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Messaggero: L’anomalia dei nostri professori:sempre più vecchi, sempre più cari

Nel ’65 si diventava ordinari a 35-38 anni, quarant’anni dopo a 53-59

21/12/2009
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Il Messaggero

ROMA - L’organizzazione della docenza in Italia è a dir poco surreale. Tutti dicono che nelle università c’è la necessità di svecchiare il corpo docente ma solo l’8 per cento dei professori associati e l’1 per cento degli ordinari hanno meno di 40 anni. La cosa più grave è che l’età media di “accesso” alle carriere è cresciuta negli ultimi anni in modo costante. Nel 1965 si diventava professore ordinario in media a 35-38 anni, nel 1980 a 42-46 anni, nel 2005 a 53-59 anni. Vuol dire che ormai negli atenei vige la promozione per anzianità, l’opposto del criterio del merito come accade nei Paesi più avanzati. Questa situazione va capovolta, non solo per ragioni demografiche o sociologiche, ma perché è necessario ribaltare la gerontocrazia in favore dei giovani, che altrimenti scappano all’estero provocando un danno allo sviluppo del Paese. La progressione di carriera spesso è stata fatta con promozioni interne ad personam, per anzianità: come si trattasse di impiegati delle Poste. E i costi sono aumentati a dismisura: l’ultima rilevazione del Comitato nazionale di valutazione dice che in 12 anni, dal 1998 al 2009, i costi del personale di ruolo (docente e non) sono saliti del 50%, ma quelli dei professori ordinari sono saliti dell’80%.
Se spulciamo le ultime cifre ci accorgiamo che i nostri ordinari sono davvero avanti con gli anni. Quelli che hanno meno di 34 anni di età sono appena 10! E sono soltanto 171 quelli tra i 35 e i 39. La maggioranza, 16.358, oscilla tra 50 e i 65 anni. Gli associati sono 19.000 e 25.000 i ricercatori universitari. Ma l’altra grave anomalia italiana è che l’università da noi per buona parte si regge sui precari e sui contrattisti che sono 87.985 in totale, tanto che da una recente indagine ha messo in luce che nei corsi di laurea è scesa da 21 a 11 la presenza dei professori di ruolo. L’uso spregiudicato dei precari, pagati due soldi, è un’altra patologia da sanare.
Perché abbiamo questi problemi? L’invecchiamento dei docenti italiani è anche conseguenza del “localismo” delle carriere. Esami venduti, corruzione, merito calpestato, nepotismo che imperversa, le cronache degli ultimi anni hanno dato conto di tutto questo.
Figli, parenti, amici, intere dinastie hanno colonizzato le facoltà da un capo all’altro del Paese. Un male antico, quello del nepotismo, che negli ultimi anni ha prodotto le peggiori degenerazioni. Ma se non ne usciamo rischiamo di perdere competitività e capacità di innovazione.
«Però stiamo attenti a non fare di tutta l’erba un fascio, può portare a un giudizio non obiettivo - sostiene Vincenzo Milanesi, presidente di Aquis, l’associazione degli atenei di qualità e rettore dell’università di Padova - Certo, vogliamo essere valutati. Ma la quantificazione oraria è abbastanza inutile, non è che possiamo calcolare quanto uno sta incollato sulla sedia. Ci sono parametri più validi. Sono stato preside alla facoltà di Lettere e Filosofia, quando salutavo le matricole dicevo di avvisarmi se qualche docente non rispettava gli orari di ricevimento o si presentava tardi a lezione. Tra l’altro ora ci sono dei questionari compilati dagli studenti, contribuiscono a valutare la didattica di un docente. Ma per misurare i risultati possiamo anche utilizzare i crediti che ciascuno studente accumula nell’anno e il job placement dei laureati, dopo un anno e dopo tre. Questo dice molte più cose di quanto non possano fare le 1.500 ore».
Ma se l’università non funziona è anche per colpa del meccanismo perverso dei concorsi. Finora il sistema è stato fallimentare, imperniato su scelte corporative, favorendo l’anzianità a scapito del merito, per questo abbiamo la classe docente più vecchia d’Europa. Questa nostra stortura è stata bollata da Nature come una reverse age discrimination, ossia una discriminazione a scapito dei giovani. Ecco perché ai nostri giovani più dotati non resta che una scelta: emigrare o accettare una frustrante anticamera. Si sa che i “maestri” più potenti mandano in cattedra i loro protetti per poi contare sulla loro “fedeltà”, non sulla loro bravura. Così si conservano privilegi, si consolidano interessi, a volte del tutto estranei al mondo accademico.
Commesse, consulenze, contratti, studi privati, il giro di affari è rilevante. Tanto è vero che per una cattedra (soprattutto in ambito scientifico) si combattono guerre sotterranee e si fanno concorsi manipolati da commissioni preventivamente addomesticate. Perfino il bando è ritagliato su misura.
A.Ser.


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