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Manifesto-L'Italia ripudia la Costituzione? di Pietro Ingrao

L'Italia ripudia la Costituzione? PIETRO INGRAO Questo articolo apre il prossimo numero della Rivista del manifesto in edicola da martedì a venerdì Sono in debito di una risposta al mio am...

02/12/2002
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il manifesto

L'Italia ripudia la Costituzione?
PIETRO INGRAO
Questo articolo apre il prossimo numero della Rivista del manifesto in edicola da martedì a venerdì

Sono in debito di una risposta al mio amico Alfredo Reichlin, che sulle colonne di Repubblica (*) è intervenuto nel dibattito a riguardo dell'articolo 11 della Costituzione. A differenza di Giorgio Napolitano, il quale per gli scontri armati che hanno segnato la fine del Novecento respinge l'uso della parola "guerra" e parla di "azione militare" delle Nazioni unite, Reichlin afferma invece che sì "una guerra di dimensioni mondiali, sia pure endemica, è già cominciata, e noi in essa ci piaccia o no siamo già immersi". Protagonisti di questa guerra in atto sono la Superpotenza globale (gli Stati uniti) e il terrorismo. E questo ritorno della guerra è visto da Reichlin al tempo stesso come crollo di un ordine e caos in grandi regioni del mondo. Quanto al terrorismo Reichlin dice: è una rete complessa, "una corrente torbida che si serve delle nuove tecnologie per diffondere un messaggio di odio verso l'Occidente: spetta alle culture della democrazia e delle idee di libertà nate dall'illuminismo e dalle rivoluzioni democratico-borghesi raccogliere la sfida". E qui Reichlin fa appello a un ruolo nuovo dell'Europa per la costruzione di un assetto mondiale policentrico: l'unico - mi sembra di capire - capace di evitare l'avvento di "una nuova guerra mondiale endemica". Anche se in verità un'Europa, che assuma un tale ruolo autonomo, ancora non si vede. Il quadro quindi è amaro e cupo. E non sono celati né l'allarme dinanzi alla proposta di "guerra preventiva" avanzata dal presidente americano, né l'angoscia per le situazioni tragiche dell'Africa, dell'Asia centrale, e anche dei Balcani. Immagino che la preoccupazione oggi sia ancora più grande di fronte al rischio divenuto così forte di un attacco all'Irak, in quella straordinaria riserva di "oro nero", che fa di quel Paese un punto strategico del mondo. Reichlin non dice nulla però - almeno io non l'ho trovato - sulla questione (più piccola, se si vuole) che io ho evocato, e che in concreto chiedeva risposte sulla validità o meno dell'articolo 11 della nostra Costituzione. Intendiamoci: io sento bene il rischio di apparire ristretto - persino provinciale! - nel restare ancora aggrappato a quella piccola Carta italiana del 1948. E rispondo: sì, è vero, parlando dell'articolo 11 evoco volutamente la questione dello Stato-nazione, che ritengo dimensione niente affatto cancellata da quel fenomeno grandioso e drammatico che oggi chiamiamo "globalizzazione". E anche se ho chiara l'urgenza di una Costituzione europea e di una reale "Confederazione" a livello del nostro Continente, ritengo che intanto noi non possiamo e non dobbiamo liquidare - addirittura senza dirlo! - la Costituzione italiana: quella del 1948. Detto in altro modo la domanda che mi preme è: quale è oggi la legge? Lo dirò: la parola legge non mi ha mai entusiasmato: perché sento la difficoltà di chiudere dentro i lacci dei codici la complessità (questo termine che mi torna sempre sulla bocca) dell'esistenza dei singoli: nelle complicate varianze, e anche nelle indecisioni e persino doppiezze, che fanno la molteplicità del nostro esistere. Però da quando ero fanciullo mi hanno spiegato (con mia riluttanza) che c'erano delle regole pubbliche, e che ad esse dovevo adattare le mie pulsioni affettive, sessuali, fantastiche, estetiche, eccetera. Ho detto altrove la diffidenza che mi suscitano i giudici. E tuttavia - mi piacesse o no - dalla nascita io sto in un sistema di regole (con relative sanzioni) che controlla quasi ogni passo della mia giornata. E vivendo incontro in ogni momento una griglia di permessi o di veti. Da Berlusconi a D'Alema, a Ciampi, al ministro degli Interni, ed altri ancora, tutti - quasi ad ogni mio passo - mi ricordano che devo rispettare la Legge: questo sistema di regole che agisce nella sembianza dello Stato-nazione.

Domando: questa dimensione statalnazionale è morta ? Secondo me, no. Io e miei simili la incontriamo direttamente appena scendiamo in strada, e anche dentro la nostra camera da letto: non è forse vero che persino i nostri amplessi sono vagliati giuridicamente (figli, patrimoni, successioni, ecc. ecc.)? In Italia ci sono addirittura due Parlamenti (quasi mille persone) che lavorano a fabbricare (si potrebbe dire: scolpire) sistemi normativi. E lo fanno "in nome della legge": questa è la frase che ci hanno infisso nella mente da quando siamo entrati in una aula scolastica. Certo: vi sono poi vari livelli del sistema giuridico: ma pur sempre dentro un grande Codice che prima dell'unità italiana si chiamò Statuto e che poi ha preso il nome di Costituzione. E del resto (quasi dappertutto in Europa) i grandi reggitori dei diversi Stati-nazione, quando assumono il loro incarico, giurano (o no ?) sulla Costituzione. Dunque, sin quando questo sistema normativo statal-nazionale non è apertamente e consensualmente (o con una "rivoluzione") modificato o cancellato, noi (noi cittadini...) abbiamo diritto (ecco la parola antica) di pretendere il rispetto di quell'incastro di norme. Ed esistendo oggi in Italia (in questo Stato) una Costituzione (tra l'altro abbastanza recente, quasi ancora fresca d'inchiostro) abbiamo diritto di chiedere conto del rispetto dell'articolo 11, quel passo della Costituzione, che parla della pace e della guerra, e ragiona su eventi che per i cittadini possono significare la vita o la morte.

Sostengo allora: è possibile che quell'articolo 11 sia oggi superato, e venga cassato. Ma bisogna dirlo. E annullarlo si può solo dicendolo: e sottomettendosi alla prova del consenso del Paese. E se i Custodi della Costituzione non tutelano questo mio diritto mancano al loro compito: gravemente. Violano la legge.

Per ultimo, una parola sui pacifisti. Leggendo il testo di Reichlin si capisce che lui li sente vecchi e impotenti. Gli consiglierei cautela e - se è lecito chiederlo - ricerca. Io ho incontrato a Firenze parecchi (tanti) di questi pacifisti di oggi. Alcuni erano giovanissimi. Alfredo: ti assicuro che sono una nuovissima generazione. E si vede. Altri invece sono avanti nella vita, ma ugualmente mi sembrano storie e persone abbastanza inedite. Alex Zanotelli e Gino Strada per esempio: anche con radici differenti e storie singolari. Un mio amico poi sostiene che questi pacifisti di oggi sono un intreccio di passione utopica e di razionalità. Alcuni sono più o meno ventenni. E non dicono più come nel `68: vogliamo tutto. E si vede già un impasto di culture europee. A Firenze si coglieva chiaramente una forte presenza di mondi mediterranei: francesi, spagnoli, greci, meno - così mi sembra - il Nord europeo. Ma su questo nuovo pacifismo - discutendo con Napolitano - ha detto cose chiarissime, sull'Unità, Tom Benetollo. E io non ho aggiunte da fare.

(*) Ingrao si riferisce all'articolo di Alfredo Reichlin, "Pacifismo integrale e nuovo ordine mondiale", Repubblica, 5 novembre 2002. Nella discussione sono intervenuti anche Giorgio Napolitano, "La guerra giusta esiste", l'Unità, 5 novembre 2002 e "Le azioni dell'Onu non sono guerra", l'Unità, 9 novembre 2002 e Tom Benettollo, "La terra è tonda, la guerra è guerra", l'Unità, 7 novembre 2002.


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