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La Repubblica-Dove era Dio mentre questo accadeva? -di E.Scalfari

TANTI anni fa, quando un ragazzo del Sud arrivava in una fabbrica o in una scuola del Nord, i compagni per definirne la provenienza e la condizione gli dicevano "terra ballerina". Più tardi gli epite...

03/11/2002
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la Repubblica

TANTI anni fa, quando un ragazzo del Sud arrivava in una fabbrica o in una scuola del Nord, i compagni per definirne la provenienza e la condizione gli dicevano "terra ballerina". Più tardi gli epiteti e i soprannomi sono diventati più pesanti e cattivi, ma allora non era così: "terra ballerina" era una definizione quasi affettuosa, equivaleva a poveracci, nati in un luogo di terremoti, un luogo insicuro, precario, ancora soggetto a trasformazioni telluriche, ancora percorso da torrenti d'acqua e di fuoco sotto la crosta sottile.
Gli abitanti di quelle terre ballerine ce l'hanno nel sangue quell'esperienza, l'hanno vissuta e l'hanno sentita raccontare tante volte dai padri e dai nonni, hanno vissuto accanto alle rovine non ancora del tutto rimosse lasciate dagli scossoni d'una natura imbizzarrita che si sgroppava di dosso tutto quello che c'era sopra come un cavallo selvaggio che non sopporti pesi sul dorso. Perciò sono nati sospettosi, scontrosi, ma anche fieri d'aver saputo nonostante tutto cavalcare quella terra e restarle aggrappati sul dorso senza farsene disarcionare. E quando sono partiti per paesi lontani in cerca di fortuna, hanno sempre pensato di ritornare per riconsegnare alla natura-matrigna le loro quattr'ossa pellegrine.
I ventisei bambini morti sotto il crollo della scuola di San Giuliano non sono purtroppo i primi uccisi dai terremoti degli ultimi cent'anni in quelle terre ballerine. Prima di loro ne sono morti a centinaia a Messina, a Reggio, ad Avezzano, nel Belice, in Irpinia, nel Molise. Ma non era mai accaduto che una scossa, una sola scossa mortale, colpisse solo bambini, ventisei in tenerissima età, insieme ad una delle loro maestre. Il caso ha provocato questo orrore e questa disperazione: una strage di bambini, quasi il 3 per cento dei mille abitanti di San Giuliano, un'intera generazione nata nel '96 e cancellata in sei secondi dalla vita di quel paese, un buco nero che ha risucchiato creature che pochi attimi prima erano ancora piene di allegria, curiosità, affetti, vita.
Il terremoto dei bambini, la strage dei bambini. Il paese colpito dalla sorte in modo così spietato li ha chiamati angeli, giornali e televisioni hanno ripetuto quel nome, angeli, volendo dire innocenti, incolpevoli, creature di paradiso, fiori ancora in boccio strappati anzitempo al loro rigoglio. Ma bambini è parola ancora più tremenda perché è una parola di realtà terrestre, di vite recise quando appena cominciavano a schiudersi, di persone sottratte ad altre persone e al proprio destino.
Un bambino che muore è il male assoluto. Quando muore a causa d'un cataclisma della natura è un male senza spiegazione. Perciò la natura umana che non sopporta il male privo di spiegazione scatta alla ricerca di un colpevoleColpevoli probabilmente ce ne sono e più d'uno nel corso degli anni. È colpevole il geometra di Campobasso cui fu affidata la progettazione e la costruzione del piano sopraelevato della scuola di San Giuliano? Possibile. È colpevole chi effettuò il controllo e il collaudo dell'opera? Possibile. È colpevole la Protezione civile che non avvisò il sindaco della pericolosità indiziaria della prima tenue scossa? È colpevole il ministero delle Infrastrutture che non registrò la richiesta dell'Istituto di geofisica di classificare quel comprensorio come zona sismica? Sono colpevoli i governi nazionali, ed ora quelli regionali, che non hanno mai avviato un'indagine sistematica di tutti gli edifici pubblici che accolgono stabilmente molte persone, in primo luogo ospedali scuole caserme carceri tribunali? Sarà l'inchiesta giudiziaria a stabilirlo.
Ma ciascuno dei possibili colpevoli ha la sua scusante già bella e pronta.
Il geometra non aveva alcun vincolo specifico perché la zona non era classificata sismica. Il ministero non aveva preso per buono l'avvertimento dell'Istituto di geofisica perché nel territorio di Larino-San Giuliano non si avvertivano scosse significative da settecento anni. I governi non hanno mai disposto il controllo di sicurezza su tutti gli edifici pubblici perché costerebbe una tombola e nei bilanci italiani manca sempre l'ultimo centesimo per fare una lira. La Protezione civile non avvisò il sindaco del rischio imminente perché la scossa di avvertimento aveva magnitudo di gradi 3 della scala Mercalli, quindi non significante e quasi non avvertibile. Se ad ogni tremolio del terreno di 3 gradi si dovessero chiudere uffici scuole fabbriche, mezz'Italia resterebbe ferma per metà d'ogni anno.
Del resto l'inchiesta giudiziaria già aperta dalla Procura di Campobasso non potrà risalire a cause così remote nel tempo e così diffuse nello spazio.
Dovrà limitarsi alle cause prossime e direttamente pertinenti. Difficilmente troverà il colpevole. E qualora lo trovi e il tribunale lo punisca, la richiesta di giustizia dei parenti delle vittime resterà comunque inappagata: la perdita che hanno subito, lo strappo che hanno sofferto, l'immagine di quei piccoli corpi, di quelle manine protese verso il cielo per difendersi dalla morte incombente, è troppo straziante per placarsi di fronte ad uno straccio di geometra e di tecnico comunale che avevano osservato le norme di legge e non erano andati al di là di esse con una prudenza non prevista e non richiesta.
Il buco nero aperto a San Giuliano da un inatteso sommovimento di rocce sotto la superficie del terreno che ha rapito alla vita 26 bambini è un evento troppo orribile per essere colmato da qualche mese di carcere o da una multa pecuniaria.
* * *
A un certo punto di quella terribile giornata del 31 ottobre, vigilia della festosa e inquietante notte delle streghe, il volto dolente d'un prete del paese colpito è comparso negli schermi della televisione. La voce aveva un timbro disperato per la strage d'innocenti di cui, a quell'ora, s'ignoravano ancora le proporzioni finali, ma soprattutto per un dubbio, una domanda angosciosa che emergeva dalla sua coscienza di sacerdote e uomo di fede.
"Che cosa pensa di quanto è accaduto?" gli aveva chiesto il giornalista mettendogli il microfono davanti alla bocca. Il prete aveva l'abito gualcito e sporco di terra, il colletto bianco sghembo sotto la talare e gli occhi persi nello sgomento. Dopo un silenzio di alcuni secondi, quasi che volesse impedirsi di esprimere un pensiero così profondamente blasfemo, ha detto: "Mi sono chiesto: ma dov'era Dio quando tutto questo è accaduto?" poi, dopo un'altra lunga pausa dolente, ha aggiunto: "Ho pensato: forse Dio si era distratto" .
Anche il giornalista che lo intervistava deve essere rimasto colpito da quelle parole, tanto che gli ha riproposto la domanda quasi per offrirgli una risposta meno tragica: "E adesso che cosa pensa?", il prete si è raccolto in se stesso e ha risposto a bassa voce: "Adesso penso che Dio era qui, tra noi, come sempre" .
Tra quelle piccole creature straziate dalla violenza cieca della natura, tra i pianti e le grida dei parenti atterrati dal dolore, l'accorrere delle barelle, dei volontari, dei pompieri, della gente, nella luce spettrale delle fotoelettriche, quel colloquio di strada tra un giornalista e un prete è stato secondo me uno dei punti più alti di un dramma che eternamente si ripropone alla coscienza degli uomini. "Dov'era Dio quando tutto questo è accaduto?", il Dio manzoniano, "che atterra e suscita/che affanna e che consola" non si era distratto: era lì come sempre perché Dio altro non è che dolore e gioia che si alternano per ogni creatura vivente, uomo passero albero farfalla fiore; si alternano a caso, senza altro disegno che quello della vita e delle sue forme.
La vita ha perso una parte preziosa delle sue forme a San Giuliano di Puglia, il 31 ottobre, poche ore prima della notte delle streghe.


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