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Liberazione-L'insegnamento non è un bene di consumo

L'insegnamento non è un bene di consumo Mentre l'anno scolastico si apre nella bufera e si annunciano nuove mobilitazioni, il governo fa il suo spot sui finanziamenti alla riforma, dimentican...

14/09/2003
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Liberazione

L'insegnamento non è un bene di consumo
Mentre l'anno scolastico si apre nella bufera e si annunciano nuove mobilitazioni, il governo fa il suo spot sui finanziamenti alla riforma, dimenticando di dire però, che non sa dove li prenderà e che nella prossima finanziaria non ne vedremo l'ombra. Investimenti al momento virtuali per salvare la faccia alla Moratti, ma soprattutto per sedare le crescenti preoccupazioni delle famiglie italiane, e al contempo per tentare di bloccare le proteste del mondo della scuola. Una operazione di facciata che non riuscirà, perché a fronte della promessa di investimenti, quel che è certo, è che famiglie, studenti e insegnanti avranno a che fare con un anno scolastico molto difficile, e le sorprese che arriveranno da qui a breve, sono di tutt'altro segno, ben distanti da un investimento sulla scuola pubblica.
Tagli, precarietà, blocco delle immissioni in ruolo, riduzione del tempo scuola, con la cancellazione del tempo prolungato e del tempo pieno, sono le cose concrete con cui faremo i conti da subito, come primo assaggio della riforma. Gli edifici scolastici resteranno fatiscenti e senza certificazione di sicurezza in tanta parte del paese. Aumenta il numero degli studenti e paradossalmente diminuisce quello degli insegnanti. La politica di questo governo ha bloccato le immissioni in ruolo, incentivato il precariato, ridotto drasticamente il numero di insegnanti di sostegno, e si accinge ora a ripristinare la figura del maestro unico alle elementari. Si sta tornando a classi composte da trenta alunni, come quindici anni fa, imponendo agli insegnanti condizioni di lavoro impossibili. Tutto per comprimere il tempo della didattica ai "livelli minimi essenziali" di cui parla la riforma.

Un sistema come quello delineato, dove si anticipa l'ingresso dei bambini a quatto anni e mezzo per immetterli più rapidamente nella canalizzazione precoce fra formazione professionale o istruzione, dove può portare? Selezione di classe è la prima risposta. E se pensiamo alla cancellazione del tempo prolungato e del tempo pieno, è evidente quali gravi conseguenze questo possa avere per il percorso didattico di ciascun alunno, (cancellati progetti sperimentali, musica, e discipline artistiche, sportive), e quale impatto sulle famiglie che dovranno sostituire il lavoro didattico-educativo della scuola pubblica, con i servizi offerti dal mercato, o peggio con la Tv, per buona parte del pomeriggio. La frustrazione degli insegnanti è del tutto evidente. Tutto spinge, per l'appunto, in direzione di una forte riduzione dei contenuti, del tempo e della qualità dell'istruzione. Verso una scuola ridotta al minimo, una scuola piegata alla cura dei particolarismi, della quale viene esaltato l'aspetto confessionale e di parte.

Anni di riforme imposte dall'alto, dalla Berlinguer alla Moratti, senza confronto, senza partecipazione, in un susseguirsi di cambiamenti di sistema, hanno prodotto demotivazione, se consideriamo anche quanto poco sia riconosciuto in termini sociali ed economici il ruolo degli insegnanti. Ma la loro resistenza, insieme a quella degli studenti, è rimasta una spina nel fianco per la Moratti. Bloccare questa riforma è possibile. E determinante sarà l'impatto che le politiche della Moratti avranno sulle famiglie italiane già caricate quest'anno da un esponenziale caro-libri. Parallelamente la situazione del precariato, ridotto ad una guerra fra poveri, ma funzionale alla logica mercantile a cui si ispirano. Perché mentre si cancellano anni di diritti acquisiti, da parte de precari storici, e si cambia sistema di reclutamento attraverso le siss a pagamento, si finanziano le scuole private paritarie, spalancando la legge che il centrosinistra approvò. Scuole a pagamento, tra diplomifici e istituti di eccellenza per chi se lo può permettere e scuole pubbliche dequalificate per la maggioranza dei giovani. Un sistema di classe, una scuola che divide, per una società dove crescono disuguaglianze e ingiusitizie.

Il disegno di legge del governo, è ormai chiaro, tende a spingere il sistema verso la privatizzazione, a considerare la scuola come una merce che può essere acquistata dalle famiglie sulla base delle disponibilità economiche; a considerare l'istruzione non come un diritto ma come un bene di consumo. Una scuola che non è più un diritto della persona ma diventa un servizio a domanda individuale, che viene organizzata sul modello aziendale: gerarchizzazione e competizione tra gli insegnanti, mercificazione del sapere. Inoltre, l'Italia è il primo paese occidentale che prevede una riduzione dell'obbligo. Quello che si persegue è l'addestramento dei più piccoli, la preparazione della futura massa di lavoratori flessibili e dunque precari, la totale subordinazione del mondo della scuola alla produzione e all'economia. Bloccare questa riforma e cacciare la Moratti sono obbiettivi fondamentali. Occorre aprire un nuovo confronto plurale a sinistra, programmatico, coinvolgendo i movimenti, e le associazioni, per lavorare in questa direzione. Perché la difesa e il rilancio della scuola pubblica sono oggi un tema di cruciale importanza per il paese, la democrazia, e per l'alternativa alle destre.

Titti De Simone


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