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Le università contro le riviste scientifiche: «L’Europa indaghi»

L’associazione europea delle Università ha chiesto alla Commissione Ue di indagare sugli editori scientifici che farebbero troppi ricavi

13/11/2018
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Corriere della sera

Sara Moraca

Negli scorsi giorni l’ EUA, l’associazione europea delle università, su iniziativa degli atenei danesi, ha chiesto alla Direzione generale della concorrenza della Commissione europea di indagare sul mercato dell’editoria accademica, perché la mancanza di trasparenza e di concorrenza sta danneggiando la ricerca. La denuncia dell’associazione è chiara: il mercato è dominato da poche aziende molto grandi, che applicherebbero prezzi poco chiari e diversi da università a università, ricavando profitti molto alti a spese dei contribuenti e delle case editrici minori. Il meccanismo è il seguente: la ricerca universitaria viene finanziata con fondi pubblici, ma i ricercatori non vengono pagati per pubblicare sulle riviste scientifiche internazionali, anzi. Gli studi vengono pubblicati alla fine di un iter spesso lungo e tortuoso, nel quale i ricercatori interagiscono con uno o più reviewer. Una volta che le ricerche finiscono su un journal, sono le università a dover pagare per l’accesso alle riviste, a cui i ricercatori hanno contribuito con i propri studi.

«Big deal», ma per chi?

A seconda delle istituzioni, le università spendono tra i 300.000 e gli 8 milioni di euro per abbonarsi a queste riviste. Secondo l’EUA, le università europee spendono mediamente 3 milioni di euro l’anno per accedere alla conoscenza che hanno contribuito a creare. Per gli atenei, abbonarsi alla singola rivista risulta molto costoso, quindi spesso le università finiscono per accettare i «big deal» proposti dagli editori: pacchetti che comprendono anche riviste spesso non necessarie, ma che conti alla mano risultano avere un costo unitario molto più basso rispetto all’acquisto del singolo journal. È stato calcolato che, a livello nazionale, il costo di questi pacchetti può pesare sulle università per cifre che oscillano da 1,4 milioni a 97,5 milioni di euro: nel caso più ottimistico l’equivalente di un anno di lavoro di 31 persone, in quello pessimistico di 2.494. I prezzi dei big deal sono poco trasparenti, diversi da un’università all’altra, e tendono a salire anche del 3% annuo: un’indagine condotta sul gruppo Russell, una rete di 24 università britanniche, ha confermato che il prezzo richiesto all’istituzione è cresciuto del 18% in quattro anni. Per le università diventa quasi impossibile boicottare il sistema, perché c’è un’asimmetria di poteri.

I 5 grandi editori

La concentrazione attuale del mercato è fortissima: uno studio pubblicato nel 2015 ha chiarito che, a livello mondiale, oltre la metà di tutte le ricerche accademiche tra il 1973 e il 2013 è stata pubblicata da 5 principali editori. Il mercato, il cui valore nel 2015 era di circa 22 miliardi di euro, è dominato da Reed Elsevier, Taylor &Francis,Wiley Blackwell, Springer Nature e Sage. La posta in gioco, in termini di fatturato, è piuttosto alta: nel 2017, il segmento costituito dalle pubblicazioni a natura tecnico-scientifica ha fruttato a Elsevier più di un miliardo di euro. Inoltre, si sta assistendo a fenomeni di integrazione verticale: Reed Elsevier ha recentemente acquisito Aries System, il più grande fornitore di soluzioni per il flusso di lavoro utilizzato da riviste ed editori per la presentazione di manoscritti, peer reviews, il monitoraggio della produzione e i servizi ecommerce. Sembra, quindi, che le altre case editrici dovranno diventare a propria volta clienti di Elsevier. A oggi, solo il 25% del corpus globale delle pubblicazioni scientifiche è open access, ovvero accessibile gratuitamente e senza necessità di iscrizione ad alcun portale. «La richiesta dell’EUA è fondatissima. La scienza dev’essere libera e accessibile a tutti, questa concentrazione di potere nel settore dell’editoria scientifica potrebbe precludere l’accesso alla conoscenza a molti soggetti, specie a quelli che si trovano nei Paesi in via di sviluppo», chiarisce il professor Stefano Fantoni, ex presidente Anvur e attuale responsabile del progetto Trieste città europea della scienza 2020.

Scrivere per essere pubblicati

Il problema non si esaurisce qui. Le grandi riviste scientifiche non sono infatti esenti da altre controversie: il premio Nobel per la medicina 2013, Randy Schekman, aveva chiarito che uno degli incentivi più forti per i ricercatori è quello di poter vedere pubblicati i propri studi sui journal più prestigiosi. Questo, secondo il biologo statunitense, porterebbe i ricercatori a non servire sempre gli interessi della ricerca, perché finirebbero per indirizzare i propri studi al fine di ottenere conclusioni congrue alla pubblicazione su questi giornali, piuttosto che a lavori meno accattivanti ma spesso più importanti per la scienza in quanto tale. Anche il fisico britannico Peter Higgs,premio Nobel per la fisica nello stesso anno, è della stessa opinione. Secondo quanto riportato da fonti straniere, la Commissione sta prendendo in esame la petizione dell’EUA.