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Il prof che bandisce il concorso per sé «La legge vieta solo l’aiuto a parenti»

È nel Collegio accademico e partecipa alla selezione alla Normale di Pisa. Ok del Tar

27/03/2018
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Corriere della sera

Gian Antonio Stella

Il prof Giliberto Capano nato a Monfalcone è parente del prof Giliberto Capano nato a Monfalcone? No, ha risposto il Tar: di Giliberto Capano ce n’è solo uno. Lui. In persona personalmente, direbbe Totò. Quindi non rientra fra i «parenti» di cui è vietata l’assunzi one nello stesso ateneo del barone raccomandante. Nessun familismo. Nessun conflitto d’interessi: pretendendo di entrare alla Normale di Pisa dove era nel Collegio accademico si è fatto solo i fatti suoi.

C erto, i nostri burocrati han regalato al mondo chicche inimitabili. Si pensi all’«autodichiarazione d’esistenza in vita» che ricorda ai morti che «in caso di dichiarazione mendace» (metti che dichiarino da defunti d’essere vivi...) saranno perseguiti ai sensi del «Dpr 445/2000». Anche la sentenza 00225/2017 del Tribunale Amministrativo Regionale toscano (sezione prima) merita però di finire negli annali.

Partiamo dall’inizio. Il 9 settembre 2016 la Scuola Normale Superiore di Pisa, tra i primi atenei mondiali nel ranking procapite, apre una «procedura di selezione per la copertura di un posto di professore universitario di prima fascia per il settore Scienza Politica». Il 10 ottobre si candida anche Giliberto Capano, ordinario all’Università di Bologna, in via di uscita dopo sei anni di «distacco» alla Normale. Dove, al momento della candidatura, è ancora membro del Collegio accademico dove è entrato il 1° febbraio 2015 per restare fino al 31 ottobre 2016. Per capirci: anche nel periodo del bando al quale è interessato.

La legge 240/2010, nota come la «riforma Gelmini», è chiara: «In ogni caso, ai procedimenti per la chiamata di cui al presente articolo, non possono partecipare coloro che abbiano un grado di parentela o di affinità fino al quarto grado compreso, con un professore appartenente al dipartimento o alla struttura che effettua la chiamata ovvero con il rettore, il direttore generale o un componente del consiglio d’amministrazione dell’ateneo». Secondo l’università il testo non lascia equivoci: se c’è conflitto di interessi tra un cugino al quarto grado e l’eventuale consigliere di amministrazione Tizio Caio, va da sé che lo stesso Tizio Caio, se si candida a qualcosa, va considerato a maggior ragione in conflitto. O no? L’avvocatura dello Stato, chiamata a dare un parere, conferma: Capano va escluso. E così decreta il segretario generale: fuori.

Il professore estromesso, però, non ci sta. E ricorre al Tar. Sostenendo di non avere partecipato alla riunione specifica in cui è stata formalmente varata l’assunzione e che il regolamento interno della Normale (che rende se possibile ancora più inequivocabili le norme contro il familismo universitario, da anni al centro di scandali, polemiche e risse) è stato fatto dopo la sua esclusione.

E che fa il Tar? Prima concede la solita sospensiva, che in casi come questi non è negata mai, poi emette una sentenza in cui afferma come «il regolamento di ateneo non prevedesse alcun divieto di partecipazione a carico dei componenti degli organi della Scuola, limitandosi a sostanzialmente mutuare in parte la disciplina di legge». Ma come: non era già spiegato chiaramente tutto lì, nella «Gelmini»? No, rispondono i giudici amministrativi. E in ogni caso la precisazione della Normale non può avere effetti retroattivi. Tanto più che Capano il giorno della delibera non c’era.

La parte più interessante del verdetto, però, riguarda la tesi dell’avvocatura, secondo cui una lettura seria dei limiti introdotti dalla legge del 2010 contro il clientelismo «imporrebbe di ritenere che il divieto valga anche nel caso-limite in cui il candidato incompatibile non sia il parente, il coniuge o l’affine al componente dell’organo accademico, ma», come in questo caso, «lo stesso componente dell’organo». Insomma: se il conflitto di interessi riguarda mogli, figli, zii, cognati e parenti anche alla lontana come può non riguardare il protagonista numero uno: il professore stesso?

E qui arriva il virtuosismo del Tar: «L’argomento della Scuola resistente, dichiaratamente utilizzato in senso atecnico, secondo cui “ognuno è il primo parente di se stesso, il parente di grado 0”, è suggestivo, ma non convince». Testuale. Stupefacente, ma testuale. Secondo i giudici infatti «la ratio del divieto di partecipazione» di amici e parenti è di «contrastare uno specifico fenomeno, quello del cosiddetto familismo universitario».

Dunque se il legislatore ha elencato gli specifici destinatari del divieto voleva elencare esattamente solo quelli e «sul piano lessicale il divieto non può essere esteso al candidato il quale sia egli stesso componente dell’organo che ha deliberato la chiamata. Anche volendo estendere al massimo della loro portata semantica le espressioni adoperate dal legislatore, altro è l’esistenza di un rapporto di parentela, o affinità, o coniugio, dal quale deriva l’incompatibilità, altro è la titolarità in proprio di interessi potenzialmente confliggenti con quelli dell’organo/ente cui si appartiene».

E allora se il professor Tizio fa solo gli interessi di se stesso che c’entrano le regole contro il familismo? «Il legislatore non ha dettato una disposizione dedicata, in ambito universitario, al contrasto del conflitto di interessi tout court, ma ha individuato un’ipotesi qualificata di conflitto di interessi, quella legata, appunto, all’esistenza del rapporto di parentela o affinità, giudicata meritevole di particolare attenzione e di cautele aggiuntive».

Per il resto, amen: «La norma non si occupa affatto della differente ipotesi del conflitto coinvolgente interessi propri». Infatti, dicono i magistrati, non sarebbe «verosimile che il legislatore, pur volendo includere nel divieto di partecipazione anche i soggetti portatori di un conflitto di interessi in proprio (non derivante da legami familiari), abbia però omesso di menzionarli». Tutto chiaro? Se il professor Capano avesse fatto un passo per accontentare i propri parenti o «clientes» avrebbe potuto essere perseguito. Se si è mosso solo per gli interessi propri no. Proprio un messaggio educativo da trasmettere agli studenti...


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