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didaweb-Tavola rotonda virtuale sul tema: quale futuro per l'Esame di Stato

Tavola rotonda virtuale sul tema: quale futuro per l'Esame di Stato Interviste in Didaweb Marisa Bracaloni Moderatore: MARISA BRACALONI Partecipanti: -ANTONIA BELLETTI, docente di Scienz...

02/08/2002
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Didaweb

Tavola rotonda virtuale sul tema: quale futuro per l'Esame di Stato
Interviste in Didaweb
Marisa Bracaloni

Moderatore:
MARISA BRACALONI
Partecipanti:
-ANTONIA BELLETTI, docente di Scienze presso il Liceo Classico - Pedagogico "G. Cesare - M. Valgimigli" di Rimini
-ALBERTO BIUSO, docente di Filosofia presso il Liceo Classico "Beccaria" di Milano
-MAURIZIO PISTONE, insegnante di italiano, storia e geografia in un biennio linguistico Brocca - ITAS Santorre di Santarosa - Torino.
-ANNA PIZZUTI, docente di Italiano e Storia presso l'Istituto Tecnico Professionale "Einaudi" di Sora (FR)

(moderatore):
Quest'anno l'esame di Stato ha presentato una novità: la commissione è stata interamente formata dagli stessi docenti della classe ad eccezione del Presidente che è rimasto esterno.
Secondo il ministero tale disposizione è stata voluta sia per un risparmio economico, sia perché poteva meglio rispondere alla continuità/conclusione di un percorso disciplinare.
Tuttavia questa riforma ha sollevato molte discussioni che hanno messo in evidenza lati positivi e negativi delle commissioni interne
Alla luce dell'esperienza personale o in considerazione dei pareri scaturiti da varie fonti, potete dire che cosa pensate di questa iniziativa , motivando eventualmente il vostro giudizio?

- ALBERTO BIUSO:
Sono favorevole a questa modalità dell'esame in quanto spero sia una tappa intermedia verso l'abolizione del valore legale dei titoli di studio.
È vero che le finalità del ministero sono di tipo aziendalistico, ma è altrettanto vero che diplomi e lauree hanno perso il loro valore da quando in Italia ha vinto (direi trionfato) la lotta iniziata anche a Barbiana per una scuola socializzante contro una scuola del merito. Capisco che la formula è apodittica ma ho scritto molto (anche un intero libro') per dimostrarla. E che questa lotta fosse miope e funzionale agli interessi dell'ultraliberismo -al quale importa l'eguaglianza dei prestatori d'opera e non il pensiero critico- è una delle tante realtà che in questi decenni troppe persone e insegnanti non hanno voluto o potuto capire.
Mi sembra anche un po' ridicolo che ora -di colpo- coloro che hanno gridato contro la meritocrazia si pongano a difesa di un "esame vero". Un esame vero -in ogni senso- a conclusione della scuola secondaria non c'è più dalla riforma Gui (1969), io ne ho preso atto e spero che in tempi brevi anche questa stanca e burocratica finzione di mezza estate venga cancellata del tutto. In ambito educativo, secondo me, la cosa peggiore è l'ipocrisia. Un male, questo, di cui è vittima la Moratti ma insieme a lei lo sono anche coloro che ora le si scagliano contro.

-ANNA PIZZUTI:
Inizio a rispondere dichiarandomi fortemente dubbiosa sul fatto che le novità relative all'esame di Stato nascessero da considerazioni didattiche. C'è da dire - inoltre - che la novità di Marisa che ci invita a discutere è solo il primo passo, rispetto al vero cambiamento che, nelle intenzioni del ministro, dovrebbe avvenire l'anno prossimo. Ma su questo, credo, ci sarà modo di discutere più avanti. Entrando nel merito della domanda, a fronte del disaccordo di oggi, riconosco che ai tempi in cui la riforma Berlinguer era in gestazione, l'idea della commissione tutta interna, non mi dispiaceva, appunto perché mi sembrava rispondente all'esigenza di continuità tra svolgimento di un percorso e sua conclusione. Ma a fronte dei rischi, ampiamente dimostrati oggi, di perdita di controllo sulle scuole private, la formula individuata successivamente, mi sembrava ancora più equilibrata. Marisa ci chiede di partire dalla nostra esperienza. La mia è presto detta: ho creduto nella riforma Berlinguer, nei suoi aspetti organizzativi e nei contenuti. In mancanza di una riforma della secondaria superiore, mi sembrava che quello che poteva apparire un limite (pretendere, appunto, di riformare attraverso l'esame) fosse l'unica soluzione praticabile per ridefinire un percorso didattico formativo e cognitivo ed un sistema di valutazione comune a tutti i tipi di secondaria. Sono convinta che - vista la quantità di sperimentazioni che in questi decenni si sono venute praticando - di gentiliano, nella secondaria, è rimasto solo quello che caparbiamente alcuni hanno voluto far rimanere (bei tempi, visto che quelli che si preparano, forse, saranno più gentiliani di Gentile) e mi sembrava che la riforma disseminasse quanto di nuovo si era venuto producendo.Mi si potrebbe obiettare che, a parte la commissione, il resto non è cambiato, almeno per quest'anno. Alla tavola o meglio, alla cattedra, di questo esame c'è stato - anche nella scuola, come in altri luoghi - un convitato di pietra: il documento del consiglio di classe. A mio avviso il centro della riforma era tutto lì, era intorno a quel passaggio che si misurava la capacità di una scuola, di un consiglio di classe, di ragionare e di costruire. Passaggio reso ancora più significativo dalla sua qualità intrinseca di comunicazione con altri docenti. Ergo, di scambio di esperienza e di conoscenza. È questo, per quanto mi riguarda, che mi è mancato quest'anno.

-ANTONIA BELLETTI:
L'esame con la commissione interna è stato a mio parere "penoso", vissuto con pena dai docenti; i voti finali quasi mai hanno rispecchiato la reale prestazione degli alunni; l'esame non ha comunque riservato sorprese, tutti gli alunni, punto più, punto meno, hanno dato ciò che noi docenti sapevamo erano in grado di dare; vi è stata, invece, una lievitazione generale dei voti, per promuovere alcuni che penserà qualcun altro a "bocciare".
Questo, a mio parere, è uno dei drammi della scuola italiana di stato, avere abdicato ad altri il proprio ruolo di certificatore delle competenze raggiunte dallo studente. Così l'università deciderà se i nostri alunni sono capaci di frequentarla e il mondo del lavoro selezionerà i più capaci. Noi abbiamo solo prodotto degli illusi, ragazzi ai quali le nostre facili promozioni hanno instillato la convinzione di avere acquisito capacità che non hanno e che, fuori dalla scuola e dalla giusta età, non acquisiranno più ("le tabelline o si imparano alle elementari o non si imparano più" l'esempio sarà puerile ma rende bene il mio pensiero). Se la scuola italiana, e con essa lo Stato, continueranno su questa strada, eliminando ogni forma di esame eliminando il valore legale del titolo di studio, provvederanno altri enti, probabilmente privati, a certificare ad elevati costi economici ciò che lo Stato dovrebbe certificare gratuitamente. Lo scenario verso il quale stiamo precipitando è quello di una scuola pubblica senza esame, senza valore legale del titolo di studio, frequentata dalle classi meno abbienti, e una scuola privata (non mi riferisco ai diplomifici che vanno categoricamente chiusi), anch'essa senza valore legale del titolo di studio, ma con una certificazione che avrà valore di fatto, per i più abbienti, in quello stile americano a cui certo la scuola di Barbiana non intendeva ispirarsi.
Grazie per l'opportunità offertami di esprimere il mio parere.

-MAURIZIO PISTONE:
Non starò a ripetere quello che tanti (me compreso) hanno già scritto, che il nuovo esame (si fa per dire) di Stato è in realtà un esamino di terza media, che è il primo passo verso l'abolizione del valore legale del titolo di studio, che una riforma di tale portata e così rovinosa è stata fatta solo per risparmiare un pugno di quattrini....
Vorrei piuttosto comunicare il mio sconcerto nel sentire tanti colleghi che si dicono soddisfatti della situazione, anzi, richiedono una decisa abolizione dell'esame.
Dovrebbe essere chiaro a tutti che nel nostro mestiere la valutazione non è un fatto accessorio, ma un momento essenziale, e forse il più impegnativo. Esso mette in gioco tutte le nostre competenze culturali, le nostre capacità professionali, le nostre risorse umane. Fino all'anno scorso, sia pure con modalità in gran parte discutibili, si riteneva indispensabile che un esame speciale fosse posto al termine degli studi superiori, anzi, dell'intero arco di studi, considerando che le elementari, le medie e le superiori sono tre gradi strettamente collegati fra di loro, e come tali sono vissuti dagli studenti, prima del passaggio al lavoro, o agli studi universitari, che hanno un'organizzazione completamente diversa. L'esame di maturità era quindi un vero esame conclusivo; la scuola nel suo complesso - non la singola istituzione scolastica - era chiamata a dare un'ultima valutazione su tutto questo grande periodo di vita dello studente. Di qui l'aspetto più caratteristico, che era la commissione (almeno in maggioranza) esterna; composizione non solo indispensabile per l'omogeneità dei giudizi, ma importante di per sé, come prova finale della maturità dello studente, che deve dimostrare quanto sa valere in una situazione diversa da quella in cui è stato educato.

(moderatore):
Gli interventi, seppur con diverse motivazioni, esprimono un parere negativo sul tipo di esame con commissione interna, giudicandolo una fatica assolutamente inutile.
Tuttavia c'è nel dibattito in rete anche qualche voce a favore che ne chiede la prosecuzione, seppur con alcuni miglioramenti: ad esempio la riduzione degli scritti e la valorizzazione dell'orale, ritenendo altrettanto essenziale la presenza di un commissario esterno per classe.
Sulla soppressione dell'esame di Stato bisogna tra l'altro ricordare che l'art.33 della Costituzione ne prevede l'esistenza; inoltre c'è un esame in terza media, che pur presentando la stessa formula è in vigore da anni e nessuno ne mette in discussione la validità.
Sopprimere l'esame di Stato significa dare maggior peso ai crediti e delegare le università e le aziende a giudicare e selezionare gli alunni che la nostra scuola prepara.
Nei vostri interventi si parla di meritocrazia, revisione degli insegnamenti già dalle elementari, continuità e valore della collegialità.
Possono essere queste le chiavi di volta del cambiamento?

-ANNA PIZZUTI:
L'esame di terza media è tornato in mente anche a me, come riferimento positivo e negativo al tempo stesso. Positivo in quanto rassicurante rispetto al timore che la nuova formula togliesse valore legale al titolo di studio, negativo perché un esame conclusivo di un ciclo di studi superiore non può e non deve essere svolto allo stesso modo, pena il suo totale svuotamento, anche rispetto all'art. 33 della Costituzione che Marisa ci ricorda (La Costituzione? Chi era costei?per dirla con Berlusconi). Espresso questo concetto che la sintesi rende sicuramente lapalissiano, procedo.Gli interventi di Alberto Biuso e di Antonia Belletti ripropongono entrambi, se pure con accenti molto diversi, il problema della valutazione e della certificazione. Leggendoli, non ho potuto fare a meno di chiedermi come mai - e questo vale soprattutto per Biuso - abbiamo dimenticato con tanta facilità quanto e come la riforma Berlinguer ci impegnasse a ridiscutere questo aspetto determinante della nostra funzione. Ed a farlo in un contesto che mi piacerebbe definire democratico (La democrazia? Chi era costei? per dirla sempre con Berlusconi), non neo o ultra o presteso liberista. A proposito: se l'ultraliberismo vuole quello che Biuso sostiene che voglia - e qui sono d'accordo con lui - non capisco come possiamo difendercene cancellando una delle funzioni della scuola. Mi viene in mente Tafazzi, ma sono una signora e quindi non approfondisco. Torno seria (ma lo ero anche prima). Insegno da trentadue anni e quasi sempre - per mia fortuna - in situazioni difficili: ciò che mi fa stare dalla parte di Barbiana, dalla parte che Biuso, sprezzantemente, definisce scuola socializzante, scaturisce dalla consapevolezza, a sua volta scaturita dall'esperienza che è proprio la meritocrazia che nasce da situazioni e considerazioni ed occasioni sociali, socializzanti. E lo sarà sempre di più, come ci ricorda Antonia. Don Milani non peccava certo di pietismo, con i suoi ragazzi, al contrario, ma perché sapeva che stava dando tutto a tutti, e che stava facendo parti eguali. E se erano disuguali, lo erano perché dava di più a chi aveva di meno, cosa che noi non sempre facciamo, tanto da giustificare le interpretazioni di Bertagna. L'impegno contro la meritocrazia non coincide con l'impegno contro il merito, ma deve fare in modo che ciascuno sia messo in condizione di far valere i propri meriti. Ho paura di essermi piuttosto discostata dalle questioni che Marisa ci ha posto, e cerco di rimediare, chiedendo scusa se sembrerò sbrigativa. Quando lei ci chiede se meritocrazia, revisione degli insegnamenti, collegialità, continuità possono essere le chiavi di volta del cambiamento, naturalmente la mia risposta è sì, ma un sì profondamente e tristemente ironico, detto da una che ha l'età per aver già visto perdere o buttare via tante occasioni. Ma che è ancora qui a chiedersi il come e il cosa del proprio lavoro.

-ANTONIA BELLETTI:
Un esame è un atto finalizzato a verificare se gli obiettivi prefissati sono stati raggiunti, per cui prima di decidere come dovrà essere l'esame , o se dovrà esserci un esame, occorre definire quale siano gli obiettivi della scuola. La scuola gentiliana aveva obiettivi chiari: formare e selezionare persone che sarebbero diventate gruppo dirigente del Paese, o tecnici, o manovalanza e ciò si realizzava mediante un percorso ad "ostacoli", chi non superava i quali restava ad un livello inferiore. In teoria nessuno era escluso da questo percorso, anche i figli delle classi meno abbienti potevano raggiungere i più alti livelli scolastici, tuttavia il background culturale di partenza escludeva di fatto parte della popolazione scolastica dai percorsi più elevati. L'accusa che Don Milani muoveva alla scuola gentiliana riguardava proprio la sua rigidità, la sua incapacità a considerare i livelli di partenza dei ragazzi e a partire da questi per procedere nel percorso formativo. I cambiamenti sociali e culturali hanno di fatto modificato la scuola, per la presenza di nuove generazioni di docenti e di studenti. La scuola gentiliana è superata, ma non si può negare che, contestualizzata nel suo periodo storico, sia stata una scuola valida, chiara negli obiettivi e nei metodi per raggiungerli. Purtroppo non si può dire altrettanto di ciò che abbiamo oggi. Nella scuola di oggi non sono chiari gli obiettivi e tanto meno lo sono i mezzi per raggiungerli.
A mio parere la scuola deve essere formativa, deve saper rilevare i livelli di partenza di ogni singolo ragazzo e da questi iniziare il suo percorso formativo, ma deve avere anche il coraggio di riconoscere (senza fare inutili e dannosissime demagogie) che i ragazzi sono diversi nelle loro capacità di apprendimento e che alcuni di loro raggiungeranno livelli formativi assai più elevati di altri e nella vita ricopriranno ruoli assai diversificati proprio in funzione delle loro capacità.
L'istituzione scolastica, dopo aver offerto a tutti la migliore opportunità formativa, rimuovendo gli ostacoli di ordine socio-culturali di partenza, (aspetto, questo che, comunque, non manca di una buona dose di demagogia) deve certificare i livelli raggiunti da ogni singolo studente con un esame, sostenuto da una commissione tutta esterna, un esame serio, con prove uguali a livello nazionale, che rilasci un titolo che abbia valore legale; un esame durante il quale lo studente saprà dimostrare il proprio "sapere" il proprio "saper fare" e anche il proprio "saper essere" inteso, quest'ultimo, come saper affrontare l'imprevisto, saper gestire una situazione in modo autonomo, aspetti che faranno parte del suo viver quotidiano dal momento in cui lascerà la scuola.

-MAURIZIO PISTONE:
Ora si dice che la scuola non è più in grado di dare questo giudizio; che non è più suo compito; che non ha più interesse a farlo. Che è ora di smetterla con questo rituale, che tanto a valutare i nostri ragazzi ci penserà la vita, il mercato, una qualche agenzia privata di certificatori (che Dio ci scampi), un qualche istituto pubblico di esperti della valutazione (che Dio li strafulmini).
Mi piacerebbe sapere come reagirebbero i medici se si stabilisse che non sono più loro che devono fare le diagnosi, ma qualcun altro, o forse i malati stessi diranno se si sentono bene o si sentono male. Che non devono più essere i medici a decidere le terapie, ma al massimo potranno somministrare qualche tisana, perché l'importante è che i pazienti si sentano a loro agio, ma le malattie, le medicine, non sono più affare loro. Mi chiedo se non ci sarebbe una rivolta.
Invece la categoria degli insegnanti continua ad accettare diminuzioni del proprio ruolo, delle proprie responsabilità, delle proprie competenze, come una liberazione da una fastidiosa e inutile incombenza. Uffa! Basta con questi esami. Basta con la valutazione. Basta con i voti. Basta con promozioni e bocciature. Ci pensino altri.
Penso che la pagheremo cara.

(moderatore):
Premesso che è' dovere dello Stato garantire che i risultati raggiunti siano certificati con modalità tali da renderli riconoscibili e accettati anche a livello europeo, si può prevedere un rischio nell'abolire gli esami di stato e di conseguenza togliere il valore legale al titolo di studio:
-le prove standard a livello nazionale, uniche prove di verifica e valutazione, potrebbero portare ad una graduatoria di scuole e all'interno di esse ad una graduatoria di classi che sarebbero pubblicizzate per favorire la scelta della famiglie.
Ciò potrebbe portare ad avere l'interesse a formare studenti abilissimi a riconoscere la risposta giusta dei test, ma senza veri interessi personali e ancor peggio senza quello spirito critico di cui parlava Alberto Biuso.

-ALBERTO BIUSO:
Nel rispondere alle tue osservazioni, Marisa, cercherò di essere molto breve, anche a costo di un certo schematismo.
1. Questo esame di stato somiglia appunto a quello di terza media, del quale il meglio che si possa dire è che risulta perfettamente inutile.
2. Sul fatto che la Costituzione preveda un esame finale, credo che sia necessario distinguere l'aspetto giuridico da quello educativo e prendere atto che l'esame da decenni è ridotto a una pura formalità. Io penso che la Costituzione vada rispettata non solo formalmente ma anche nella sostanza. Lo stesso articolo 33 prevede che "i capaci e i meritevoli" raggiungano "i gradi più alti degli studi"; anche questo è un dettato costituzionale ma viene completamente disatteso regalando a tutti un diploma inflazionato.
3. Come educatore, non mi interessano molto le alchimie normative, le parole d'ordine didattiche, le ingegnerie sui cicli, sui pof e sugli esami. Mi interessa solo la crescita dei ragazzi. Desidero quindi (sogno?) una scuola come luogo di libero apprendimento, di dialogo, di lenta, profonda ed esigente maturazione culturale. Una scuola senza voti, senza esami, senza diplomi. Una scuola socratica e fondata sul principio che "si dia del cibo soltanto a chi ha fame". Le mie posizioni sull'esame di stato -e su altre questioni- nascono da questa idea di scuola, che mi rendo ben conto essere del tutto inattuale ma che cerco di trasformare in realtà giorno dopo giorno, nel concreto rapporto con gli allievi.

(moderatore):
A volte è necessario nutrire forzatamente un fanciullo per non lasciarlo morire, finché riprenda gusto alla vita e trovi dei motivi per viverla.
Credo che la lotta alla mortalità scolastica debba essere un impegno della scuola primaria, ma si potrebbe discutere se lo stesso vale per la secondaria'
Mi sembra il momento di chiudere questa primo scambio di opinioni, ma il dibattito non si conclude qui, anzi apre nuove strade alla discussione: ad esempio sull'importanza di una dialettica analitica tra i commissari, oppure sul valore da attribuire al documento elaborato dal consiglio di classe, o ancora sulla scelta di strumenti agili ed efficaci di valutazione.
Soprattutto rimane aperto il senso della nostra scuola e l'idea di cultura e di persona costruttrice del proprio essere, agire e sapere.
Lasciamo aperte alcune piste che possono costituire l'occasione per ritrovarci, magari invitando anche qualche altro ospite.

luglio 2002


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