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Il Papa agli insegnanti «Siete malpagati, questa è un’ingiustizia»

Scola sulle paritarie: un errore chiedere retta e tasse

15/03/2015
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Corriere della sera

CITTÀ DEL VATICANO «Cari colleghi e colleghe, permettetemi di chiamarvi così...». Francesco si rivolge in aula Paolo VI a duemila insegnanti e pensa a quelli che definì gli «anni felici» tra il 1964 e il 1965, quando aveva ventotto anni ed era professore di letteratura al «Colegio de la Inmaculada Concepción» di Santa Fé, in Argentina, un giovane gesuita che gli studenti chiamavano maestrillo e spaziava tra romanzi, poesia e teatro, fino a invitare Jorge Luis Borges a fare lezione nella sua classe. «Insegnare è un lavoro bellissimo» sorride il Papa, poi alza lo sguardo dal testo scritto e considera a braccio: «Peccato che gli insegnanti siano malpagati. Perché non c’è soltanto il tempo che spendono per fare scuola, poi devono prepararsi, poi devono pensare ad ognuno degli alunni: come aiutarli ad andare avanti».
Risate liberatorie, applausi tra i professori dell’Unione cattolica insegnanti. «È vero? È un’ingiustizia. Io penso al mio Paese, che è quello che conosco: poveretti, per avere uno stipendio più o meno che sia utile, devono fare due turni! Ma un insegnante come finisce dopo due turni di lavoro? È un lavoro malpagato, ma bellissimo perché consente di veder crescere giorno dopo giorno le persone che sono affidate alla nostra cura. È un po’ come essere genitori, almeno spiritualmente. Ed è una grande responsabilità».
Francesco parla in particolare dell’impegno degli insegnanti cristiani nella scuola, «a prescindere dalla sua gestione statale o non statale». Anche qui si tratta di andare «nelle periferie» che non possono «essere abbandonate all’emarginazione, all’ignoranza, alla malavita». Insegnare non si riduce alla «trasmissione di conoscenze tecniche» («per imparare i contenuti è sufficiente un computer») ma significa «costruire una relazione educativa con ciascuno studente, che deve sentirsi accolto e amato per quello che è».
Il «prossimo» di un insegnante sono i suoi studenti, c’è tutto Francesco nella raccomandazione centrale del discorso: «Il dovere di un buon insegnante — a maggior ragione di un cristiano — è quello di amare con maggiore intensità i suoi allievi più difficili, deboli, svantaggiati. Gesù direbbe: se amate solo quelli che studiano, che sono ben educati, che merito avete? E ce ne sono alcuni che fanno perdere la pazienza, ma quelli dobbiamo amarli di più! Qualsiasi insegnante si trova bene con questi studenti. A voi chiedo di amare di più gli studenti “difficili”, quelli che non vogliono studiare, quelli che si trovano in condizioni di disagio, i disabili, gli stranieri, che oggi sono una grande sfida per la scuola».
Sulle scuole paritarie si è invece soffermato a Milano il cardinale Angelo Scola, durante la tradizionale marcia Andemm al Domm : «Vogliamo crescere donne e uomini liberi. Vogliamo essere liberi di educare» ha detto a migliaia di ragazzi, genitori e insegnanti.
«Non smetteremo di chiedere agli organismi statali che la libertà di educazione si deve affermare in modo compiuto, come già avviene in tutti i Paesi avanzati» ha aggiunto: «Dobbiamo passare dall’idea della scuola paritaria come una modalità di essere scuola pubblica, all’idea di scuola libera, dove i soggetti che sanno fare scuola, ricevendo l’accredito dello Stato, possano effettivamente farla».
Conclusione: «Non basta più il pluralismo della scuola paritaria in un’unica idea, occorre un pluralismo di modelli. E chiediamo il giusto trattamento a livello economico: non è giusto per chi frequenta la paritaria pagarla due volte: con le tasse e con la retta».
Gian Guido Vecchi