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Esami senza appello?

La proposta di un docente di ingegneria: «Vietare agli studenti di rifiutare il voto» L’esperto: più della media conta l’inglese

20/01/2016
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Corriere della sera

di Claudia Voltattorni

«Lei rifiuterebbe il voto dell’esame di maturità?». Ecco il punto. «Quello è un esame che arriva al termine di un percorso di studi. E così deve succedere all’università: c’è un corso e alla fine si fa l’esame». Una sola data. Un solo voto. Da prendere. Punto. Vietato rifiutare. Senza appello. L’idea è del professor Massimiliano Barolo, docente di Ingegneria chimica e presidente della scuola di Ingegneria di Padova, che ha preparato una serie di proposte per «migliorare il processo formativo della nostra facoltà». Tra queste, il divieto di rifiutare il voto assegnato dal professore al termine di un esame, prassi diffusa in molti atenei italiani e regolata in autonomia da ogni singola università.
Nel rifiuto, sottolinea, «non c’è nulla di pedagogico, anzi, è una perdita di tempo per i docenti e per gli studenti che rifacendo l’esame non migliorano la loro preparazione, piuttosto allungano la loro permanenza all’università, cosa che invece puntiamo a ridurre». Il professor Barolo sfata subito l’idea che «chi ci mette di più ha voti più alti: è un luogo comune, i laureati con il punteggio più alto di solito sono quelli che terminano in tempo». Parliamo di ingegneri, sottolinea: «A loro il mondo del lavoro chiede la definizione di un obiettivo, la pianificazione per raggiungerlo, la capacità di farlo nei tempi definiti». Quindi: essere capaci di scegliere un corso da seguire, decidere la data dell’esame e darlo senza rimandare è un modo per imparare quello che dovranno fare dopo la laurea.
Ma il discorso si può allargare a tutte le facoltà. Paolo Iacci, esperto di risorse umane e presidente dell’Associazione italiana direzione del personale (Aidp) lo chiarisce subito: «In un curriculum pesa di più la velocità di conclusione del corso di studi che il voto finale: troppo spesso in Italia gli studenti si parcheggiano all’università in attesa di trovare un’occupazione». Il professor Barolo vuole premiare chi finisce in tempo e rendere obbligatoria la frequenza alle lezioni. «Potremmo combattere l’abbandono dopo il primo anno — dice —: da noi i laureati trovano lavoro entro 3 mesi dalla laurea, ma il 30% delle matricole lascia al secondo anno, è un fenomeno che va combattuto, i ragazzi vanno aiutati da un tutor durante i corsi per poi sostenere gli esami».
Secondo i dati Ocse l’Italia ha il numero più basso di laureati triennali dei 34 Paesi più industrializzati del mondo ed è tra quelli con l’età media più alta. «Il problema però è mettere in condizione gli studenti di seguire le lezioni, di essere seguiti e di poter frequentare dalla mattina alla sera». Ivano Dionigi, oggi è il presidente di Alma Laurea, il consorzio interuniversitario che collega atenei e imprese. Fino a pochi mesi fa guidava l’Università di Bologna. Ricorda di professori che costringevano l’esaminando a firmare la rinuncia di rifiuto del voto prima dell’esame, ma anche di «studenti lassisti che usavano l’esame come una lotteria: più che vietare il rifiuto del voto bisognerebbe fare appello ad una reciproca serietà degli universitari e dei professori, a volte troppo sadici».
Lui insiste sul diritto allo studio: «Se per frequentare l’università devo mantenermi e lavorare è chiaro che ci metterò più tempo a laurearmi». Però poi per trovare lavoro chiarisce che il voto «è uno degli elementi importanti ma non fondamentali, a parte i concorsi pubblici», pesano di più «le esperienze di lavoro e all’estero, oltre, certo, all’ateneo dove ci si è laureati». Sorride. «Però non ho mai visto uno pieno di 30 e lode peggiore di uno con tutti 20...». Non è detto. Per Paolo Iacci sempre di più il voto è subordinato ad altri aspetti: «In un mercato con tanti laureati e pochi posti, è uno dei filtri ma non il principale, meglio la velocità e l’esperienza all’estero». Ma sopra a tutto resta la padronanza della lingua: «Pesa mille volte di più un ottimo inglese che 3 punti in più sul voto di laurea». E gli studenti? Per loro rifiutare il voto resta un diritto fondamentale, dice Alessandro Asmundo dell’Udu Padova: «Siamo contrari a modelli di istruzione stranieri importati in contesti completamente differenti come il nostro».