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La fuga di Voltaire e la colpa di farsi sentire-di Dario Fo

La fuga di Voltaire e la colpa di farsi sentire di Dario Fo Voltaire non era più gradito nella sua patria, nella sua città, nella sua casa. Fuggendo era riparato in Germania. Pativa perché non ...

21/03/2002
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La fuga di Voltaire e la colpa di farsi sentire
di Dario Fo

Voltaire non era più gradito nella sua patria, nella sua città, nella sua casa. Fuggendo era riparato in Germania. Pativa perché non poteva usare più la sua lingua perché aveva salvato la vita per miracolo, perché viveva in un luogo sconosciuto e lontano.
Ma che cosa ho fatto, di che cosa posso essere colpevole? Si chiedeva continuamente in quei lunghi spazi vuoti di tempo. Che cosa posso avere commesso per essere inseguito da una simile ingiunzione all'esilio?
D'un tratto tutto fu chiaro, è come se un lampo gli si fosse aperto nella mente. "So qual è la ragione, - disse Voltaire a se stesso nel silenzio dell'esilio -. So qual è la ragione dell'isolamento, della minaccia, della fuga. La ragione è che ho parlato, ho espresso ad alta voce pubblicamente i miei pensieri".
Questo non ti perdonano. Non importa neppure quello che dici. Non è che stanno tanto ad ascoltarti. La cosa importante è farti tacere. Altrimenti sei tu il colpevole. Colpevole di avere parlato, coinvolto altri nelle tue idee.
È proprio ciò che è accaduto in Italia in poche settimane: all'improvviso un bel po' di opinione pubblica si è svegliata, un bel po' di gente è scesa nelle strade, un bel po' di voci si sono fatte sentire.
La sinistra si sveglia e invece di mostrarsi ingrugnata e arrabbiata per il lungo silenzio, si ritrova insieme attiva, gioiosa, con una gran voglia di parlare, comunicare, incontrare, ascoltare, farsi sentire.
In un primo momento qualcuno storce il naso e commenta: adesso si rivoltano contro i loro leader e ci sarà lo spettacolo di una bella spaccatura, ci sarà da ridere.
Un po' è stato così all'inizio ma la voglia di ricominciare era troppa e si sono visti in strada, quelli di sinistra, prima a decine di migliaia (vi ricordate al Palavobis?) e poi centinaia di migliaia come a Piazza San Giovanni a Roma, e ascoltano i loro leader ma anche si fanno ascoltare.
Non hanno tanta voglia di non esistere.
Inaspettatamente - intanto- si uniscono i sindacati.
Prima trattano e parlano poi decidono insieme ed erano secoli che non succedeva. Adesso sono lì, decisi, tranquilli, inflessibili. Provano a dividerli ne allettano qualcuno, minacciano altri ma non funziona. Allora dicono che la loro colpa, la nostra colpa è di esserci e di parlare e dicono tacete!
L'altra sera hanno ucciso un professore, uno specialista conosciuto e stimato da altri specialisti.
Uno a cui avevano tolto la scorta (come al commissario Luigi Calabresi, ricordate?) Adesso dicono che lo hanno ucciso coloro che parlano, coloro che si fanno sentire alla luce del sole, quelli del Palavobis, dei palazzi di Giustizia di Roma, di Milano, di Napoli, sono loro che eccitano gli animi, quelli dei cortei di professori con i cartelli in latino di Torino e Firenze.
Quindi eccoci di nuovo a Voltaire: il colpevole è chi usa la parola, chi esprime ad alta voce le proprie idee, chi parla è il vero colpevole di ogni delitto.


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