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Manifesto-Un po' di Lumi sulla scuola

"Cinque memorie sull'istruzione pubblica", scritte nel 1791 dal marchese di Condorcet, filosofo, scienziato e girondino. Testo di folgorante attualità sul sapere sottratto al mercato, sulla funzione ...

26/09/2002
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il manifesto

"Cinque memorie sull'istruzione pubblica", scritte nel 1791 dal marchese di Condorcet, filosofo, scienziato e girondino. Testo di folgorante attualità sul sapere sottratto al mercato, sulla funzione della scuola e i suoi rapporti con la società. Ora riproposto da manifestolibri in "Elogio dell'istruzione pubblica", ne anticipiamo l'introduzione
MARCO BASCETTA
"In generale, qualsiasi potere, di qualunque natura esso sia, quali che siano le mani in cui è riposto e in qualunque maniera esso sia stato conferito, è naturalmente nemico dei lumi. Talvolta lo si vedrà adulare i talenti, quando questi si abbassano a divenire lo strumento dei suoi disegni o della sua vanità; ma chiunque farà professione di cercare la verità e di affermarla sarà sempre odioso a chi esercita l'autorità". È davvero un formidabile paradosso incontrare una siffatta affermazione nel bel mezzo di un progetto politico-filosofico sull'istruzione pubblica, un progetto che chiama proprio il potere politico a garantire, diffondere e organizzare l'istruzione di tutti i cittadini. Che esige, in altre parole, dall'autorità la distribuzione universale degli strumenti che consentono di proteggersene o addirittura di negarla. Non è il solo felice paradosso che attraversa le pagine delle "Cinque memorie sull'istruzione pubblica", date alle stampe nel 1791 da Marie Jean Antoine Nicolas de Caritat, marchese di Condorcet, ma è forse quello più decisivo, ardito e anticipatore di tutta una tradizione di pensiero critico che indaga sul rapporto tra il potere politico e l'autonomia del sapere, tra la "volontà generale" e la libertà dei singoli, tra le norme e la capacità individuale di giudizio. (...)

Le "Cinque memorie" di Condorcet, che nella forma di un progetto istituzionale racchiudono un'agenda teorica tra le più avanzate e acute, ci restituiscono nitidamente la complessità e l'articolazione di una elaborazione critica tanto radicale quanto solida. Ben poche delle idee correnti sulla formazione e sulla sua riforma, sulla funzione della scuola e sui suoi rapporti con la società, sul bene pubblico e sulla libertà dei singoli, sul sapere e sulla produzione della ricchezza, reggerebbero al vaglio di questo potente strumentario concettuale elaborato più di due secoli fa, negli anni appassionati e tumultuosi della rivoluzione. Se oggi scegliamo di riproporle non è per rendere omaggio a un classico dimenticato o confinato nella marginalità, per restaurare un capitolo bistrattato di storia delle idee o per rivitalizzare gli studi sul Secolo dei lumi, ma per arricchire un arsenale (quello delle armi della ragione) da impiegare nel conflitto decisivo che si sta giocando sul terreno della formazione e della trasmissione del sapere per il controllo sulla cooperazione sociale (che è oggi cooperazione di saperi e conoscenze) e per la sua riconduzione forzata nella sfera dei rapporti proprietari. (...)

Condorcet, eletto alla Convenzione nel 1791, cadrà vittima del Terrore. Vicino ai girondini, è catturato, dopo mesi di latitanza, nel marzo del 1794 a Clamart. Muore, suicida o di stenti, nella prigione di Bourg-Egalité, il 29 marzo, subito dopo il suo arresto. Ma non è tanto una appartenenza di fazione, peraltro piuttosto lasca, quanto il sostanziale radicalismo democratico delle sue posizioni a porlo in rotta di collisione con Robespierre e la politica del Comitato di salute pubblica.

Condorcet è un nemico dichiarato della trascendenza del potere, contro cui cerca di elaborare tutti i possibili antidoti legislativi. La "volontà generale" come potere costituito legittimato dalla delega-rinuncia dei singoli, come confluenza delle volontà particolari in un destino comune che le sovrasta, gli è invisa. Non gli sfugge la stretta parentela tra la "volontà generale" di stampo rousseauviano, in cui il popolo troverebbe la sua unità e la sua espressione, e il pactum subiectionis che fonda lo stato assolutista. (...)

Questi presupposti filosofici prendono forma concreta nell'idea di "istruzione pubblica" e nel suo contrapporsi, immediatamente ed esplicitamente, all'idea giacobina, ma non solo, dell'"educazione nazionale", con i suoi miti spartani, la sua soffocante ritualità laica e il suo feroce conformismo patriottico, che prevarrà dopo il 1793 per volere di Robespierre. Istruzione contro educazione; pubblico contro nazionale: questi i termini di una contrapposizione che merita di essere giocata fino in fondo. Trasmissione di un sapere razionale e degli strumenti della critica, contro l'integrazione dei singoli in una comunità organica predeterminata, con il suo sistema di valori e i suoi stili di vita. "Pubblico", inteso come condivisione delle risorse e delle possibilità, come immanenza dei diritti che conferisce una base concreta all'autonomia dei singoli, contro "nazionale", inteso come appartenenza e identità, come sacrificio e dedizione, come precetto dell'amore per l'ordine costituito.

È questa idea di "pubblico", che sebbene investa lo stato del compito e del dovere di garantire a tutti i suoi cittadini l'istruzione, esclude non meno decisamente che questa rivesta qualsivoglia carattere statale. Poiché è nella sfera pubblica, nel confronto e nell'interazione dei giudizi razionali, resi possibili dalla diffusione del sapere, che il Politico trova il suo fondamento e la sua legittimità, sempre reversibile. Senza questi lo stato stesso diverrebbe illegittimo, arbitrario, prevaricatore. Ma, paradossalmente, solo lo stato con le sue leggi può garantire il carattere non statale dell'istruzione. Può garantire l'autonomia della conoscenza dal potere politico che così, di quest'ultimo, può divenire, al tempo stesso, giudice e fondamento, critica e legittimazione. La sfera pubblica non è il bene comune, ma quel luogo nel quale del bene comune si può giudicare e, così facendo, produrlo.

Ma Condorcet si guarda bene dal concedere allo stato il monopolio dell'istruzione. All'istruzione privata deve essere consentito di competere con quella pubblica, come alternativa, stimolo e termine di paragone. Ma non si può affidare all'interesse particolare, a una libera scelta, a una valutazione contingente di opportunità, il compito di assicurare ciò che sta a fondamento stesso del vivere collettivo secondo ragione, né la dimensione egualitaria che necessariamente gli si accompagna.

Ma se il potere pubblico non può delegare né alla famiglia, né all'iniziativa dei privati un elemento che è costitutivo della possibilità stessa di una Repubblica, quale l'istruzione, esso dovrà nondimeno accettare, nella sua configurazione, il condizionamento e in parte la guida di quei settori della società che producono, conservano e accrescono autonomamente il sapere. Di quella che oggi chiameremmo la comunità scientifica. Il potere pubblico non produce sapere, né è in grado di giudicarne la verità o l'importanza, di valutare le competenze e i talenti. Questo compito spetta allora alla comunità degli studiosi.

(...) E' l'idea di un sapere prodotto collettivamente e fruito pubblicamente, fondato su una verità che altro non è se non l'autonomia della conoscenza, sottoposta a un processo ininterrotto di verifica. Il sapere, insomma, è il bene comune per eccellenza, il linguaggio razionale della collettività. E l'istruzione pubblica è lo strumento che ne fornisce l'accesso, rendendolo così effettivo. Nulla di più lontano e confliggente non solo con il catechismo statalista dell'"educazione nazionale", ma anche con quell'idea di proprietà intellettuale che presiede l'attuale corsa alla recinzione del sapere e la sua generale riduzione a merce. La proprietà intellettuale contraddice infatti fin nei fondamenti il concetto e la possibilità stessa dell'istruzione pubblica, poiché questa non può che poggiare sull'idea del sapere come bene comune inalienabile e universalmente accessibile, non in conseguenza di un principio morale, ma in quanto condizione materiale della convivenza civile.

Ma se il libero operare dell'intelligenza collettiva deve distinguersi senza ambiguità dallo stato ed essere al riparo dai suoi precetti, altrettanto deve distinguersi dal mercato ed essere sottratto alle sue leggi e ai suoi condizionamenti. (...)

L'autonomia dell'intelligenza collettiva, tanto dallo stato quanto dal mercato, ha inoltre un altro compito decisivo: preservare quelle attività e quelle conoscenze che non rivestono nell'immediato un interesse evidente, che non suscitano appetiti, né promettono una facile notorietà. (...) Ciò che sembrava ragionevolmente evidente a un accademico di fine Settecento, non lo è altrettanto per quei riformatori del presente che nel ricondurre la ricerca all'interesse contingente del mercato e ai bisogni di competitività delle imprese vedono la panacea di tutti i mali e la condizione di qualsiasi sviluppo. Con tanta maggiore cecità quanto più si fa imprevedibile il continuo rivoluzionamento del mercato.

Se il sapere è un tessuto relazionale, un bene comune inappropriabile e dunque incompatibile con i meccanismi del mercato, la sua diffusione generale, ossia l'istruzione pubblica, è altrettanto poco riconducibile a questi stessi meccanismi. Di più, di essa si deve dire che comporta una "diseconomia", una eccedenza rispetto a ciò che può essere ritenuto immediatamente necessario per conseguire un risultato previsto e determinato. (...) Che i soggetti non si risolvano nella loro professione, nella loro posizione sociale, che si trovino in uno stato di perenne tensione con il ruolo che son chiamati a ricoprire, grazie a quel "di più" di consapevolezza che l'istruzione può offrire, è una condizione imprescindibile di qualsiasi politica democratica. (...) Condorcet mantiene salda una idea di istruzione pubblica che non solo eccede le cognizioni pratiche richieste dal lavoro, ma anche i bisogni della società più in generale, per garantire la formazione di quei soggetti autonomi (e individuali), capaci di esercitare un giudizio razionale, che soli avrebbero potuto dare vita e senso alla Repubblica.

(...) Mai l'istruzione pubblica deve essere orientata a impartire le nozioni strettamente necessarie a svolgere un insieme determinato di mansioni. Ogni singolo deve possedere un sapere maggiore di quello richiesto dalla sua funzione produttiva e tradizionalmente concesso alla sua condizione sociale. Così, nel descrivere i criteri da adottare nell'insegnamento della medicina (che egli intende aprire alle donne), Condorcet polemizza con chi "pretende esser meglio che un'infermiera sia ignorante, perché allora essa si limita all'esecuzione meccanica degli ordini di un medico". "Ma io - conclude - non ho veduto ancora che l'ignoranza preservi dalla presunzione". Mentre ha ben visto invece che "questo sistema di tenere nell'ignoranza chi non deve che eseguire, allo scopo di trovare in lui uno strumento più docile, è comune a tutti i tiranni che non vogliono cooperatori, ma schiavi...". L'eccedenza di sapere è dunque necessaria non solo perché la facoltà di giudizio dei singoli (che ne costituisce la qualità politica decisiva) non sia soffocata nell'orizzonte ristretto della loro occupazione produttiva, ma anche perché questa occupazione stessa non si configuri come una condizione di schiavitù, bensì come un processo di cooperazione capace di evolversi. In questa eccedenza necessaria risiede quella che io chiamerei la natura "diseconomica" dell'istruzione.

(...) Il suo intento consisteva essenzialmente nel valorizzare quel divario tra funzione produttiva e sapere, tra ruolo e persona, che doveva opporsi alla formazione di una aristocrazia non già dei talenti, ma delle professioni. Eguaglianza e diffusione del sapere si ponevano, per l'autore delle "Cinque memorie" in un rapporto di reciproca necessità, che il potere pubblico solo poteva garantire, a patto di non lederne l'autonomia.

Il progetto di Istruzione pubblica, promosso da Condorcet, costituisce in realtà un'idea e un progetto complessivo di società. Una visione d'insieme che tocca tutte le questioni nodali della filosofia politica del suo tempo e oltre. Non c'è da meravigliarsi che il gruppo dirigente giacobino lo respingesse e lo combattesse con tanta veemenza. L'istruzione pubblica proposta nelle "Cinque memorie" aveva infatti indicato, spingendo lo sguardo molto oltre il suo tempo, uno spazio e un interlocutore che non era né il bourgeois, né il citoyen. Al primo sarebbe bastato il sapere utilitaristico dei mestieri e delle scienze applicate. Al secondo l'insegnamento delle leggi e dei principii morali, l'amor patrio e il talento retorico. Al soggetto scisso della modernità borghese un'opportuna miscela dei due. Diversamente, quella dimensione pubblica che Condorcet chiama in causa attraverso l'istruzione, getta lo scompiglio in questa partizione, facendola attraversare da un'istanza critica che intende giudicarne le pretese e le regole. Questa sfera pubblica che non è stato e non è mercato, che non è interesse particolare né "volontà generale", sono appunto i "lumi" intesi come intelletto generale della società, come intelligenza collettiva nel suo vivo operare e nel suo agire di concerto e, nello stesso tempo, come facoltà che appartiene a ogni singolo. Né il dispotismo, né l'interesse particolare possono essere rischiarati dai lumi che ne costitiscono anzi la negazione. Questa sfera non si colloca, infatti, pacificamente al fianco delle altre, lasciandone indenni prerogative e privilegi. Essa costituisce la premessa e la condizione di una nuova politica repubblicana, non statalista, non liberista.


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