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Il dovere di proteggere un paese troppo vulnerabile

Pietro Greco

20/11/2013
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l'Unità

Quello che si è verificato ieri in Sardegna è stato un evento meteorologico estremo. Intenso e raro, sul Mediterraneo. Lo hanno battezzato ciclone Cleopatra ed è stato causato da un vortice di aria fredda.Quel vortice si è staccato da una grossa perturbazione proveniente dalle zone artiche e, a contatto con il caldo Mediterraneo, ha fatto sì che si formasse e si scaricasse sulla Sardegna una «bomba d’acqua». Il nome Cleopatra non ha alcun significato scientifico. E «bomba d’acqua» è una pura invenzione giornalistica. Mentre tecnicamente potremmo definire il fenomeno che ha interessato la Sardegna un ciclone: un ciclone extratropicale, per la precisione. Ma la definizione tecnica ci dice poco, perché ogni depressione atmosferica è tecnicamente un ciclone. Dunque dovremmo chiamare ciclone (anzi, ciclone extratropicale) ogni perturbazione che giunge in Italia, che porta con sé vento e pioggia e che è causata dalla bassa pressione. Il che ci aiuta a capire poco quello che è successo ieri sull’isola dove, in alcune zone, sono caduti anche 470 millimetri di acqua a causa di una pressione bassa. Inoltre per ciclone, nell’uso comune, intendiamo ormai i fenomeni meteorologici estremi che si verificano nell’Atlantico (mentre i tifoni sono quelli dell’Indopacifico). In definitiva, dovremmo stabilire una nomenclatura più chiara e precisa per dare un nome chiaro e non ambiguo a questi fenomeni meteorologici estremi che, a quanto pare, vanno aumentando per frequenza e intensità a causa dell’aumento della temperatura media del pianeta. Ma il problema nominalistico non è che l’indizio dell’impreparazione che abbiamo ad affrontare i cambiamenti climatici, con il previsto aumento, per numero e intensità, dei fenomeni meteorologici estremi. Un aumento che è già in atto. L’aumento dei fenomeni meteorologici estremi in Italia si trasforma in aumento del rischio idrogeologico a causa della vulnerabilità del Paese. Una vulnerabilità demografica - la densità della popolazione è alta - e una vulnerabilità orografica: il territorio di quello che Antonio Stoppani chiamava il Bel Paese è montuoso, collinoso e soprattutto fragile. Ma i danni causati dai fenomeni meteorologici estremi non sarebbero così alti se accanto alla frequenza dei fenomeni e alla vulnerabilità dei luoghi non si abbinasse la scarsa percezione del rischio. Facciamo troppo poco per ridurre il rischio idrogeologico e proteggere noi stessi e le nostre cose. Sappiamo che il numero di morti in Sardegna a causa del dissesto idrogeologico è più alto della media nazionale. Ma non abbiamo fatto nulla per cercare di ridurla, quella tragica frequenza statistica. Dunque, non meravigliamoci se una ottantina di terribili tornado negli Stati Uniti nei giorni scorsi abbiano fatto meno vittime di un unico evento meteo, per quanto intenso, in Sardegna. Evitare che a pagare il prezzo dell’alta vulnerabilità e della bassa percezione del rischio siano persone con la loro vita è un valore in sé. Tuttavia accanto a questo valore che non ha prezzo, cambiare nei fatti la nostra percezione del rischio idrogeologico ne ha anche uno, di valori, economico. Anzi, a ben vedere, si tratta di un doppio valore. Uno è, per così dire, passivo: se investiamo dieci, nel giro di pochi anni, otteniamo trenta o quaranta solo perché evitiamo dei danni, alle persone e alle cose. E i morti, i feriti, i danni materiali hanno un forte costo economico. Ma c’è di più. Se modifichiamo la nostra percezione del rischio e trasformiamo la vulnerabilità demografica e orografica in un’opportunità, possiamo creare lavoro. E lavoro qualificato. Abbiamo un territorio fragile? E allora iniziamo a studiarlo e a utilizzare le migliori tecnologie possibili, materiali e immateriali, per renderlo sempre più adatto a sopportare eventi estremi. Abbiamo una fragile cultura del rischio? E allora mobilitiamo i nostri esperti, ecologi, ingegneri, maestri per rafforzare il territorio; per creare sistemi coordinati di pronto allerta (early warning) e pronta azione. Si calcola che per la sola messa in sicurezza del territorio occorrano oltre 40 miliardi di euro. E che ce ne vogliano altri per creare una solida cultura del rischio. Troviamo le risorse e attiviamole. Questo è un progetto - uno dei migliori e più utili progetti possibili - per uscire dal declino avviando un percorso di sviluppo sostenibile che offre lavoro, utile e qualificato. Proviamoci. Lo dobbiamo a coloro che sono morti e ai loro figli. A noi e ai nostri figl


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