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L'Unità - Vogliono sindacati comparse

Vogliono sindacati comparse di Nicola Cacace Cofferati si dà quasi due mesi di tempo per organizzare lo sciopero generale contro un chiaro disegno governativo, ridurre drasticamente il peso dei l...

23/02/2002
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l'Unità

Vogliono sindacati comparse
di Nicola Cacace

Cofferati si dà quasi due mesi di tempo per organizzare lo sciopero generale contro un chiaro disegno governativo, ridurre drasticamente il peso dei lavoratori e dei sindacati nel paese. Perché dovrebbe essere chiaro a tutti che la vera partita in gioco non è quella sull'art.18, che, pur toccando diritti importanti conquistati in decenni di lotte operaie interessa poche centinaia di unità ogni anno su 15 milioni di lavoratori dipendenti; la partita è un'altra, quella di chi, come diceva Keynes, vuole volpi e galline liberi nello stesso pollaio, vuole contratti individuali al posto dei contratti collettivi (vedasi documento di Parma della Confindustria fedelmente ripreso dalla versione del programma elettorale della Casa delle libertà diffuso su Internet), vuole che succeda anche in Italia quello che da Reagan e da Thatcher in poi è successo nel mondo anglosassone, ben sintetizzato dal premio Nobel Paul Samuelsson che, parlando proprio qui a Roma in Banca d'Italia sulle differenze tra modello europeo e modello americano di sviluppo usò, per l'America, l'espressione: "cowed trade unions in a cowed labor market", un sindacato soggiogato in un mercato del lavoro dominato da un solo attore.

La battaglia quindi non è sull'art.18, che in un clima politico diverso, un governo non appiattito su posizioni confindustriali, incomprensibili anche a tutti gli imprenditori intelligenti, si potrebbe anche negoziare in termini più concilianti, termini esposti in epoche diverse da esponenti del centrosinistra come Treu e Giugni. La battaglia è tra due concezioni opposte della democrazia economica e della democrazia tout court.

Quella di una economia sociale di mercato con un sindacato aperto alle innovazioni ma anche attore che conta nella contrattazione dei diritti dei lavoratori e quella di un turbocapitalismo, per usare le parole di Edward N.Luttwak e dell'ex ministro del lavoro di Clinton, Robert B. Reich, che semplicemente non vuole avere un vero sindacato tra i piedi. Io non so se Cofferati faccia bene a partire all'attacco senza accettare la tempistica puramente dilatoria dettata da Berlusconi, che sembra accettata dagli altri sindacati confederali, so che Cofferati sembra il solo ad aver capito l'importanza ed il senso di una partita storica di cui l'art.18 è solo il calcio d'inizio. Altrimenti si capirebbe poco o niente di quanto sta succedendo. Pezzotta ed Angeletti, che pure erano e sono contrari alla delega governativa dell'art.18 hanno accettato la proposta di Berlusconi di discutere per due mesi di tutto o quasi, senza togliere di mezzo la spada di Damocle della delega.

La battaglia sul tipo di società, con o senza veri sindacati, con o senza una vera democrazia economica, dovrebbe far riflettere anche sui risvolti economici negativi del turbocapitalismo e dei suoi effetti, ad esempio eccesso di rendite e profitti con salari e stipendi troppo deboli. Tutte le grandi crisi economiche o depressioni, come quella del 1929 e quella in atto oggi in due terzi del mondo, USA, Giappone, America latina, Sud Est asiatico esclusa Cina, hanno la loro origine in una chiara causa: una forte caduta della domanda aggregata derivante da politiche di ineguale distribuzione del reddito, il che succede quando il sindacato è debole o inesistente. Sta succedendo oggi quello che è successo settanta anni fa, nella crisi del 1929, dopo anni di politiche squilibrate a favore dei ceti più abbienti. Si arriva ad un punto dove due terzi dei cittadini non ha più soldi da spendere e produce il crollo della domanda aggregata ed un terzo che avendone troppi, specula in Borsa e magari sulle case, producendo danni come le bolle borsistiche e l'elevato costo delle abitazioni. Anche oggi come allora abbiamo la minaccia della deflazione che avanza ed anche oggi tutti si lamentano del calo della domanda aggregata mentre pochi si chiedono quanto questo non sia dovuto in buona parte alla ineguale distribuzione della torta nazionale da perdita generalizzata di peso dei sindacati in quasi tutto il mondo. Perdita di peso derivante in parte da loro errori e ritardi nel capire i cambiamenti del mondo del lavoro ma in buona parte derivante da precise scelte politiche dei Governi.
La scelta sull'art.18 non è che il calcio d'inizio di una partita ben più importante. La scelta tra una economia sociale di mercato, dove le associazioni dei lavoratori e degli imprenditori possano giocare ad armi pari con la mediazione di un arbitro indipendente per una giusta distribuzione della torta nazionale ed un turbocapitalismo con sindacati da operetta e lavoratori costretti a negoziare individualmente con l'imprenditore, buono a cattivo che sia. La scelta è netta e non può essere equivoca. Proprio volpi e galline libere nel pollaio come diceva il buon lord Keynes e come vorrebbe il "meno buono" dottor D'Amato. Questa è una scelta politica prima che sindacale, che coinvolge le visioni che ciascuno ha della società che vuole per sé ed propri figli. Perciò oggi il sindacato non può e non deve essere lasciato solo, tutto il sindacato, CGIL, CISL ed UIL, ognuno attraversato oggi da responsabilità e pressioni di ogni tipo, ma il cui travaglio va rispettato. Credo che questo lo abbiano capito i lavoratori italiani che hanno sinora risposto molto bene alle chiamate di lotta dei sindacati, ma credo che lo abbiano capito bene anche Angeletti e Pezzotta, entrambi con storie di lotte quasi sempre unitarie alle spalle, sempre a favore delle classi che rappresentano. Infatti anche per CISL ed UIL, sino a prova contraria, lo stralcio della delega sull'art.18 è e rimane una pregiudiziale, segno che hanno, sino ad oggi, capito bene l'importanza della posta in palio, che va ben oltre.


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