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Linguaggio, logica e informatica: che fine hanno fatto nelle "Nuove Indicazioni"?

Alla domanda di fondo, se la scuola debba fornire, oltre a valori culturali, anche risorse strumentali, per l'accesso ai diritti di cittadinanza, si può rispondere certamente di sì

11/09/2014
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da Insegnare

I programmi di matematica del PNI ("Piano Nazionale Informatica") e della Commissione Brocca, elaborati tra la fine degli anni ‘80 e l'inizio degli anni ‘90, in vigore in numerose  scuole superiori prima della riforma del 2010, si articolavano in  cinque grandi temi

  • geometria del piano e dello spazio
  • insiemi numerici e calcolo
  • relazioni e funzioni
  • elementi di probabilità e statistica
  • elementi di logica e informatica

e un Laboratorio di informatica, trasversale rispetto ai singoli temi, che prevedeva la "Utilizzazione di un linguaggio di programmazione, analisi di problemi e loro soluzione sia mediante linguaggi di programmazione, sia con l'utilizzo di un opportuno 'ambiente informatico' ".
Seguivano un commento ai singoli temi e delle indicazioni metodologiche. 

Qualche anno più tardi l'UMI (Unione Matematica Italiana) pubblicò una serie di volumi per la scuola secondaria (di primo e secondo grado) contenenti  proposte di attività da svolgere in classe con metodo laboratoriale, con l'obiettivo di dare un contributo alla condivisione di contenuti ritenuti significativi.

  • Matematica 2001, per il primo ciclo (scuola primaria secondaria di primo grado)
  • Matematica 2003, suddiviso in attività per il primo e per il secondo biennio della secondaria di secondo grado
  • Matematica 2004, per il quinto anno della scuola secondaria.

Anche questi percorsi didattici erano raggruppati in grandi temi (denominati nuclei essenziali); di cui riporto quelli presenti in Matematica 2003:

-  Numero e algoritmi
-  Spazio e figure
-  Relazioni e funzioni
-  Dati e Previsioni

a essi seguono temi (o nuclei) di tipo trasversale:

  • Argomentare, congetturare, dimostrare
  • Misurare
  • Risolvere e porsi problemi

​​​L'indicazione di questi stessi temi si ritrova, con termini leggermente diversi, negli ambiti  del progetto OCSE-PISA (overarching ideas), e sono ripresi, declinati in competenze disciplinari, nell'allegato al documento tecnico del DM 22/08/07 (Le Indicazioni nazionali emanate dall'allora ministro Fioroni); queste stesse competenze sono state poi riprese e riportate testualmente nelle attuali Indicazioni nazionali dei licei, e nelle "Linee guida dei tecnici e professionali".

Al di là del significato che si può attribuire all'evoluzione della terminologia adottata in questi successivi passaggi, non è possibile non notare la sparizione completa di un tema, “Elementi di logica e informatica”, che era stato l'elemento di maggiore innovazione dei programmi PNI, e che ora, più che tema trasversale ai diversi contenuti (e non solo dentro la matematica) sembra quasi evaporato in essi. Nelle nuove Indicazioni ritroviamo, in parte, il titolo (informatica), ma non il contenuto. Per capire cosa si intendeva con informatica alla fine degli anni Ottanta e nei primi anni Novanta basta rivedere i contenuti del laboratorio di informatica: “(...) utilizzare un linguaggio di programmazione e risolvere problemi”. Come prerequisito, c'era la necessità di una forte e articolata attività inerente i linguaggi e la logica: “È importante osservare che le riflessioni linguistiche e logiche potranno acquisire un risvolto fortemente operativo grazie allo sviluppo della parte di programma relativa all'informatica e alle caratteristiche dei linguaggi di programmazione. Ciò consentirà, tra l'altro, di cogliere le differenze tra il piano linguistico e il piano metalinguistico, tra il livello sintattico e il livello semantico, particolarmente evidenziate dalla pratica al calcolatore. Sarà dato altresì opportuno risalto alle analogie e alle differenze che intercorrono tra il linguaggio naturale e i linguaggi artificiali della logica, tra il ragionamento comune e il ragionamento formalizzato.”

Si volava alto, non c'è che dire. C'era una circolarità tra mezzi e fini, che manteneva la messa a fuoco del fine generale: formare un cittadino della società della conoscenza, dotato degli strumenti culturali per affrontare situazioni, ragionamenti, saper fare scelte ponderate, prendere decisioni...  

Da allora sono successe molte cose: la tecnologia si è evoluta a ritmi vertiginosi; essa ha fatto sì che l'utilizzo di queste “macchine” (evolute in varie forme: notebook, netbook, tablet, iphone, smartphone...) fosse sempre più pervasivo, tanto da farle diventare degli oggetti ormai indispensabili anche per poter esercitare gli elementari diritti di cittadinanza, e quasi delle “protesi” inseparabili, creando anche forme di dipendenza... . Con lo stesso ritmo si è trasformata la modalità di interazione, non più legata alla creazione di algoritmi, alla traduzione in linguaggi di programmazione (con il controllo degli aspetti sintattici e semantici, attraverso l'attività di debugging), ma a un'abilità sempre maggiore nel saper muovere velocemente le dita su tastiere prima e schermi touch poi...; ed è anche cambiata la percezione, da “macchina”, per quanto complessa, dominata concettualmente, come insieme di circuiti elettronici basati sull'aritmetica binaria (e, almeno per grandi moduli, smontabile) a “scatola nera” impenetrabile, anzi, della cui penetrabilità nessuno si interessa, visto che si tratta ormai di oggetti di consumo che vengono facilmente sostituiti, e quasi mai riparati.

C'è da chiedersi quale possa essere il ruolo della scuola in tutto questo, visto che i giovani “nativi digitali” sembrano non avere alcun bisogno dell'insegnante per appropriarsi di questo tipo di abilità; anzi, quando un insegnante si avventura in questi territori, con l'ambizione di competere su questo terreno (e senza proporne altri) può accadere che si presti al ridicolo, dato  il probabile maggiore impaccio rispetto ai propri studenti.  

E, tra tutti gli insegnanti, c'è da chiedersi quale possa essere il ruolo dell'insegnante di matematica, che vede in competizione le proprie aspettative di utilizzo delle tecnologie per veicolare apprendimenti significativi della propria disciplina, con le esigenze della società (rappresentate dai genitori, dalle scelte educative delle stesse scuole, in concorrenza tra loro talvolta al ribasso, dalle pressioni dell'industria dell'hardware e del software, dalle aspettative degli stessi studenti) di saper utilizzare queste stesse tecnologie per mille altri scopi che con la matematica hanno ben poco a che vedere...; una società che esprime questa scelta in modo molto chiaro, quando per esempio nei concorsi per la selezione del personale si attribuisce a una patente informatica (che si può conseguire in poche settimane) un peso paragonabile a quello di una laurea quinquennale (cfr. "Tabelle di valutazione dei titoli A e B" per le graduatorie d'istituto).

Alla domanda di fondo, se la scuola debba fornire, oltre a valori culturali, anche risorse strumentali, per l'accesso ai diritti di cittadinanza, si può rispondere certamente di sì: lo stesso “leggere, scrivere e far di conto” non è altro che un insieme di risorse strumentali, che richiedono anch'esse l'ausilio di artefatti (sebbene meno tecnologici, come la penna, il libro o il quaderno, talvolta la calcolatrice) senza i quali non vi è accesso a quei valori culturali la cui acquisizione la scuola vede come fine primario del proprio agire. 

Dunque, che fare? La soluzione non è a portata  di mano; certamente anche questa è un'occasione per rendersi conto, una volta di più, di quanto sia necessaria e urgente una maggiore osmosi tra la vita scolastica e quella sociale: non occorre che la scuola si intrometta nei modi, certamente più efficaci, con cui i nostri studenti apprendono le abilità di utilizzo degli strumenti telematici (penso ai corsi per le patenti informatiche all'interno dell'orario curriculare di matematica).  E' forse più produttivo “sniffare” (per dirla nel gergo degli hacker) quanto queste abilità pratiche acquisite fuori dalla scuola siano presenti in misura sufficiente per poterle sfruttare produttivamente in specifiche attività  orientate alla disciplina, colmando le inevitabili differenze che le esperienze non strutturate della vita comune portano con sé, affinché questo non crei ingiuste discriminazioni di partenza; forse solo così, nella chiarezza dei ruoli della scuola e dell'ambiente sociale in cui vivono i ragazzi, si può risalire alla chiarezza iniziale dell'ormai defunto PNI, sulla distinzione tra mezzi e fini dell'insegnamento, ed evitare sterili atteggiamenti manichei pro o contro l'uso delle tecnologie a scuola, che in entrambi i casi, per il loro carattere dogmatico, sono di ostacolo all'acquisizione del pensiero scientifico.

maurizio.berni@istruzione.it

https://www.dm.unipi.it/fim/berni.htm


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