellettuali a far sì che fosse in presenza, con le dovute cautele, altrimenti sarebbe stata la prima maturità in videoconferenza. 
Sono comunque saltati gli scritti, ed è comprensibile. Lo stesso accadde nel 2009 per gli studenti de L'Aquila terremotata. E noi, si sa, siamo ancora in piena emergenza.
Dunque, niente rito, e passaggio a livello aperto. Sta bene. Nelle ultime ore si spenderanno parole per mettere in guardia gli insegnanti dal non caricare di troppo stress gli studenti, che già ne hanno accumulato tanto e non per colpa loro. Come se i professori rispondessero sempre al cliché del cane da guardia che va ammansito. Come se la scuola in Italia fosse comunque percepita - da chi ne parla senza conoscerla a fondo - come un luogo triste e antiquato, da cui occorre uscire per respirare. Come se non ci fosse mai, da nessuna parte, una comunità educante che accompagna la crescita dei ragazzi, che cerca anche e ancora di insegnare cose, trasmettere contenuti oltre che competenze. 
L'esame di maturità non è un rito di passaggio, ma il coronamento di un percorso. È il traguardo di un cammino che con tutti i limiti che ha la scuola consegna gli studenti a una vita che si svilupperà, ma si è iniziata a costruire tanti anni prima.
È insomma una cosa seria e non simbolica. Seria come la vita. A scuola la vita si respira e s'intravede nelle relazioni tra compagni, nella parola di un insegnante, fosse uno su cento, che suscita una passione, che apre una prospettiva, uno di quelli che possono essere ricordati. Ce n'è sempre uno che ti resta nella memoria, magari per una parola detta distrattamente, ma era quella che tu aspettavi. Come il compagno che rimane l'amico di una vita, o la ragazza che domani sarà tua moglie, e che hai incontrato per la carambola del destino proprio su quel banco di quella scuola che hai scelto senza convinzione.
LA MONETA DELLA BELLEZZALa maturità è un colloquio in cui passano, sfiorando la mente, i grandi del passato, i filosofi che hanno detto una parola di verità, i poeti che hanno cantato l'amore o il Paradiso, i matematici che indagano la grammatica dell'universo, gli storici che ci aiutano a non dimenticare, gli artisti che hanno dispensato bellezza, questa moneta inutile e gratuita di cui tutti abbiamo bisogno.
Dunque l'esame di maturità è un colloquio inutile. Ma in cui a volte fa capolino il mistero della vita.


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