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Nella scuola che sfida la Lega tutti i bambini del mondo

Brescia. Alla Manzoni, nel cuore della città, quest’anno le due prime elementari composte solo da stranieri: qui l’integrazione funziona

21/09/2015
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la Repubblica

Benedetta Tobagi

Mohamed Elvis dal Bangladesh,  Maryam dall’Egitto, Youssef dalla Tunisia, Mihidu da Sri Lanka, Jinhong dalla Cina, Peace e Precious dalla Nigeria, Zohra dal Marocco, Sabina dalla Romania…per 35 bimbi che hanno iniziato la scuola lunedì scorso, l’“internazionale futura società” è già qui. Accade a Brescia (nono Comune in Italia per presenza di stranieri, 36mila su 196mila), nella primaria “Manzoni”, un vecchio edificio ai margini del quartiere del Carmine. Le strade eleganti del centro distano pochi minuti, come pure i casermoni dell’ex zona operaia di via Milano e il trambusto della Stazione. Già regno di ladri e puttane, da vent’anni è uno dei quartieri più multietnici d’Europa (metà dei residenti sono stranieri di 60 nazionalità diverse), oggetto di tesi e studi scientifici. La mattina, mezz’ora prima dell’ingresso, il cortile comincia a riempirsi di bimbi: il prescuola non c’è ancora, ma i genitori lavorano. Poi la processione di mamme: sari, qualche djellaba e ogni foggia di velo (uno solo integrale, però). Tuniche svolazzanti su pantaloni colorati, le pakistane stanno tra di loro. Un bimbo di sette anni col turbante dei sikh. Sembra una periferia di Parigi o Londra, o una vecchia pubblicità di Benetton. La Manzoni è diventata un “caso” perché nelle due prime tutti gli alunni sono stranieri ( sebbene alcuni abbiano cittadinanza italiana), ma la situazione matura da anni: i genitori italiani, spaventati dalla crescente concentrazione di stranieri, sono fuggiti nelle paritarie di zona o in altri distretti, accelerando il processo. Come invertire questa polarizzazione, o far rispettare i “tetti” di cui parla Salvini? Gli stranieri sono colonne portanti dell’economia e i loro bambini hanno diritto di studiare. Privare i genitori italiani della facoltà di scegliere la scuola dei figli? Varca i cancelli la terza mamma con quattro bambini: ecco i tassi di natalità che faranno dell’Italia intera un Paese multietnico. Non è un “caso”, questo, ma un laboratorio in cui osservare uno spaccato del futuro, le sfide che pone, le buone pratiche per affrontarle.

Dopo aver cantato insieme, i bambini di prima siedono per gli esercizi preparatori alla scrittura. «Vanno ad annate come il vino, fermo o frizzante» scherza Rebecca, coordinatrice d’istituto, «quest’anno sono calmi per fortuna ». Si respira un’aria serena, ma la situazione è complicata. «Posso andare in bagno?» chiede con un filo di voce Viktoria, ucraina: l’ha appena imparato. Insieme a Maksim, bielorusso, è una dei sei nuovi allievi che non sanno l’italiano; 32 in tutto, distribuiti sui cinque anni, ma ne arriveranno ancora. La competenza linguistica degli altri è disomogenea. In questi casi, si usa distaccare un docente per una decina d’ore la settimana: insegna la lingua a piccoli gruppi mentre gli altri fanno storia o italiano, e in ore come musica o ginnastica si sta tutti insieme, mi spiega Eugenio, maestro dall’82, per molti anni “alfabetizzatore” alla Manzoni. Funziona, ma costa. Per ora non c’è nulla: il provveditorato comunicherà le risorse stanziate dal Miur tra ottobre e novembre, dicono. Anche se le richieste sono state presentate già la scorsa primavera, elaborate d’intesa con i Centri Territoriali per l’Integrazione, ideati 11 anni fa da una maestra bresciana al provveditorato. Purtroppo, mi spiega un’addetta, i fondi l’anno scorso erano solo la metà rispetto al 2003-2005, anche se nel frattempo gli stranieri sono triplicati. Per di più, l’organico delle tre primarie di Brescia centro è stato ridotto. I genitori fuggono anche per questo: le maestre devono star dietro a tutti e un bambino italiano, temono, “perderebbe tempo”. Le risorse del Comune, che pure s’impegna molto, si sono assottigliate: sono mancati i soldi per portare i bimbi in piscina. Davvero “tagliare le tasse è di sinistra” se si toglie ossigeno ai sindaci, sulla pelle dei più deboli? Qui il disagio sociale è palpabile. Solo 12 neoarrivati sono iscritti alla mensa: costa troppo. Tanti vengono da famiglie povere, figli di operai non specializzati (nel bresciano lo è uno straniero su 5), sottoccupati, senza lavoro. Sono i nuovi ragazzi della scuola di Barbiana. L’istituzione non è più classista e autoritaria come ai tempi di don Milani, anzi, cerca di colmare i divari: non chiedono ai genitori risme e carta igienica, spiega la dirigente, ma usano la coperta cortissima dei fondi per pagare uscite scolastiche e materiali, a discapito di altro. Le lavagne interattive sono una chimera: ce n’è una sola. Spesso le maestre contribuiscono di tasca propria. A Brescia, per fortuna, c’è una forte la rete di solidarietà. Oratori come S. Faustino e S. Giovanni o centri d’aggregazione giovanili come “Carmen Street” dei padri maristi sono aperti a tutti, musulmani inclusi. I volontari vanno a prendere i bambini alle 16:30 e li tengono fino a sera, offrendo sport, giochi, l’assistenza sui compiti che i genitori non saprebbero dare. Qui i piccoli allievi della Manzoni possono mescolarsi agli italiani: fondamentale per una vera integrazione, che non è solo parlare la lingua. In questo senso, la scuola primaria ha un’altra ricaduta sociale importante. I maestri, infatti, “educano” di fatto anche molti genitori stranieri. Rischia di suonare razzista, ma sono alcuni di loro a creare i maggiori problemi, confessa Eugenio: la mamma nigeriana convinta che i maschietti vadano sempre serviti, il papà che mette mano alla cinghia. Le maestre Barbara S. e Maria T. ricordano l’opera paziente di persuasione sui genitori musulmani che non accettavano la mescolanza tra maschi e femmine o non volevano mandare la figlia in piscina, le mediazioni sull’uso del velo per le più piccole. Servono tempo, pazienza, apertura. E risorse. In attesa che dall’alto si ricordino di loro, gli insegnanti vivono il lavoro come una missione. Fanno le nozze coi fichi secchi: percorsi condivisi bambini-genitori, laboratori sulla cucina e le favole dal mondo, didattica conversazionale; l’anno scorso con le quinte (una sola bambina italiana) hanno persino fatto un musical. Mostrano spezzoni del loro “Grease” alla festa d’accoglienza per i genitori dei nuovi arrivati; ce n’è più della metà: un buon risultato. Tra loro un’ex allieva dominicana: oggi ventottenne, ha iscritto qui la prima figlia, «perché sono bravissimi».
Certo, alcune zone della città non sono più linde e tranquille come vent’anni fa, ma a Brescia, a dispetto delle polemiche leghiste, l’integrazione funziona, e la scuola ha fatto la differenza. Uscita dalla Manzoni, ai tavolini di un bar del centro vedo un crocchio multietnico di adolescenti. Il maestro Eugenio si ferma, scherza con un ragazzo di colore, suo ex allievo. Era un bambino tolto alla famiglia, mi spiega (la Manzoni ha nel bacino d’utenza anche due istituti per minori in affido): poteva diventare un “caso”, invece sta benissimo e ha appena iniziato le superiori. I problemi non affrontati alle primarie si ripropongono alle medie, amplificati. Il fenomeno delle “gang” qui non esiste ancora. I problemi sono grandi, i dilemmi continui. Vogliamo governare la complessità, investendo in buone pratiche sul modello di Brescia e altre realtà, oppure – tra tagli mascherati e speculazione sulla paura - scivolare verso i divari abissali della società statunitense?