FLC CGIL
Contratto Istruzione e ricerca, filo diretto

https://www.flcgil.it/@3765857
Home » Rassegna stampa » Rassegna stampa nazionale » La grandezza delle classi E '#8216; determinante per la riuscita degli alunni

La grandezza delle classi E '#8216; determinante per la riuscita degli alunni

La grandezza delle classi E '#8216; determinante per la riuscita degli alunni da https://users.skynet.be/aped Di Nico Hirtt traduzione di Paola Capozzi La preuve par STAR Il 3 maggio 2001, i...

20/03/2002
Decrease text size Increase text size

La grandezza delle classi E '#8216; determinante per la riuscita degli alunni da https://users.skynet.be/aped Di Nico Hirtt

traduzione di Paola Capozzi
La preuve par STAR

Il 3 maggio 2001, il giornale Le Monde titolava, a pag 9 : " La grandezza delle classi non è determinante per la riuscita degli alunni ". Il grande quotidiano francese si faceva così portavoce di un avviso prodotto da le Haut Conseil de l'Evaluation de l'Ecole (HCEE) in cui si affermava che " la politica di riduzione delle dimensioni delle classi, portata avanti per trent'anni, sul filo dell'acqua, non è stata efficace". L'HCEE proponeva, piuttosto, di orientare i (magri) mezzi disponibili verso l'aiuto individualizzato e la formazione degli insegnanti.

Eppure, una attenta lettura di questo articolo, firmato Stéphanie Le Bars, permetterebbe di scoprire proprio l'esatto opposto della tesi affermata nel titolo : " gli studi esistenti dimostrebbero che gli effetti non si rivelerebbero positivi se non quando le classi passassero da 20 a 15 alunni o da 15 a 10, ma resterebbero insignificanti qualora esse passassero da 40 a 20 ! Così, una delle più umportanti ricerche americane effettuata su un campione di 11.000 alunni (') dimostra che le classi tra 13 e 17 allievi permettono agli studenti di guadagnare 8 punti su 100". Ma, intendiamoci sulla conclusione : dal momento che una tale riduzione, sotto l'aspetto del budget, è troppo pesante per poter essere attuata, smettiamo di parlarne'

Le Monde sorvolava così un po' rapidamente su uno dei tre rari studi che hanno misurato scientificamente l'impatto delle dimensioni della classe sui rendimenti degli alunni : lo studio americano STAR '

La maggior parte degli insegnanti sul campo ne sono convinti : lavorano meglio e ottengono migliori risultati nelle classi piccole. Pertanto, dopo qualche anno, è di bon ton l'affermare che il numero di alunni per classe non avrebbe una particolare influenza sulla qualità dell'insegnamento. Se la tesi è comprensibile '#8211; e scarsamente credibile '#8211; sulla bocca di decisori politici che cercano di giustificare l'austerità dei budget, essa diventa più sconcertante quando a brandirla sono dei ricercatori in scienza dell'educazione o dei militanti di movimenti pedagogici. Altri, più incerti, stimano che la riduzione degli effettivi potrebbe essere efficace a condizione, tuttavia, che essa fosse utilizzata per permettere l'innovazione pedagogica. Su un punto il consenso sembra regnare : una semplice riduzione del numero di allievi, senza riformare le pratiche, non sarebbe operativa.

Questa convinzione guadagna terreno, anche in seno alle organizzazioni sindacali dove ormai non si osa più reclamare mezzi supplementari per una scuola democratica per il timore di essere tacciati di essere " corporativi " ou di " retroguardia ".

Le prove ambigue ambigue dell'inefficacia delle classi piccole

Bisogna riconoscere che un certo numero di sctudi sembrerebbe rimettere effettivamente in causa la presunta efficacia delle piccole classi in qualità di rimedio all'insuccesso scolastico o alla selezione sociale. Ho detto bene " sembrerebbero ", perché in realtà alcuni di questi studi non sono esenti da severe critiche metodologiche.

Per esempio, Waldo Hutmacher, del Service de la Recherche sociologique de Genève, ha mostrato che malgrado un importante programma di riduzione degli alunni effettivi nell'insegnamento primario ginevrino nei corsi degli anni 70 e 80, che ha ridotto il numero degli alunni per classe da 25,5 a 18,8 tra il 1972 e il 1988, non si è osservata una particolare diminuzione né dei ripetenti né delle diseguaglianze tra bambini di differente origine sociale [HUTMACHER 1993]. Lo stesso tipo di argomento viene avanzato da Eric A. Hanushek, che constata che la diminuzione regolare del numero di alunni per insegnante negli Stati Uniti non si è concretizzata in un miglioramento dei risultati nei test nazionali [HANUSHEK 1998].

I dati su cui si basano questi studi sono inattaccabili. Ma essi non dimostrano mezza calzetta quanto all'impatto delle dimensioni delle classi e questo per due ragioni evidenti. In primo luogo, gli alunni (e i genitori) degli anni 90 non sono gli stessi degli anni 70. Per esempio, le speranze che questi genitori potevano riporre nell'istruzione in un periodo di crescita economica durature e di generale elevazione del livello delle qualificazioni, risultano notevolmente diverse da quelle degli anni di massiccia disoccupazione e dualizzazione sociale. In secondo luogo, la scuola del 1990 non è più la stessa di quella degli anni 60 e 70. Molte riforme hanno avuto luogo, toccando i programmi, gli orari, le pratiche pedagogiche. Come distinguere l'impatto della riduzione degli effettivi per classe da quello degli altri eventi ? In altre parole, i fatti osservati da Hutmacher, Hanushek e da molti altri potrebbero analogamente tutti indicare benissimo che in mancanza di una riduzione degli effettivi la situazione sarebbe peggiorata ancora di più...

Queste obiezioni sono a volte respinte facendo mestiere dell'insuccesso di politiche volontariste volte a migliorare la qualità dell'insegnamento attraverso una riduzione drastica e rapida del numero di alunni per classe. Anche qui l'argomentazione manca di serietà perché essa non considera le scappatoie introdotte dalle condizioni stesse nelle quali hanno avuto luogo queste diminuzioni di effettivi. Per esempio, alcuni studi mostrano che il sovrappiù d'inquadramento devoluto alle Zones d'Education Prioritaire (ZEP) in Belgio e in Franciao ai loro equivalenti nazionali d'altri paesi, non avrebbero di poco migliorato i risultati medi di queste scuole. E' dimenticare un po' troppo presto che la caratterizzazione di una scuola ZEP è una stigmata che contribuisce a concentrarci i " publici difficili ". Siamo di fronte ad una situazione ben nota agli sperimentatori, dove la realizzazione della misura perturba le caratteristiche stesse di ciò che ha un senso misurare. E ciò vale anche per i magri risultati osservati in seguito ad una brutale diminuzione del numero di alunni nelle classi delle scuole californiane nel 96-97. Oggi si sa, notoriamente grazie al lavoro di Randy Ross, che questo scacco era imputabile essenzialmente alle condizioni di messa in opera di un progetto generoso. Per via del suo carattere brutale, precisamente, l'esperienza californiana a creato un deficit nel corpo insegnanti obbligando le scuole a reclutare insegnanti poco sperimentati e incitando gli altri ad approfittare dell'occasione per ottenere il proprio spostamento nelle scuole " facili ". Ci si è dunque ritrovati con ina concentrazione di insegnanti inesperti nelle scuole" difficili " [ROSS 1999]. In queste condizioni, la stabilità dei risultati degli alunni deporrebbe piuttosto a favore delle piccole classi dato che la diminuzione della qualità degli insegnanti avrebbe dovuto, a rigor di logica, comportare una caduta della qualità dell'insegnamento. !

Hanushek e altri invocano ugualemnte l'assenza di correlazioni statistiche tra il taglio medio delle classi in un paese e il suo livello di riuscita relativamente a test standardizzati internazionali (come le inchieste TIMSS et PISA). Ma se la Corea del Sud, per esempio, ottiene brillanti risultati in matemetica con classi di più di 30 allievi, questo non ci insegna nente quanto alle cause di questi buoni risultati, non più del resto di quanto non ci dica qualsiasi cosa sulla " performance " globale dell'insegnamento coreano. In ogni caso non si puà trarre alcun insegnamento quanto all'impatto del numero di allievi per classe.

A ben guardare, sembra che nessuno degli argomenti normalemnte invocati per contestare l'efficacia delle piccole classi sia accetabile ; perché nessuno si appoggia su uno studio realmente scientifico. Quali dovrebbero essere le condizioni di un tale studio ? Se si vuole misurare l'impatto di un dato intervento (in questo caso, la riduzione del numero di allievi per classe) su un insieme di caratteristiche osservabili tra degli individui (in questo caso i risultati scolastici), bisogna imperativamente lavorare con due campioni comparabili ed casuali, di cui solo uno sarà l'oggetto dell'intervento in questione. E' il solo modo per garantire che le osservazioni possano rendere " tutto uguale per tutti ". Ad oggi, per quanto ne sappiamo, solo due ricerche sono state realizzate in queste condizioni di rigore scientifico tralaltro elementari : da una parte lo studio americano STAR che andremo a spiegare in dettaglio più sotto, e dall'altra una ricerca attualemnte in corso, guidata dal Prof. Blatchford de l'Institute of Education à l'université de Londres (ritorneremo alla fine di questo articolo sui primi risultati preliminari dello studio del prof. Blatchford).

Il programma STAR

Il programma STAR (Student-Teacher Achievement Ratio) è stato lanciato nel 1985 dallo Stato del Tennessee. E' consistito nel seguire un gruppo di alunni durante quattro anni, dopo la scuola materna (Kindergarten, l'anno pré-primario) fino al third grade (terzo anno primario). In ogni scuola partecipante, il Département de l'Education du Tennessee ha diviso casualmente gli alunni e gli insegnanti in tre tipi di classe : le classi piccole (generalemnte tra 13 e 17 alunni), le classi normali (ammontanti tipicamente a 22-25 alunni) e le classi normali assistite da un aiuto- insegnante a tempo pieno (ugualamente composte da 22-25 alunni). Uno degli obiettivi era di comparare l'impatto di una riduzione degli effettivi con quello dovuto alla presenza di un aiuto-insegnante.

Al fine di evitare che le differenze dei curricula, le modalità di gestione, l'ambiente scolastico o altri fattori specifici di ciascuna scuola influenzassero i risultati, tutte le scuole dovevano essere sufficientemente grandi per poter organizzare ciascuno dei tre tipi di classe in ciascuno dei quattro anni che rappresentavano l'obiettivo dello studio iniziale.

Lo studio ha coperto un totale di 79 scuole in 42 distretti. Le locazioni sono state classificate in quattro categorie : (1) inner-city (scuole metropolitane in cui più della metà degli studenti avevano diritto a ripetizioni gratuite o a prezzi ridotti '#8211; dunque delle scuole a pubblico " svantaggiato ") ; (2) zona urbana ; (3) zona sub-urbana (quartieri della middle-class américana) ; (4) zona rurale.

L'ampiezza dello studio STAR è immensa : 11.600 alunni complessivamente sono stati seguiti (ma non sempre durante quattro anni, perché degli alunni hanno potuto cambiare di località scolastica nel corso della durata dell'indagine). Tra questi, 1.842 sono rimasti nello stesso tipo di classe durante i quattro anni e 2.571 sono rimasti nello stesso tipo di classe durante i primi tre anni della primaria (la Kindergarten non era obbligatoria nel Tennessee).

Ogni anno, gli alunni dello studio STAR sono stati testati in letteratura e matematica servendosi dello Stanford Achievement Test e del Tennessee Basic Skills First Test. I ricercatori del gruppo STAR hanno così potuto studiare l'evoluzione dei risultati scolastici. Nel corso dei successivi anni, differenti studi hanno comparato i rendimenti scolastici ulteriori degli studenti STAR. Anche oggi, che gli studenti STAR hanno superato i loro studi superiori e sono sulla strada del lavoro, dei ricercatori continuano ad apportare ogni anno il loro lotto di nuovi risultati.

I primi risultati : le classi piccole, queste vanno meglio !

Dalle prime pubblicazioni dei risultati, STAR ha dimostrato che gli alunnu delle classi piccole superavano quelli delle classi normali e delle classi con aiuto e questo in uttte le zone geografiche e in tutti gli anni di studio. Al contrario gli alunni delle classi con un aiuto-insegnante a tempo pieni non ottenevano risultati significativamente superiori a quelli degli alunni delle classi normali (diciamo d'emblée che nell'insieme dei risultati basati su STAR, l'impatto di un aiuto-insegnante è sistematicamente nullo, e qualche volta addirittura negativo ; non ne parleremo più in seguito).

In media, su quattro anni, gli alunni delle piccole classi avevano, in lettura, un vantaggio un po' superiore ad otte centili su quelli delle classi normali, con o senza aiuto-insegnante. Questo significa che in una graduatoria di alunni di cento livelli gerarchici della stessa dimensione, quelli delle classi piccole si situavani in media otto livelli '#8211; otto " centili " - al di sopra degli altri. In matematica lo scarto risultava un po' inferiore agli otto centili .

Un'altra misura della differenza tra piccole e grandi classi è ciò che gli autori chiamano effect size (termine per il quale ignoro se esiste un equivalente francese). Per ottenerlo. Si calcola lo scarto tra i risultati medi dei due gruppi e lo si rapporta all' scarto-tipo dell'insieme dell'effetivo (voir ci-dessous). Questo effect size era di 0,26 in lettura e di 0,23 in matematica. [WORD 1990]