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Due riforme, una società

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14/06/2002
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Due riforme, una società
Incontro con Walter Moro, presidente del CIDI
di Agnese Bertello

L'impianto di una riforma, per quanto ci si sforzi di tenerlo nascosto, inevitabilmente, rivela il progetto culturale che le sta dietro. Secondo Moro, due sono gli obiettivi fondamentali della riforma Moratti: risparmiare, nel breve periodo, mantenere nell'ignoranza quei 22 milioni di cittadini che non hanno oggi in Italia la licenza media, nel lungo periodo. L'unica possibilità? La classe degli insegnanti che da anni lavora su concetti innovativi e che è restia ad accettare concetti, modelli pedagogici e sociali di un secolo fa.

Riforme a confronto
Vorrei partire, per fare una riflessione attenta sul rapporto tra scuola e società, tra scuola classista e società, dalla riforma dei cicli di Berlinguer, per poter poi fare un confronto tra il modello culturale che questa aveva alle spalle e il modello culturale su cui poggia invece la legge delega del ministro Moratti.
La legge 30 della riforma dei cicli cercava di superare la rigidità del sistema scolastico del nostro paese, basato su ordinamenti non comunicanti, semplificando il sistema scolastico: la scuola primaria veniva portata a sette anni, la secondaria, di cinque anni, era composta da un biennio e un triennio; l'obbligo scolastico era di nove anni e l'obbligo formativo andava invece fino ai 18 anni. L'architettura di questa riforma, mai casuale, mirava a garantire il successo a tutti, incentrando la discussione sull'apprendimento e non tanto sull'insegnamento. Questi sono gli elementi di forza della legge 30, legge che non è ancora stata abolita e quindi di fatto ancora in vigore. Un altro elemento di forza di questa legge era l'idea del sistema formativo integrato, idea che coniugava istruzione e formazione professionale, rendendo possibile il passaggio dalla formazione professionale all'istruzione, cosa oggi molto complessa. L'idea di fondo era quella di integrare la cultura con il lavoro, dare valore culturale anche al lavoro: non più inteso semplicemente come un fare, ma di cui si riconoscono le valenze culturali.

Negli anni di governo, il centro-sinistra ha puntato molto sulla scuola, sulla valorizzazione dell'innovazione, sulla continuità dell'innovazione, e i risultati si vedono, perché una cultura della progettazione integrata ha fatto strada, è penetrata all'interno della scuola molto più di quanto si possa pensare con analisi affrettate. Se si osserva bene, si vedrà che nella scuola in questi anni si è diffusa una cultura che afferma proprio questi principi, in particolare nella scuola di base, nella scuola elementare e media, idea che trova anche un suo riferimento concreto negli istituti comprensivi, dove appunto c'è uno stretto collegamento tra medie ed elementari

Il modello proposto dalla Moratti invece è di segno completamente opposto: viene riproposto il modello gentiliano della divisione degli ordinamenti cui corrisponde anche una divisione sociale per ceti. È un modello che qualcuno ha definito familistico-liberista. Negli slogan e nei messaggi che il ministro lancia, si sottolineano molto questo aspetto della libertà di formazione: il modello Moratti andrebbe in contro alle esigenze individuali del singolo e della famiglia, assicurando la libertà di scegliersi la scuola, di scegliersi il curricolo, di scegliersi quali ore fare'
Per noi, per il centro-sinistra, la scuola è uno strumento di formazione e di sviluppo culturale e sociale, per la Moratti, per chi ha elaborato questo progetto, invece, l'idea è che la scuola debba semplicemente prendere atto delle divisioni sociali e sancirle, riproporle, organizzarsi per perpetuarle; così se uno studente, per ceto, è destinato alla formazione professionale, farà un corso di formazione professionale, se è destinato a fare il liceo, farà il liceo.

Questo disegno di legge ha un approccio talmente ideologico che è difficile dire quali interessi rappresenta. Certamente, non è legato ai bisogni della scuola: credo sia l'unico disegno di legge di riforma complessiva che non tiene conto dell'elaborazione pedagogica della scuola. Tutte le riforme sono nate fotografando la situazione della scuola, all'interno della scuola, partendo dalla sperimentazione scolastica, questo no. Questo disegno di legge è frutto di mediazioni all'interno della maggioranza: Bossi da un lato, Fini e Giovanardi dall'altro e soprattutto Tremonti che ha imposto una riduzione della spesa per la scuola. È un collage di mediazioni politiche, ideologiche, economiche. In fondo in fondo, il progetto è quello di risparmiare sugli investimenti per la scuola pubblica. Circa il 20% dell'investimento attuale, 60 mila miliardi, che andrà dato agli insegnanti delle scuole private, risparmiando sul personale e metterne una quota sul mercato. Ovviamente parlo di prospettive, ma se questa destra rimanesse al governo per dieci, quindici anni, questa è l'idea che hanno in mente, certo non riusciranno neanche per sogno a realizzarla nei prossimi cinque anni'

I bisogni della società italiana
Noi ci dimentichiamo che i dati di scolarizzazione sono drammatici: nel nostro paese, nella fascia di popolazione tra i 15 e i 64 anni, 22 milioni di cittadini non hanno neanche la licenza elementare e 15 milioni di persone non hanno la licenza media.
Il tasso di abbandono scolastico, basso al momento del passaggio dalle elementari alle medie, intorno al 6%, invece, si aggira intorno al 30% nel momento del passaggio dalle medie alle scuole superiori. Radicalizzare questa scelta, irrigidire questa struttura a blocchi, significa quanto meno non ridurre il tasso di abbandono scolastico. Il modello della Moratti è destinato a fallire, perché si scontra con i bisogni sociale ed economici del paese. Il paese ha bisogno di più cultura, lo dice anche Confindustria, che non per nulla non è d'accordo con questa canalizzazione precoce, di fatto a 12 anni e mezzo. Dobbiamo elevare la qualità delle conoscenze e aprirci a un discorso di formazione permanente.
Il problema dell'insuccesso scolastico riguarda soprattutto gli istituti professionali: è lì che si ha davvero una forte selezione. Al di là degli approcci ideologici, la scuola deve promuovere e dare istruzione di base a tutti, garantendo un percorso almeno di 9 anni, poi è giusto che il sistema formativo comunque si adegui, si pieghi e assecondi le esigenze dello studente. L'importante è che chi fa queste scelte possa poi davvero rientrare in un percorso d'istruzione.
La riforma Moratti, invece, vuole mantenere le cose come stanno: quella fetta di popolazione lì - quei 22 milioni di cittadini senza licenza elementare -non deve continuare a non avere cultura, non deve acquisire strumenti di consapevolezza, non deve trasformarsi in un cittadino che sa esercitare il diritto di critica, deve essere un'area che consuma.

Modelli culturali e scelte organizzative
L'elemento culturale che ho esposto, e che costituisce il pericolo maggiore di questa proposta, è accuratamente tenuto nascosto, ma inevitabilmente traspare da alcune scelte organizzative e gestionali. Il nuovo sistema scolastico, secondo la proposta Bertagna, prevede una diminuzione del monte ore complessivo. Lo Stato, cioè, garantirebbe un monte ore settimanale di lezione di 24/25 ore, mentre le altre 300 ore annuali, che fino ad oggi erano garantite, diventano opzionali e vengono, per così dire, poste sul mercato. Gli studenti e le famiglie scelgono quali lezioni fare. Questo mette in crisi il modello del tempo pieno e del tempo prolungato, strumenti che hanno avuto un ruolo fondamentale nel nostro sistema scolastico, e ripropone un'idea che il centro-sinistra aveva tenacemente osteggiato. Noi siamo per una scuola che progetta integralmente il percorso formativo, mentre qui si ripropone il discorso delle ore aggiuntive, facoltative' Quali materie possono entrare in un curricolo di sole 25 ore? Se a questo elemento, già di per sé preoccupante, se ne associa un altro, cioè l'intenzione di dare in gestione alle regioni una quota del curricolo, si capisce che ci avviamo verso un'estrema frammentazione del sistema scolastico del nostro paese, mentre noi abbiamo bisogno di un percorso opposto. In questo modo si assegna anche un ruolo improprio alle regioni, perché è chiaro che ci saranno regioni con una offerta formativa molto forte e altre invece con un'offerta molto debole, regioni molto legate al sistema produttivo e ai suoi bisogni e altre che invece non saranno in grado di proporre altrettanto. Il passo successivo, e altrettanto pericoloso, è la modifica dello statuto giuridico dell'insegnante: partendo da un contratto nazionale di base, questo potrebbe essere integrato con quote di contratti regionali integrativi.

Gli insegnanti
La politica riformista del centro-sinistra si è concentrata molto sull'innovazione del sistema scolastico del nostro paese, il famoso mosaico berlingueriano, andato pienamente in porto. La riforma sul piano istituzionale è stata realizzata, abbiamo modificato la gestione con la legge sull'autonomia, abbiamo introdotto l'obbligo formativo, abbiamo cambiato l'università: il livello degli interventi istituzionali è stato enorme. Il punto debole, invece, è stata la sottovalutazione dei soggetti che dovevano applicare la riforma: insegnanti, dirigenti, personale della scuola. La vicenda del concorsone è stata drammatica perché ha dimostrato che la proposta fatta dai sindacati, e che aveva l'avvallo del ministro Berlinguer, nella scuola non era accettata. Da parte nostra non c'è stato un serio lavoro di coinvolgimento dei docenti come soggetti fondamentali del cambiamento. Questo avrebbe significato affrontare un discorso sulla professionalità del docente, individuare un nuovo statuto giuridico dei docenti, dare senso al lavoro dei docenti, renderli più protagonisti di alcuni cambiamenti. In alcuni casi, le riforme sono un po' state calate dall'alto, anche se, alla luce di quanto sta facendo oggi la Moratti, il nostro era un modello assolutamente democratico.

Come ho detto prima, però, la riforma del centro-sinistra partiva da riflessioni pedagogiche che andavano maturando in seno alla scuola da ormai trent'anni, e che oggi sono accolte dalla stragrande maggioranza degli insegnanti: la Moratti non ha ancora fatto i conti con questa realtà innovativa, all'interno della scuola. Non è scontato che il modello della Moratti si riproduca automaticamente, anzi credo che ci sia un divario profondo tra le proposte istituzionali e la realtà concreta, fatta di competenze, di spinte innovative. Ciò che davvero ha fatto finora la Moratti è stato bloccare tutti i progetti di sperimentazione avviati, mettendo decisamente in crisi molti docenti che si erano impegnati su questo terreno. Credo che gli insegnanti si siano resi conto che c'è bisogno di continuare sulla strada del cambiamento.
Non esiste una riforma a prova di insegnante: la scuola è un apparato di elaborazione, di discussione, la Moratti, ma ogni ministro dell'Istruzione, ha comunque a che fare con intellettuali e credo sarà ben difficile smantellare la cultura di innovazione che si è creata in questi anni.

Prospettive per il futuro prossimo
Cosa accadrà ora? La maggioranza di governo approverà questa legge, con qualche aggiustamento non significativo, ma non credo prima dell'autunno però, e non ci vedremo sue applicazioni pratiche già a settembre prossimo. Però, il ministro sta procedendo con una serie di sperimentazioni, la prima è prevista in una scuola di Trento. Per l'applicazione è previsto un periodo di due anni o due anni e mezzo. La legge quindi verrà applicata gradualmente, purtroppo però senza possibilità di controllo, e credo che a ridosso della fine della legislatura potrebbe essere applicata completamente. Danni ne farà comunque, ma l'opposizione non deve abbassare la guardia: il centro -sinistra deve tenere ben saldi i punti del suo progetto culturale, bisogna chiedere con una battaglia politica e culturale più forte e incisiva che vengano realizzate quelle leggi e quel quadro di norme già approvato dal parlamento e per ora rimaste lettera morta.


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