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I bambini nella scuola a distanza

Investire nel futuro dei figli può essere il motore della ripresa psicologica e motivazionale di un'intera comunità che metta l'istruzione al centro

21/05/2020
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Il Sole 24 Ore

Giusy Rosamondo

Era il 4 marzo 2020 e le scuole di ogni ordine e grado venivano chiuse in tutta Italia, gettando le famiglie nello sconcerto. Da lì a pochi giorni ci sarebbe stato il Lockdown generale. Il tutto in nome del Covid-19, una pandemia che ha messo in ginocchio il mondo e ridefinito il modo di interagire di interi popoli.

L'istruzione non si è potuta fermare come le attività produttive, ma si è dovuta adattare alla situazione contingente. Quindi si è sperimentata la Didattica a Distanza (DAD) in cui le scuole si sono gestite in autonomia, cercando di colmare lo storico gap tecnologico e rimodularsi verso una didattica fruibile da remoto. Ad oggi sono tante le proposte per ricominciare l'anno scolastico a settembre: per gli istituti la sfida sarà di trovare il modo per convivere con il Coronavirus riportando comunque gli alunni nelle classi in sicurezza. Facile a dirsi ma molto più complicato ad attuarsi. Tanto che nascono proposte che vorrebbero alternare la didattica in presenza a quella a distanza.

Siamo nella fase 2 e lentamente le attività produttive stanno riaprendo. Tutto ciò pone un serio problema: se si riprende a lavorare, i figli dove vanno? Il rischio è che la logistica legata alla scuola si strutturi sull'emergenza di “parcheggiare” i figli di genitori lavoratori, senza tenere in considerazione le dinamiche psicologiche di sviluppo dei bambini o adolescenti coinvolti. Ma bisognerebbe fermarsi un attimo e chiedersi se le carenze didattiche e metodologiche di oggi rimarranno come segni indelebili nel curriculum vitae di questi bambini; se la socialità in sviluppo negli anni scolastici, risentirà di tali cambiamenti; se la sovraesposizione tecnologica a devices non alteri la capacità comunicativa del bambino; se una scuola che esclude il contatto non sia foriera di fobie future. Sono tanti i dubbi leciti e opportuni.

Sicuramente quello a cui stiamo assistendo dopo i primi due mesi di DAD, è un calo di motivazione da parte degli alunni e disinvestimento nella scuola. Ritrovarsi a casa a studiare, avere come referenti didattici i genitori, esposti ad un ruolo non loro, perdere la routine sociale e l'incontro con i pari, ha fortemente leso lo spirito motivazionale con cui ci si approccia allo studio. Un distinguo bisogna però farlo tra bambini alla Primaria e adolescenti alle scuole di grado superiore. I bambini che per età, hanno ancora bisogno dell'ausilio di un adulto presente in ogni fase, hanno risentito di più del calo motivazionale. Gli adolescenti, invece, già avvezzi ad una vita social, si sono organizzati meglio ed hanno messo in campo strategie evolutive che li responsabilizzassero sempre di più.

Prendiamo in esame i bambini alla Primaria, quindi. Pensiamo al ruolo centrale che riveste la maestra per loro. La maestra, per ciò che rappresenta, non si mette in discussione e ha il ruolo non solo di far progredire negli apprendimenti, ma anche di far crescere il bambino nel contesto sociale in cui è inserito, fungendo da guida e contenimento. In questa situazione straordinaria la maestra diviene invece solo un ologramma, spogliato del suo significato originale. Il bambino perde il suo punto di rifermento, confuso tra ruoli che si accavallano e in un rapporto con la maestra mediato dal genitore che può addirittura arrivare a sostituirsi a lei. Capiamo bene che la confusione di ruoli e messaggi ambigui la fanno da padrone in giovani menti in evoluzione che per crescere in maniera equilibrata hanno bisogno di stabilità, riferimenti certi, coerenza, continuità e regole precise. Questo calo di motivazione deve essere preso subito in considerazione per non cronicizzare un disinvestimento nella scuola che rischia di minare il futuro del singolo e della comunità in cui è inserito.Pensiamo ad un bambino in classe Prima che deve ancora costruire un suo metodo di studio e che è esposto a tale confusione metodologica, inevitabilmente subirà i danni di un imprinting sbagliato.

La scuola è anche il luogo materiale di rapporti umani, tra coetanei e tra adulti e ragazzi. E' il luogo in cui si struttura la dimensione della socialità: nell'incontro con i pari nasce la consapevolezza di non essere al centro dell'universo, ma che il proprio pari ha gli stessi diritti e in quanto tale andrà rispettato. Si impara l'alternanza dei turni, la tolleranza delle frustrazioni, l'altruismo e anche la competizione. Tutto questo non può essere svolto da remoto e può finire per alimentare un isolamento che nella crescita porta, oltreché a problematiche specifiche inevitabili, ad un individualismo esasperato che mal si concilia con lo spirito comunitario e sociale.

Per non parlare del rischio di addiction da tecnologia. Gli psicologi da sempre fanno campagne informative per descrivere i rischi per i bambini e adolescenti di un'esposizione inopportuna e non controllata alla rete e agli strumenti tecnologici. La necessità ha sdoganato questi mezzi che sono diventati indispensabili per connettere, dando un segnale che è stato falsato dal bisogno. La Fase 2 deve essere il momento in cui si riprende il controllo degli strumenti tecnologici da parte dei genitori per un uso consapevole e dosato.

Un'altra conseguenza della DAD è il rischio Dispersione Scolastica: basta che non si abbiano gli strumenti per connettersi o una famiglia che non monitori il percorso didattico e la via verso la dispersione è molto probabile che si verifichi.

Dopo l'emergenza, bisogna calcolare i rischi conseguenti ad una DAD per evitare di cronicizzare derive psicologiche che avranno ripercussioni serie nella vita adulta degli interessati. Ma anche la scuola in presenza ha bisogno di una gestione accurata perché oltre la messa in sicurezza degli alunni, va preservata anche qui la dimensione psicologica. Infatti si prevede di gestire le classi tenendo conto del distanziamento sociale, che porterà a negare contatti diretti tra le persone. Sappiamo quanto il contatto fisico sia relazionale e contenitivo. Per questo ci si chiede come un bambino possa trattenersi dall'abbracciare la maestra quando piange o dal dare la mano all'amichetto quando ha bisogno di aiuto, senza che questo porti ad una fobia sociale futura.

La scuola è la prima autorità che il bambino riconosce dopo la famiglia e che quindi ha un compito formativo centrale nella sua evoluzione, non solo legata agli apprendimenti, ma anche relazionale nel senso stretto e getterà le basi metodologiche e strategiche con cui i futuri adulti si approcceranno al mondo del lavoro. Quindi serve una scuola che sappia essere organizzata e funzionale pur negli adattamenti futuri, altrimenti quali cittadini immetterà nella società di domani?