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Il Corriere-L'UNIVERSITA' E LA RIFORMA

Il futuro degli atenei lombardi L'UNIVERSITA' E LA RIFORMA Quando è stata varata, qualche anno fa, la riforma del nostro sistema d'istruzione accademico, si è detto pomposamente che...

18/08/2003
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Corriere della sera

Il futuro degli atenei lombardi

L'UNIVERSITA' E LA RIFORMA

Quando è stata varata, qualche anno fa, la riforma del nostro sistema d'istruzione accademico, si è detto pomposamente che finalmente la nostra Università entrava nell'"Europa della conoscenza". Dopo le prime verifiche, a leggere l'inchiesta del Corriere della settimana scorsa sugli Atenei lombardi, le cose non stanno così. L'Italia è quasi il fanalino di coda in Europa: non ci sono soldi per un adeguato ricambio dei professori in cattedra, la ricerca stagna. E già si parla di problematico avvio del prossimo anno, addirittura con possibilità di blocchi dell'attività didattica. Paradossalmente dall'inchiesta risulta che sono state fortemente penalizzate prestigiose sedi storiche di eccellenza di studi, come Pavia, e invece - si fa per dire - premiate sedi periferiche, nate spesso con spirito d'improvvisazione, soprattutto per motivi elettorali. "E' giusto distinguere tra gli atenei che meritano di crescere e quelli che non lo meritano", ha detto Roberto Schmid, rettore di Pavia: "Una verifica è indispensabile, ma va favorito chi garantisce i risultati. E se questi non ci sono, si chiudano pure i finanziamenti". Ma è sul criterio di misura nella valutazione dei risultati che nascono le perplessità. C'è chi si appella a condizioni svantaggiose di partenza che creano - a catena - ingiustizie su ingiustizie. Ma soprattutto c'è chi contesta i "criteri quantitativi" imposti di fatto dal Ministero.
Solo qualche considerazione. Uno dei cardini fondamentali della riforma era quello di rendere autonome le Facoltà nel gestire il loro patrimonio culturale ed economico. Lo Stato, salvo qualche rara eccezione o piccolo aggiustamento, garantiva di mantenere il budget consolidato (gli stipendi del personale di ruolo esistente e qualche spicciolo per la ricerca scientifica) e lasciava libere le Facoltà di reperire fondi per badare a sostentarsi con i propri mezzi. Il che nella sostanza ha significato sopravvivere - a parte qualche più o meno generosa prebenda di Banche o Enti locali - con le tasse degli studenti e con gli incentivi che la legge prevede per quelle Facoltà che dimostrino efficienza. E il metro dell'efficienza, al di là delle belle parole, è diventato in concreto soprattutto il rapporto tra gli studenti che entrano e quelli che si laureano nei tre anni.
E' accaduto così che nelle sedi storiche, dove si aveva per tradizione il senso della serietà e della severità degli studi, si siano fatti responsabilmente conti giusti con le potenzialità scientifiche e didattiche. Mentre nei megatenei e nelle sedi di provincia si è spesso stabilita una corsa dissennata a predisporre percorsi di studio attraenti per i giovani, senza badare neppure alle reali competenze dei docenti. Che il discorso non detto, nascosto sotto le scelte così brillanti di tante Facoltà, sia quello di attirare le matricole con proposte allettanti, di carpire loro le tasse e poi di laurearli velocemente in tre anni, senza troppo guardarne per il sottile il vero rendimento, e beccarsi gli incentivi ministeriali?
di GIORGIO DE RIENZO

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