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Liceali, tutti al lavoro in estate. Come e dove? Questi sono dettagli

di Alessandro Robecchi

30/01/2016
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Il Fatto Quotidiano

Ruspante come una sagra di paese e sbuffante come una trebbiatrice in action, il ministro del lavoro Giuliano Poletti lo aveva detto: i ragazzi italiani fanno troppe vacanze, non come lui che mungeva le mucche a sei anni, o i suoi figli che d’estate andavano a spostare le cassette della verdura. Insomma, una lezione di vita, una madeleine degli anni Cinquanta, tipo quei nonni che dicono ai nipoti: “a te ti ci vorrebbe una bella guerra”. Ecco, il folklore è sistemato, e passiamo alle leggi dello Stato, piuttosto folkloristiche anche loro. Perché con la famosa “buona scuola” dovrebbe partire anche quella “innovazione storica” (cfr, la ministra Giannini) che è l’alternanza scuola-lavoro, diventata obbligatoria. Un discreto numero di ore (400 per gli istituti tecnici e 200 per i licei, su tre anni) in cui i ragazzi, alla fine della scuola, cioè a giugno, verranno smistati in aziende, consorzi, associazioni, istituzioni culturali, fabbriche, cascine, musei, start-up (sempre metterci le start-up, che fa fico) eccetera, eccetera. Quanti ragazzi? Almeno mezzo milione quest’anno e, a regime, un milione e mezzo: una specie di migrazione biblica.
C’è anche il manuale d’uso, complesso e trionfalistico (vi risparmio la retorica renzista e le parole inglesi), ricco di spiegazioni. Ad esempio si istituisce il “Registro nazionale delle imprese” disposte a fornire accoglienza e formazione, ma poi si dice (pagina 16) che non è necessario stare in quell’elenco per ospitare studenti in cerca di stage: basta che ve li pigliate.
Tutto pomposo e trionfante, tutto bello e luccicante. Finché non si entra in una scuola.
Se gli istituti tecnici conoscono un po’ la questione, la sarabanda riguarda i licei. Dove mandare migliaia di sedicenni affamati di vacanze dopo nove mesi di lezioni? Dove fargli incontrare il mondo del lavoro che li stupirà con il suo sistema etico, produttivo, culturale? Mistero. Nelle circolari dei presidi, nelle assemblee dei genitori, nelle mail accorate che girano tra le famiglie c’è un’agitazione che somiglia al panico. Musei, associazioni, istituzioni culturali non possono assorbire una simile massa di “volontari” obbligati ad esserlo, e a volte non vogliono, o non possono. Perché, dannazione, serve un tutor (eh, già) educativo, e anche un tutor (eh, già) aziendale… insomma, serve gente che ci lavori, e chi paga non si sa. I ragazzi, ovvio, lavorerebbero gratis, che forse è il fine ultimo del disegno: abituarli. E poi servono assicurazioni varie, che un liceale di Caserta o di Sondrio non esploda in un laboratorio di chimica o non finisca sotto un trattore.
Nelle scuole, specie nei licei, è il si salvi chi può. Genitori perplessi si chiedono come mai il figlio, piegato per mesi su Ovidio, debba finire in una stalla o in un ufficio a completare il proprio “percorso formativo”, i ragazzi ridono e scuotono la testa, i presidi fanno miracoli di creatività. Tipo inventare “l’impresa simulata”, cioè in molti casi finirà con gli studenti in classe, in giugno, che fanno finta di fare un’azienda: siamo a un passo dall’Allegro chirurgo, ma meno divertente e, soprattutto, obbligatorio. Le belle parole inglesi, la strabiliante riforma, le sorti luminose e progressive, i toni da rivoluzione culturale (via, via, tutti spostare cassette, non avete sentito il sor Poletti?) si infrangono contro la realtà. Le lettere dei presidi ai genitori per chiedere se non abbiano per caso un’aziendina, un’attività, un laboratorio dove piazzare qualche alunno e far bella figura nelle statistiche, stringono il cuore. La buona scuola, l’alternanza, la formazione, il project work, il problem solving, l’action-oriented learning finiscono lì: dai, su, prendete qualche liceale, fategli fare le fotocopie ed è fatta: siamo o non siamo modernissimi?

15 commenti »

15 Commenti a “Liceali, tutti al lavoro in estate. Come e dove? Questi sono dettagli”

  1. Per fortuna le scuole si mettono al passo: noi universitari sono anni che facciamo queste pagliacciate, spedendo gli studenti a fare “stages” presso lo zio gommista o presso “aziende” inventate o semi-inventate, a fare fotocopie…
    Ma tradotto nel linguaggio delle circolari, è un’egregia opera di inserimento nel mondo del lavoro!

    da Guido   - mercoledì, 27 gennaio 2016 alle 10:57

  2. Qualche tempo fa notai nella vetrina di un negozio il seguente avviso: “cercasi apprendista esperto”. Ma va!… Guarda un po’ dove siamo arrivati, pensai… D’altronde, uscendo dalla buona scuola i ragazzi non hanno ne arte ne parte, quindi un tirocinio è neessario… Ma dovrebbe essere un tirocinio serio che diventi produttivo per l’azienda, per lo Stato e di conseguenza per i ragazzi stessi. Penso però che date le attuali burocratiche cattive onerosi leggi un’Azienda difficilmente possa accettare gli oneri relativi senza un concreto contributo sociale… Un ospite di Radio Radicale di cui purtroppo non ricordo il nome, asseriva che l’aggettivo, “buona” nel caso della scuola, cambia il siguificato riferito al soggetto a seconda di dove viene collocato. Per esempio figlio di buona donna ha un siguificato negativo, viceversa figlio di una donna buona ne ha un altro di senso completamente inverso.

    da Vittorio Grondona   - mercoledì, 27 gennaio 2016 alle 11:26

  3. Insomma lavoro gratis durante le vacanze, realizzando profitto per le aziende, perchè lo ha detto il padroncino Poletti.
    Io mi auguro che chi ha figli insegni loro che non si lavora gratis.
    Dovrebbe farlo la scuola, ma mi pare che non sarà così.
    Voglio vedere le bocciature perchè non hai voluto lavorare gratis e come la mettono con l’art. 36 Cost.

    da david   - mercoledì, 27 gennaio 2016 alle 15:22

  4. Ragazzi o lavoratori meno giovani che hanno avuto esperienze simili all’estero,in Europa s’intende,non testimoniano di stage lavorativi gratuiti,un minimo di soddisfazione tocca darglielo,non penso che all’infante mungitore governativo venisse dato solo un po’ di latte da bere,considerata l’età qualche mancetta sarà pur arrivata,sfruttare gli stage che raramente si dimostrano solo didattici,bensì dopo alcuni giorni di lavoro gratuito si tratta,non è tollerabile.

    E sono sempre lì,a fare i fighetti con il posteriore degli altri è facile,anche perchè i figli dei politici da qualche parte si infilano,mentre se sei uno sfigato rischi la precarizzazione selvaggia sino alla matura età.

    da Ivo Serentha   - mercoledì, 27 gennaio 2016 alle 16:36

  5. il decreto c’e’ ma nessuno e’ preparato ed efficiente nel far fare qualcosa, qualcosa di utile, per far capire realmente cosa vuol dire lavorare , senza cercare la luna nel pozzo. Anche perché far fare qualcosa di scarsa utilita’, va a sommarsi ai carichi di studio , in alcuni casi, gia’ di per se pesanti. Concludendo , non facciamo i dilettanti allo sbaraglio, solo perché fare l’alternanza scuola lavoro fa figo altrimenti ci tocca dare il brevetto da sub a tutti quelli che si fanno il bide’

    da max   - mercoledì, 27 gennaio 2016 alle 21:13

  6. Da studente si faceva un lavoro di m… per guadagnare qualche soldo. Magari anche durante il semestre. E durante le vacanze si faceva uno stage per imparare qualcosa in una ditta abbastanza seria. Anche, ma non solo, perchè il regolamento della scuola lo richiedeva. Nel primo di questi stage in officina scoprii che esistevano gli operai. Una scoperta densa di conseguenze per la mia vita …

    da Marco da Zurigo   - giovedì, 28 gennaio 2016 alle 00:26

  7. Sono contenta che qualcuno denunci la retorica di questo provvedimento. Non riguarda soltanto l’estate. Anzi, il ministro Giannini ha detto a Corrado Zunino di Repubblica il 14 gennaio scorso: “Le segnalo un’altra disfunzione: diversi dirigenti scolastici al Sud hanno scritto alle famiglie che l’alternanza scuola-lavoro si farà solo in estate per non sottrarre ore alle materie di curriculum. L’alternanza scuola-lavoro è curriculum e si farà tutto l’anno”. Infatti mia figlia, terza liceo qui al nord, passerà una settimana in febbraio alla Corte d’Appello, mentre i suoi compagni e le sue compagne saranno sparsi per biblioteche. A fare quale lavoro? Non ho capito bene. La settimana dopo saranno in Inghilterra per preparare un esame internazionale. Il “programma” (che non si chiama più così) non è stato ridotto. Io preferirei che i liceali studiassero. Magari, volendo innovare, che imparassero tutti un po’ di informatica (o il pensiero computazionale e il coding, che suona meglio). Dovendo fare la scuola lavoro, mi pareva che l’estate fosse molto meglio, ma mio figlio più grande mi ha fatto notare che la scuola-lavoro, gratuita, d’estate toglie tempo agli studenti che lavoravano d’estate per guadagnare qualcosa perché, come molte delle persone che lavorano, avevano bisogno di soldi. Grazie davvero.

    da Irene   - giovedì, 28 gennaio 2016 alle 09:13

  8. Le obiezioni che si possono fare all’obbligo di alternanza s/l sono 100.000, del resto che siamo in mano a degli “apprendisti dilettanti politici” è cosa chiara.
    Però consiglierei a Robecchi di informarsi meglio e leggere con maggiore attenzione norma e guida operativa, per evitare di fare affermazioni facilmente smontabili e smentibili che invalidano poi anche le critiche che hanno ragione d’essere.

    da daria   - giovedì, 28 gennaio 2016 alle 10:58

  9. Cara Daria,
    non solo ho letto la guida operativa, la norma, ecco, ma posseggo anche una collezione completa di mail e scambi tra presidi, genitori, commissioni, ecc. ecc. che parla del proiblema, avendo un figlio al liceo… Ovviamente puà alzarsi chiunque a dire: nel mio liceo funziona… ma in generale non funziona

    da Alessandro   - giovedì, 28 gennaio 2016 alle 11:34

  10. l’Expo è finita, peccato, se no si poteva mandarli tutti lì e chissà quanti datori di lavoro avrebbero poi letto i relativi curricula extasiati. (a proposito, chissà se i giovani e le giovani dell’Expo sono ancora così contenti e convinti del loro stage estivo) (oh, pardon! non era uno stage?)

    da giuliano   - giovedì, 28 gennaio 2016 alle 13:47

  11. In Francia esistono stage in aziende che gli studenti universitari (ingegneri, chimici e del settore scientifico sicuramente, forse anche tutti gli altri) devono fare durante il periodo di studi. A giudicare da mia moglie che ne inquadra un paio l’anno direi che funzionano se e solo se sono organizzati in modo scrupoloso (cosa eccezionale in Francia!), dove ogni ora è pianificata. Il rapporto finale corretto dall’azienda è una sorta di tesina da presentare all’università. Vien da sè che il rapporto università-azienda è strettissimo in questo caso. Spesso svolgono il lavoro da tecnici di laboratorio, quindi a contatto con strumentazione scientifica relativamente avanzata, ma vengono pagati molto meno di un tecnico industriale. Quindi per l’azienda è tutto sommato un buon investimento.

    da sebastiano   - giovedì, 28 gennaio 2016 alle 21:47

  12. Scusa Sebastiano ma a parte che parli di Università, e quindi di persone ormai prossime all’ingresso nel mondo del lavoro e che comunque dopo l’università si devono fare stage o praticantati profesionali cosa vuol dire “funzionano” ?
    Che l’azienda guadagna ?
    Che l’Università acquista conoscenza ?
    Che lo studente ha precedenza nell’assunzione (ammesso che gli interessi) ?
    Insomma cos’è questo “funzionare” ?
    Se il funzionamento è un buon investimento per l’azienda grazie alla forza lavoro degli studenti che già pagano l’università (o che alle superiori si devono pure portare la carta igienica da casa)io tifo sabotaggio, altro che funzionamento.
    Un sorriso.

    da david   - venerdì, 29 gennaio 2016 alle 15:32

  13. io ho visto gli stagisti al lavoro, per molti anni, nell’industria chimica. In laboratorio, a loro piaceva; avevano sui 17 anni, maschi e femmine, se erano svegli gli facevano fare una parte consistente del nostro lavoro quotidiano. Con queste conseguenze: stagisti contenti, ditta che aveva forza lavoro per cui veniva pagata (dal governo) invece di pagare come forza lavoro. Penso che le ditte non dovessero pagare nemmeno l’assicurazione, anch’essa a carico dello Stato.
    Ma questo solo a partire dal Nuovo Millennio: prima, gli stagisti c’erano ma si mettevano di fianco a me e ai miei colleghi per imparare. Per imparare: perché ormai non si impara più, si viene buttati direttamente nel lavoro e i risultati spesso si vedono. Nel senso che finiscono in cronaca, magari negli ospedali o nei Lavori Pubblici… ma il più delle volte il Signore ci assiste. L’anticamera delle varie Manpower, Adecco, etc, insomma. E’ andata così. Amen.
    (ovviamente, con gli stagisti al lavoro d’estate sarà la fine anche dei pochi posti di lavoro decenti rimasti)

    da giuliano   - venerdì, 29 gennaio 2016 alle 16:23

  14. Giuliano scusa se mi permetto ma è un po’ una mia fissa, i posti di lavoro non finiscono mai, finiscono solo i diritti.
    Un sorriso.

    da david   - venerdì, 29 gennaio 2016 alle 18:56

  15. eh no David, se tu sapessi quante fabbriche hanno chiuso qui nel comasco negli ultimi dieci-quindici anni… E anche negozi, artigiani, tutte persone che conosco. Potrei farti l’inventario. Le industrie della seta oggi producono direttamente in Cina, prima del 2000 importavano la seta grezza, poi hanno continuato ma lasciando a casa il personale. Una storia comune anche alle lavatrici, ai frigoriferi, ai televisori. Poi dicono che c’è la ripresa: è ovvio, la ripresa magari c’è ma per i proprietari. I posti di lavoro sono in Cina, in Romania, a Kyssadove…e sempre meno, perché le nuove tecnologie fanno a meno del personale.

    da giuliano   - venerdì, 29 gennaio 2016 alle 22:14