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“La mobilità dei prof non si può eliminare. Chi rinuncia, sbaglia”

Il ministro critica i precari pronti al boicottaggio: “Un simile piano di assunzioni non vi capiterà più”.

02/08/2015
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La Stampa

di Francesca Schianchi

Nell’arco di un anno e mezzo la legge potrà dirsi attuata». È passato poco meno di un mese dall’approvazione in Parlamento, tra le proteste di piazza, della riforma della «Buona scuola»: i passaggi per renderla completamente operativa si stanno compiendo, «è molto faticoso, ma dà grande soddisfazione», valuta il ministro dell’Istruzione, Stefania Giannini. Tra questi, il piano delle assunzioni: i precari che ne hanno titolo possono fare domanda sul sito del Ministero entro il 14 agosto.

E qui, ministro, ricominciano le critiche: il M5S parla di rischio di emigrazione forzata da Sud a Nord…
«La mobilità è un fenomeno ineliminabile, finché ci saranno molte cattedre a Nord e molti insegnanti a Sud: io mi sono laureata nell’84, ho amici che per insegnare si trasferirono a Pinerolo, a Lodi, a Vicenza…».

Ma non sarebbe ora di superarlo?
«Quel che stiamo cercando di fare è costruire un meccanismo che privilegi la scelta dell’insegnante: nella domanda si dà un ordine di preferenza alle cento province italiane. Dopodiché è chiaro che se in una provincia non ci sono posti, occorre spostarsi».

Chi è nelle Gae e non presenta domanda, scrivete sul sito che rimarrà nelle graduatorie fino alla “loro soppressione”. Cosa intendete dire?
«Se si preferisce si dica pure “fino al loro esaurimento”. Ma il messaggio è chiaro: il precariato non si risolve schiacciando un pulsante, ma tra due mesi e mezzo avremo assunto più o meno 100mila persone».

Però ci sono precari che stanno valutando di non fare domanda temendo di ritrovarsi di ruolo dall’altra parte del Paese…
«Io non credo valga la pena rinunciare: un piano straordinario di assunzioni come questo non si ripeterà facilmente. Ci sarà inevitabilmente una fase transitoria di un paio d’anni durante i quali i posti eventualmente vacanti continueranno a essere assegnati con le supplenze, ma questo è destinato a finire. Dopo la fase transitoria si entrerà per concorso, come prescrive la Costituzione».

Qual è la risposta che nel suo settore dà a un Sud che, dice anche Svimez, appare svantaggiato?
«La risposta più significativa che abbiamo voluto dare è quella dell’autonomia scolastica, per cui ogni scuola potrà misurare il proprio progetto educativo sulla base dei bisogni dei territori. Ci sono i Pon (fondi europei, ndr.): oltre tre miliardi in sette anni per le aree svantaggiate. E tra le misure del Piano nazionale di ricerca che presenterò al Cdm la settimana prossima ci sono 500milioni per la ricerca e l’innovazione nel Sud».

A proposito di ricerca: pensa di intervenire con una legge di riforma anche sull’Università?
«Penso che sarebbe avventuroso modificare meccanismi che sono appena stati cambiati. Una riforma di ampio respiro è stata fatta cinque anni fa: ne stiamo monitorando gli effetti per capire quali sono ancora punti di debolezza e quali i punti di forza da valorizzare».

Quali sono secondo lei?
«Bisogna lavorare su una maggior capacità competitiva a livello internazionale. Una prospettiva interessante è quella di scorporare il settore della ricerca dalle regole di assunzione della Pubblica amministrazione, per renderlo più flessibile e attrattivo per i talenti stranieri».

Perché nelle graduatorie internazionali le nostre università non sono mai ben piazzate?
«Ma abbiamo tanti laureati in posizioni avanzate in giro per il mondo, prova che hanno conseguito lauree di qualità. Bisogna bilanciare il massimo aumento di laureati – diritto allo studio per tutti i meritevoli e capaci – con strumenti di maggior sviluppo delle eccellenze che abbiamo».

Forse ci sono troppe università non tutte di alto livello mentre ne servirebbero meno ma di alta qualità?
«La presenza di un’università sul territorio penso sia sempre positiva, ma certo si può riflettere su una razionalizzazione e differenziazione: non tutti facciano tutto dappertutto. Le università devono fare la propria parte, avendo il coraggio di individuare al loro interno, e di concentrarsi, sui settori di maggior qualità: questo non sempre è avvenuto nel passato».

Ha detto diritto allo studio per tutti: è garantito, oggi?
«Dobbiamo fare di più, in termini qualitativi e quantitativi. Noi abbiamo messo 168 milioni nel fondo di diritto allo studio, ma è uno sforzo che va fatto di concerto con le regioni. E non tutte lo hanno fatto nella stessa misura».