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La Cgil: più scuola-lavoro ma vietato sfruttare gli studenti

Le proposte del sindacato. Camusso: basta annunci e riforme a pezzi, serve rivoluzione di tutto il sistema dalle elementari alla ricerca. Portare l’obbligo a 18 anni

03/02/2015
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Corriere della sera

Claudia Voltattorni

«Va bene riformare la scuola, noi ci siamo, ma per farlo bisogna lavorare su tutto il sistema dell’istruzione, partire dalle elementari e arrivare fino alla ricerca, passando per la scuola superiore, gli istituti tecnici, l’università: basta intervenire aggiungendo e togliendo pezzetti, basta annunci, serve un percorso omogeneo, il sistema istruzione deve essere compiuto e nazionale». Ma prima, sottolinea Susanna Camusso, «bisogna ripensare a quale Paese vogliamo, perché per parlare dell’istruzione significa chiedersi prima che tipo di Paese vogliamo avere».
Poche settimane ancora e dopo mesi di annunci (e smentite) si conosceranno i dettagli del decreto della Buona Scuola con il quale il governo Renzi intende riformare la scuola italiana.

 
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Scuola-lavoro

In attesa, la Cgil fa le sue proposte per il sistema italiano e parte dal collegamento scuola-lavoro e evidenzia come serva un nuovo rapporto tra le due parti. La stessa segretaria generale del sindacato Susanna Camusso ricorda che «un Paese istruito avrà una qualità del lavoro più alto, più qualificato, più sviluppato». Ma dai dati presentati durante la giornata di confronto «Scuola Lavoro, le chiavi del futuro» organizzata a Roma dalla Cgil, emerge che l’Italia è al primo posto trai Paesi Ocse per analfabetismo funzionale (capacità di leggere e scrivere molto basica ma incapacità di applicarla alla vita quotidiana) che si accompagna ad una disoccupazione giovanile del 42,9% e al 31,55 di giovani «né-né», che non lavorano né studiano. A tutto ciò si aggiunge il dato degli abbandoni scolastici con il 17% di studenti che lascia la scuola prima della fine, come ricorda Daniele Checchi, professore della Statale di Milano e autore della ricerca Lost sulla dispersione scolastica in Italia.

Scuola dell’obbligo fino a 18 anni

«Prima di tutto - interviene Gianna Fracassi, segretario confederale Cgil - bisogna innalzare l’obbligo scolastico a 18 anni per acquisire le competenze necessarie per affrontare il mondo del lavoro», ma questo «deve essere garantito a tutti». La «rivoluzione culturale che propone la Cgil - dice Fracassi - prevede poi un sistema nazionale per l’orientamento permanente dei giovani in tutti i percorsi di studio e per tutta la loro durata, perché un giovane non sia costretto a scegliere il proprio futuro a 13 anni».

Alternanza scuola-lavoro

Va bene l’alternanza scuola-lavoro , «ma non come la propone la Buona scuola: non può esserci solo quello e non può essere rivolto solo agli istituti professionali ma a tutti gli indirizzi già dal biennio». E dal terzo anno, il monte ore è progressivo, esteso a tutte le scuole e specifico per i singoli indirizzi. «Ma servono standard omogenei per tutti - ricorda Fracassi -, vanno definiti la figura del tutor e i diritti degli studenti che non si devono trasformare in lavoratori nascosti e non retribuiti». Non solo. Gli istituti tecnici devono tornare ad essere dei punti di eccellenza e «non delle scuole di serie b come vengono considerate oggi». La loro offerta deve essere legata ad una richiesta del territorio e delle imprese locali. Servono più ore di laboratorio e una certificazione delle competenze uguale per tutti. Infine, ribadiscono sia Fracassi sia Camusso, «serve un confronto con tutte le parti interessate, coinvolgere il mondo della scuola», perché «questa impostazione di imporre senza parlare non va bene» e «delegare tutto alle imprese è un eccesso». Il lavoro, dice Camusso, «non può prescindere dalla scuola, ma l’istruzione è la precondizione del lavoro».

Imprese e scuola

Ma le imprese, dice Simona Malpezzi, ex insegnante e deputata del Pd che partecipa alla stesura del documento Pd sulla scuola, «sono fin troppo distanti dalla scuola: la difficoltà semmai è riuscire a trovarne di disponibili, scuola e aziende sono due mondi che non si sono parlati per fin troppo tempo», perciò, dice, «abbiamo pensato alla realizzazione di un’anagrafe nazionale per far incontrare scuola e impresa». Ma, aggiunge, le scuole, nell’ambito dell’autonomia, devono rivedere la loro flessibilità, due ore di laboratorio a settimana non possono bastare, scuola e lavoro hanno la stessa dignità». È contraria all’obbligo fino ai 18 anni, Malpezzi e spiega che «vorrei che i ragazzi decidessero di restare a scuola perché hanno voglia di imparare e non perché obbligati». Conclude Mimmo Pantaleo, segretario generale dei lavoratori della conoscenza Cgil: «Basta parlare di competizioni e classifiche, il mondo della scuola è fatto di collegialità, si deve cambiare insieme e discutere insieme seriamente della valorizzazione professionale di tutte queste persone e lasciare invece fare tutto alle imprese non va bene: attenzione all’idea che tutto ciò che è pubblico fa schifo e tutto ciò che è privato è bello».