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Il premier tira dritto e avverte i dissidenti “Fiducia al Senato, non ci fermeranno”

L’obiettivo è approvare la legge entro metà giugno per evitare il decreto sui precari. “Ma il dialogo non è chiuso”

13/05/2015
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la Repubblica
Francesco Bey
Come, è forse più del Jobs Act, la “Buona Scuola” è la bandiera che Matteo Renzi ha issato sul pennone di palazzo Chigi. E il muro alzato ieri dai sindacati, nonostante la «riapertura della sala verde», provocato una reazione speculare nel premier. «Minacciare il blocco degli scrutini e boicottare i test Invalsi è inaccettabile, a che punto sono arrivati! Qualsiasi modifica accettassimo — confida ai suoi — ormai sarebbe giudicata insufficiente, tanto vale andare avanti».
Convinto di aver dato prova di buona volontà, con il giro di consultazioni affidato a Orfini e Guerini, e che la mobilitazione della scuola — cavalcata da M5S, da Sel e da una parte di irriducibili della sinistra Pd — sia diventata per la Cgil e i Cobas l’ennesimo terreno di scontro politico con il governo, Renzi ha impartito l’ordine di procedere nei tempi e nei modi già concordati. Con l’obiettivo di arrivare alla terza e ultima lettura della Camera prima del 15 giugno, in modo da poter procedere alle assunzioni dei precari senza decreto e averli in cattedra per la riapertura dell’anno scolastico. L’incontro di ieri tra i ministri Giannini, Boschi, Madia, Delrio e i sindacati — disertato volutamente dal premier — non sarà comunque l’ultima occasione di confronto. Al Senato infatti il presidente della commissione Istruzione, il renzianissimo Andrea Marcucci, ha già previsto audizioni per i confederali. Senza tuttavia farsi illusioni su un ammorbidimento dell’ostilità manifestata finora.
E dunque, ecco la novità figlia del muro contro muro, a palazzo Madama è ormai certo che il governo metterà la fiducia. Non a Montecitorio, dove i numeri e il contingentamento dei tempi assicurano un passaggio indolore, ma al Senato la forzatura è giudicata da Renzi «necessaria». «Ci prenderemo la nostra responsabilità, come sull’Italicum, condurremo in porto la riforma mettendoci la faccia». La scelta di mettere la fiducia è frutto anche dei rapporti di forza a palazzo Madama, dove oltre venti democratici hanno già deciso di dare filo da torcere al governo. La minoranza di bersaniani e civatiani — alcuni dei quali scesi in piazza insieme ai sindacati nello sciopero del 5 maggio, gli stessi che non votarono l’Italicum — farà di tutto per bloccare l’iter del provvedimento e modificarlo secondo le indicazioni del mondo della scuola. «Sull’Italicum — spiega uno di loro — siamo rimasti isolati nel paese, ma sulla scuola tutto il popolo della sinistra è con noi». L’idea è quella di cavalcare l’onda della mobilitazione degli insegnanti per riconnettersi con un mondo che è sempre stato orientato verso il Pd. Un’altra carta pesante che gioca a favore della minoranza anti-renzi è nascosta nei numeri della commissione Istruzione. Dove la maggioranza si regge su un solo voto di differenza, ma la rappresentanza del Pd vede due senatori agguerriti come Corradino Mineo e Walter Tocci, entrambi vicini al fuoriuscito Civati. Certo, Renzi potrebbe chiedere al capogruppo Zanda che i due vengano sostituiti d’ufficio. Come accaduto alla Camera ai dieci ribelli dell’Italicum. Eppure, per il momento, ogni decisione è sospesa. Anzi, l’orientamento è quello di evitare prove di forza inutili e tenerle da parte solo come extrema ratio. «Il metodo giusto è il confronto», dichiara ecumenico Marcucci. Tanto più che qualche ulteriore limatura del testo ci sarà anche al Senato per venire incontro ai sindacati. Nulla di sostanziale, ma la delega, nel passaggio in commissione, «non sarà blindata ». La fiducia verrà posta invece in aula, per consentire un’approvazione sprint e il ritorno del ddl a Montecitorio per l’ultima lettura, quella definitiva.
Ma intanto c’è da gestire la nuova offensiva mediatica lanciata dai sindacati e dagli studenti, oltretutto a due settimane dalle elezioni. «Siamo dispiaciuti — commenta il sottosegretario Davide Faraone — per la mancata volontà di dialogo e per l’atteggiamento preconcetto che abbiamo visto». Secondo il governo, come spiega un ministro che ha partecipato al vertice in sala verde, «la questione non riguarda né i precari, né i poteri del preside. La verità è che ai sindacati interessa solo il contratto e non gli va giù che questa pioggia di soldi — 580 milioni all’anno — che diamo direttamente agli insegnanti, non passi attraverso la loro mediazione ». Tra gli euro che verranno caricati sulla “card” di ogni professoressa o maestra per l’aggiornamento culturale (500 all’anno) e quelli che saranno distribuiti in base al merito, «ci saranno 45 euro netti al mese in più in busta paga». Questo è il messaggio che Renzi intende far passare in questo mese. Sperando anche che alcune mosse degli “avversari”, come il blocco degli scrutini e la diserzione dai test Invalsi, non contribuiscano a suscitare simpatie tra i cittadini e le famiglie. «In questo modo, se vanno avanti a farsi guidare dalla parte più oltranzista di Cgil, Snals e Cobas — osserva un renziano coinvolto nella trattativa — si metteranno contro tutto il Paese». In ogni caso il premier ha già deciso. La riforma, come l’Italicum, sarà approvata nei tempi previsti. Anche perché è uno dei test per provare a Bruxelles che l’Italia fa sul serio.