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Liberazione-Lottare tutti per una scuola pubblica e democratica

Prosegue il dibattito sulla controriforma Moratti della scuola e il ruolo delle regioni Lottare tutti per una scuola pubblica e democratica Nel mese di settembre riprenderanno in tutte le sc...

13/09/2003
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Liberazione

Prosegue il dibattito sulla controriforma Moratti della scuola e il ruolo delle regioni
Lottare tutti per una scuola pubblica e democratica
Nel mese di settembre riprenderanno in tutte le scuole di Italia le attività didattiche: già da ora il clima che si respira nelle corrispondenze dei siti dei sindacati di base e non, nelle mobilitazioni dei precari (popolate e combattive ancora a scuole chiuse!) è di crescente e forte conflittualità. La stampa non può fare a meno di registrare il crescente disagio di tutti i lavoratori della scuola, degli studenti e dei genitori: precariato selvaggio, aumento dei libri di testo, carosello dei docenti, tentativo surrettizio di far applicare nei primi due anni delle elementari un ordinamento neppure votato né dal governo, né dal Parlamento, che stravolgerebbe la funzione della scuola di base trasformandola da istituzione pubblica a servizio a domanda individuale completamente piegato alla logica del mercato. Tutto converge a smascherare e a esplicitare il completo fallimento di una riforma scolastica aziendalista e neoliberista, quella della ministra Moratti. A questo si aggiunge il fatto che questa riforma, per motivi molto diversi e opposti ai nostri, è comunque osteggiata anche da parti consistenti della maggioranza. Non è un caso che alla vergognosa legge 53, votata il 28 marzo del 2003, non sono seguite le leggi delega che la avrebbero resa operativa. Insomma, ci sono le condizioni oggettive e soggettive, per fare in modo che questa controriforma si blocchi definitivamente. Su questo dovremmo tutti/e nel Partito concordare. Sembra una banalità, ma se condividessimo questo assunto, o se anche questo elemento fosse oggetto del dibattito, forse chiariremmo meglio l'origine delle divergenze, che emergono anche nell'agire del Partito sulle modalità di contrastare la riforma Moratti. Un conto infatti è pensare che il quadro normativo generale si possa cambiare e che comunque i prossimi due anni sono quelli decisivi per farlo; un conto è dare un giudizio negativo su un quadro normativo, che comunque si considera sostanzialmente già dato e solo parzialmente aggirabile. Così io leggo ad esempio l'iniziativa legislativa della regione Emilia Romagna e le argomentazioni che il compagno Guido Pasi porta a suo favore mi confermano in questa convinzione. In particolare vorrei riflettere sulle modalità con cui la legge Bastico interviene sull'obbligo scolastico, riempiendo il vuoto legislativo prodotto dalla legge 53 (Riforma Moratti), che abroga la legge 9 del 1999. Con questa l'obbligo scolastico si innalzava di due anni, da otto a 10, ma in attesa della approvazione di un generale riordino del sistema scolastico ci si limitava ad aumentare di un anno, fino a 15 anni. Ora si ritorna agli 8 anni. La legge 9 non fu una grande conquista, ma un compromesso del centro sinistra. In Europa restavamo comunque agli ultimi posti sulla durata dell'obbligo. Il retroscena del compromesso non era tanto il numero degli anni di innalzamento dell'obbligo ma l'incapacità e/o la non volontà del centro sinistra di definire in una legge duratura la vera questione sottesa, cioè l'unicità del luogo dove l'obbligo si assolve, perlomeno nel primo biennio (trienno) della scuola superiore. Fondamenti politico-culturali del compromesso, che tuttora permangono nell'Ulivo, sono il particolare interesse che le forze cattoliche hanno nel mantenimento e ampliamento della formazione professionale, ma anche il farsi strada fra i Ds di una concezione aziendalistica e produttivista della scuola. In realtà se veramente si vuole garantire il diritto allo studio non vi può essere doppio canale. Fino al 1962 c'erano le scuole medie con il latino e l'avviamento per i figli degli operai e dei contadini. L'obbligo era assolto, nella lettera della Costituzione, ma la selezione di classe era già ferocemente scattata. La scuola media unificata ha spezzato uno degli strumenti di questa selezione. La riforma Moratti si muove in senso contrario: dà organicità al doppio canale del secondo ciclo di studi: il sistema dei licei da un lato e quello della formazione e istruzione professionale, della alternanza scuola - lavoro dall'altro. Si valorizza la formazione professionale, già regionalizzata, più flessibile, meno omologabile e governabile da leggi nazionali, già profondamene intrecciata con il privato e con gli enti religiosi. E' questo doppio canale che va rimosso e contestato. Finché ci sarà il doppio canale non ci sarà garanzia di diritto allo studio con pari opportunità per tutti e tutte. Questa problematica è solo parzialmente presente nell'intervento del compagno Pasi quando parla del biennio integrato della legge Bastico. La soluzione proposta dalle regione Emilia Romagna non mi sembra quella adatta ad un innalzamento dell'obbligo in senso universalistico. Quella legge cerca di attutire la ferocia della selezione di classe che il doppio canale della Moratti metterà in atto, ma ne assume l'impianto. La sua utilità nel contrastare la riforma Moratti nel classismo del riordino delle superiori è assai dubbia e non si può misurare dal fatto che contro questa legge la ministra abbia promosso una impugnativa davanti alla Corte Costituzionale. La ministra è una avventurista del neoliberismo, che persegue il disegno tenace di distruggere nel più breve tempo possibile la scuola pubblica e ostacola tutto ciò che in qualche modo rallenta i tempi e tempera i contenuti del suo obiettivo. Altre regioni, anche governate da coalizioni di centro-sinistra con Rifondazione non hanno elaborato una legge, ma hanno sottoscritto protocolli d'intesa (limitati nel tempo, adeguati a un contesto in cui ci sono le chances per una modifica del quadro nazionale). Rispetto a questi protocolli ci sono dubbi sulla legittimità della procedura (è discutibile che un accordo possa sostituire un iter legislativo), e sul soggetto (la regione) a cui si affida il compito di garantire l'obbligo scolastico e sulla loro efficacia. Non a caso nella controriforma Moratti si abolisce il concetto di obbligo scolastico, cioè di una funzione e di una potestà che lo stato si assume anche in contrasto con le famiglie a tutela dei diritti del minore. Stando così le cose, con la legge Bastico e con i protocolli regionali esistenti, nessun ragazzo di 14 anni, finita la terza media, avrà l'obbligo di iscriversi in una scuola. Del resto qualsiasi legge regionale deve tener conto del vincolo legislativo nazionale. Per le materie riguardanti l'istruzione questo è la garanzia della esistenza di un sistema nazionale di Istruzione, che è interesse difendere e rafforzare, pena la creazione di sistemi regionali diversi, con conseguente abolizione del valore del titolo di studio, aumento delle disuguaglianze e differenze sociali, netta distinzione fra le scuole per le classi dirigenti e quelle per la futura manodopera flessibile e precaria, possibilmente non formata alla critica, alla consapevolezza storico-sociale, alla mentalità scientifica. Non è un rischio ipotetico, ma è scritto nel testo che Bossi ha presentato sulla devolution: "Le regioni attivano la competenza legislativa esclusiva in materia di: a) organizzazione scolastica, gestione degli istituti scolastici e di formazione;
b) definizione della parte dei programmi scolastici e formativi di interesse specifico della Regione". Non esiste, a mio parere, una via regionale alla lotta contro la Moratti
Giovanna Capelli


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