La Provincia: Mussi: «L'università dev'essere europea» Il ministro interviene a conclusione dell'inchiesta sul futuro dell'università italiana che ha coinvolto docenti e ricercatori
«Il 3+2 va corretto, ma non è vero che non funziona - La fuga dei cervelli all'estero? Si argina pagandoli dieci volte di più»
Università. Il dibattito è aperto, le critiche più aspre riguardano il sistema dei tre anni di base cui si aggiungono i due di specializzazione
La Provincia ha pubblicato dal 9 ottobre ad oggi una serie di interventi di professori universitari che hanno dibattuto, attraverso le colonne del quotidiano, il tema dell'università italiana, il suo stato attuale, le preoccupazioni e le speranze per il futuro. Oggi, a tirare le fila della discussione, il Ministro dell'università e della ricerca Fabio Mussi. Al centro dell'analisi degli intellettuali su La Provincia c'è stato il sistema del 3+2, vale a dire della laurea triennale e i due anni di formazione specialistica che sono stati introdotti nelle università europee a partire dall'anno accademico 2001/2002. Da quell'anno, sono inoltre stati creati i nuovi percorsi di master universitario, in genere di un anno, di elevata specializzazione. Vale ricordare che la riforma è stata preceduta, il 19 giugno del 1999, dalla firma di una Carta con i principi della riforma universitaria europea, alla quale hanno aderito 29 Paesi, Italia compresa e altri non ancora dell'Unione, come Bulgaria, Lituania, Polonia e che il 25 maggio 1998 a Parigi era invece stata sottoscritta la Dichiarazione della Sorbona, nella quale si sottolineava il ruolo centrale dell'università per la costruzione e lo sviluppo di una «Europa della Conoscenza». Il Ministro Mussi lo ricorda. Ministro, il dibattito critico e spesso molto duro sulla nuova università del 3+2 non si ferma. Chi vive l'università ne vede più nei che pregi. Cosa succede alla nostra università? Dire che il sistema del 3+2 non funziona, come ho letto anche dalla vostra indagine, è un po' primitivo. Prima di tutto mi sembra opportuno ricordare che il triplo livello di laurea, laurea triennale, due anni di specialistica e master, non sono cosa nuova. Si tratta di un'idea che è stata realizzata per uniformare il sistema di istruzione europeo, certo, non posso negare che nella sua realizzazione abbia provocato effetti collaterali. Ci sono aspetti che vanno corretti, ma non si può dire che non funziona. In attesa delle correzioni però, giovani ricercatori e professori se ne vanno dall'Italia o scendono in piazza a protestare... Sette anni fa a Bologna ci impegnammo ad armonizzare il sistema universitario europeo, stiamo cercando di farlo, ma ci vuole tempo. Il prossimo anno ci sarà la prima verifica e sarà il momento giusto per tirare le prime somme. Inoltre, nel 2007 partirà il Settimo Programma Quadro di Ricerca e Sviluppo che permetterà a imprese, centri di ricerca e università di attingere a 53 miliardi di euro, soldi che andranno impiegati bene. Gli europei sono ancora scettici nei confronti dell'Europa, bisogna dare segnali concreti, fare nuovi passi nell'armonizzazione della conoscenza. Un primo scoglio da superare per evitare le fughe dall'Europa è il dottorato di ricerca europeo. Qual è il modo per tenere i "cervelli" in patria? Siamo sinceri, l'unico metodo che andrebbe applicato è quello di moltiplicare gli stipendi per farli tornare dall'estero o restare. Ministro, lei parla della necessità di armonizzare la cultura europea, ma concretamente nelle università è un processo ancora molto faticoso. Qual è il passo più urgente da compiere in questa direzione? Prima di tutto bisogna moltiplicare le occasioni di confronto tra i Paesi europei per fare nascere uno spazio europeo universitario. I Paesi devono capire che il campo della ricerca è assolutamente strategico e devono investire, io mi sto battendo moltissimo per questo. Oggi viviamo la rivoluzione della conoscenza, ma non l'abbiamo ancora capito. La cultura e la scuola non sono più "nazionali", ma già lo diceva Galileo o Copernico. Proprio per questo bisogna che i Paesi europei moltiplichino le occasioni di confronto sulle questioni più complesse come l'università e la ricerca, occasioni eccezionali di sviluppo. Rendiamoci conto che l'India e la Cina non stanno a guardare. Mentre noi dibattiamo sul 3+2 che, come ripeto ha bisogno di correttivi, ma non è da buttare, questi due colossi crescono sempre più in termini di forza scientifica e tecnica, formano una classe intellettuale sempre più preparata con la quale ci troveremo prestissimo a fare i conti. Lei all'inizio del suo mandato disse di essere disponibile a dimettersi se non si fosse fatto un grosso sforzo a sostegno dell'università e della ricerca. Ancora di quel parere? Io sto combattendo davvero per avere più soldi. I fondi dei progetti per la ricerca sono stati considerevolmente aumentati, ma non siamo nell'abbondanza, anzi. L'Italia spende per l'Università lo 0,88% del Pil: la media Ocse è l'1,2%. Non oso fare paragoni con le medie europee o americane. Abbiamo la metà dei ricercatori francesi, un terzo dei tedeschi, un decimo dei giapponesi, un trentesimo degli americani. Carla Colmegna