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I timori delle Regioni sulla scuola E il Pd va in pressing per il rinvio

Allarme per il ritorno in classe delle superiori il 7 Tra le ipotesi quella di slittare fino al 18

03/01/2021
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Corriere della sera

Gianna Fregonara

Potrebbe arrivare già oggi una prima indicazione sul destino del rientro in classe previsto per il 7 gennaio. È vero che i piani dei prefetti per riorganizzare gli orari e il trasporto pubblico sono pronti, che le Regioni hanno dato il loro ok a tornare in classe delle superiori al 50 per cento. Ma le preoccupazioni per i contagi in crescita e gli effetti della riapertura delle scuole aumentano. Il primo era stato il governatore della Campania Vincenzo De Luca che una settimana fa aveva annunciato un calendario molto diluito per riportare in classe gli studenti (la sua Regione aveva chiuso anche le scuole elementari e medie). Ieri il governatore del Veneto Luca Zaia ha riproposto le sue perplessità; l’assessore alla Sanità del Lazio Alessio D’Amato, molto vicino al segretario del Pd e presidente della Regione Nicola Zingaretti, ha fatto un irrituale e molto politico appello al governo «a riflettere sulla riapertura il 7: sarebbe molto imprudente, non solo nel Lazio ma in tutto il Paese». Per non dire di Michele Emiliano, presidente della Regione Puglia, Pd anche lui, che ha annunciato per oggi un’ordinanza che lascerà decidere alle famiglie se preferiscono far tornare a scuola i figli adolescenti o farli continuare con la didattica a distanza.

La situazione rischia di sfuggire di mano e per questo oggi la cabina di regia del governo incontrerà i vertici dell’Istituto superiore di Sanità per avere lumi sul da farsi. Il 5 si riunirà anche il Cts per discutere di scuola e vaccini. Non solo, anche il presidente della Conferenza delle Regioni Stefano Bonaccini, che in Emilia-Romagna è pronto a ripartire in presenza, ha proposto una nuova riunione con il governo «per decidere insieme, in maniera laica visto che anche gli esperti del governo sono preoccupati».

Il Lazio. L’assessore dem alla Sanità D’Amato: il governo rifletta, imprudente ripartire

La ministra Lucia Azzolina invece tiene il punto e ribadisce che «arretrare sulla scuola significa rinunciare ad un pezzo significativo del nostro futuro», ma nello staff del premier Conte, al quale spetterà l’ultima parola, cominciano a circolare dubbi sul da farsi. La decisione è complessa: nella maggioranza, mentre in ambienti dem si sottolineano le parole del virologo Burioni che spiega che «la variante inglese pare circolare con particolare intensità nei bambini e nei ragazzi» e i consiglieri di Speranza invitano alla cautela, ci sono i renziani che insistono per ricominciare la scuola in presenza. È vero che anche l’opposizione è divisa Matteo Salvini annuncia che i suoi figli non li manderebbe a scuola.

La ministra resiste. Azzolina: arretrare significa rinunciare ad un pezzo del nostro futuro

Tra le ipotesi allo studio, se si deciderà di non lasciare la parola alle Regioni, c’è quella di rinviare il ritorno in presenza al 18 per monitorare l’evoluzione del contagio. Non a caso era la proposta del coordinatore del Cts Agostino Miozzo, sostenitore della riapertura, che aveva consigliato nelle scorse settimane di prendere qualche giorno di tempo. Tra l’altro è la scelta che hanno fatto anche alcuni Paesi europei, Francia, Germania e Inghilterra in primis, che hanno allungato le vacanze di Natale o rinviato il ritorno in classe. L’ipotesi peggiore sarebbe quella di riaprire — al 50 per cento — e poi dover richiudere nel giro di poco: perché in quel caso di riaprire non si potrebbe parlare più, a meno che i contagi non scendano a picco o la campagna vaccinale proceda alla velocità di quella di Israele.


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