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Manifesto: «Il silenzio? Non è educativo»

La Iqbal Masih di Roma non ha ubbidito alla circolare Gelmini sui morti a Kabul. Parla la dirigente Simonetta Salacone: «No alla retorica, qui si riflette»

23/09/2009
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il manifesto

Cinzia Gubbini
ROMA
Simonetta Salacone è una storica dirigente scolastica di Roma. La sua scuola (materna e elementare), l'Iqbal Masih del Casilino, è salita alla ribalta della cronaca recente durante le contestazioni alla riforma Gelmini. Ma da anni è un punto di riferimento nelle politiche per l'innovazione della didattica. Una professionista, insomma, di cui si possono condividere o meno le idee politiche (di cui peraltro non fa mistero: è stata candidata alle ultime europee per Sinistra e Libertà). Ma ci sono pochi dubbi sulla sua competenza in pedagogia e nella gestione di una scuola. Invece per qualcuno è una «cattiva maestra». Stavolta a fare scalpore è la sua decisione di non far rispettare un minuto di silenzio per i soldati morti in Afghanistan, come aveva chiesto il ministero dell'Istruzione con una circolare.
Professoressa, le dedicano addirittura un editoriale del Corriere della Sera...
Non era certo mia intenzione fare polemica e finire in prima pagina.
Ma ora che la polemica c'è, e anche piuttosto feroce?
Rispondo senza problemi.
Perché non ha fatto rispettare il minuto di silenzio?
Innanzitutto io non ho certo vietato agli insegnanti di fare ciò che ritenevano giusto nelle proprie classi. Tant'è che alcuni insegnanti delle quinte hanno deciso, alla fine di una riflessione con gli alunni, di fare un minuto di silenzio.
Ma lei non ha «passato» la circolare.
Prima di tutto la circolare è arrivata alle 11,35, tant'è che molte scuole non l'hanno neanche ricevuta. C'era davvero poco tempo per discutere con gli insegnanti, cosa abituale nella mia scuola. Soprattutto quando si tratta di temi, come la missione in Afghanistan, che spaccano il paese. Credo di aver fatto soltanto il mio dovere di educatrice.
Secondo alcuni il lutto nazionale serve appunto ad unire il paese, aldilà delle polemiche.
Stiamo dunque parlando di retorica. Mi dispiace, ma io ritengo che la retorica fine a se stessa non abbia alcun senso, non sia educativa e tra l'altro non serva neanche a tributare rispetto ai soldati morti. Tra l'altro, ed è uno dei punti che affronterò in una lettera che appenderò domani (oggi, ndr) all'ingresso della scuola, sbaglio o è morto un soldato anche a luglio? Allora perché in quel caso non c' è stata questa mobilitazione? Il dolore si misura sul numero di morti?
Lei sta facendo polemica.
No, sto riflettendo. Tra l'altro nella circolare si chiedeva di rispettare un minuto di silenzio e di aprire una riflessione solidale. Sono d'accordo con il fatto che bisogna aprire una riflessione nelle scuole sui fatti di attualità, ci mancherebbe altro. Ma perché dovrebbe essere «solidale»? Intendiamoci: non sono contraria ai rituali come il minuto di silenzio. Ma deve essere su un tema chiaro. Ad esempio: quando sono morti gli operai della Thyssenkrupp abbiamo rispettato il silenzio. Lì è tutto chiaro: non si può morire sul lavoro perché non sono state rispettate le norme sulla sicurezza.
E in questo caso?
In questo caso è diverso. Il dolore per dei ragazzi morti c'è, è ovvio. Ma nel paese esistono opinioni differenti su questa missione, se sia di pace o no, a partire dal ministro Umberto Bossi. Allora bisogna entrare nel merito. Io direi ai bambini: attenzione, la pace non si fa con la guerra. Se si spara addosso alle persone si rischia di creare odio antioccidentale. La pace si fa portando insegnanti e ospedali. Non credo che ci sia nulla di male nel dire questo. Credo invece che sia diseducativo entrare in una classe di prima e dire: adesso rispettiamo un minuto di silenzio per i nostri soldati morti per la patria. Quale patria? Di cosa stiamo parlando? Un gruppo di papà di bambini della prima elementare stamattina mi ha ringraziato, ritenevano che imporre ai loro figli una cosa così, senza discussione, sarebbe stata una forma di plagio.
Invece per il ministro Gelmini tutto questo si chiama fare politica a scuola.
Il ministro non sa, forse, che nelle scuole facciamo i conti tutti i giorni con il pensiero critico. Quando parliamo di storia, di filosofia, di arte ci mettiamo in gioco, per fortuna. Quello che difendiamo tutti i giorni, con fatica perché è un equilibrio delicato, è l'esistenza di diversi punti di vista. Un pluralismo che è garantito anche dalla presenza in classe di più insegnanti. Ma come sappiamo, il ministro preferisce il maestro unico.


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