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da Proteofaresapere-QUALE FUTURO PER LA SCUOLA ITALIANA -di Chiara Profumo

QUALE FUTURO PER LA SCUOLA ITALIANA Ho letto l'articolo di Gaspare Barbiellini Amidei (Corriere della Sera, sabato 1.6.02) sullo 'scontento che unisce prof. e studenti' e vorrei proporre alcune os...

16/06/2002
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Proteo Fare Sapere

QUALE FUTURO PER LA SCUOLA ITALIANA

Ho letto l'articolo di Gaspare Barbiellini Amidei (Corriere della Sera, sabato 1.6.02) sullo 'scontento che unisce prof. e studenti' e vorrei proporre alcune osservazioni.

Egli sostiene che il malessere della scuola è legato a due grandi ordini di problemi: la distanza tra gli strumenti linguistico/comunicativi degli adulti e quelli degli studenti, legata alla rapidità del cambiamento della società e il mancato rispetto della disciplina da parte dei ragazzi.

A questo contesto lega la demotivazione e le numerose richieste di trasferimento degli insegnanti.

Sostiene la tesi che la rapida attuazione della riforma del Ministro Moratti costituirebbe una risposta valida a tali problemi. Io penso che essa sia rivolta a riferimenti culturali vecchi o inesistenti ( per tutti la netta divisione di sapere speculativo e sapere operativo) e sia inadeguata a risolvere i problemi che ci stanno a cuore.

1. Un mondo esterno che cambia e l'analfabetismo elettronico.

Il dibattito sui nuovi bisogni di conoscenza indotti dal cambiamento della società è aperto da decenni ed ha fatto sì che il termine decentramento nel mondo della scuola assumesse uno specifico significato: per preparare i giovani ad inserirsi positivamente nella società contemporanea non serve un elenco di saperi fondamentali più recenti. Serve un modo diverso di condurre i processi di insegnamento e apprendimento, utilizzando tutte le nuove opportunità linguistiche e comunicative, servono l'alfabetizzazione e la progressiva costruzione della padronanza degli strumenti di pensiero che ci permettono - oggi - di conoscere noi stessi, il mondo esterno e le relazioni in cui siamo inseriti e vorremo inserirci. Questo modo diverso di svolgere il servizio di istruzione si chiama autonomia. La battaglia che si sta conducendo in questo momento sulla riforma della scuola riguarda il significato opposto che le due parti danno alla parola autonomia.

2. Disciplina.

Per quali ragioni nella scuola si valutano i comportamenti e gli apprendimenti degli studenti?

Si valuta per formare, per raggiungere i risultati, e allora alla valutazione si collegano momenti di intervento, di aggiustamento nel lavoro di ciascuno dei protagonisti del processo di insegnamento/apprendimento. Oppure si valuta per mandare via, bocciare coloro che non si adeguano alle esigenze della scuola, ed inviarli a 13 anni e mezzo alla formazione professionale. È sconcertante che la stessa persona possa elogiare sia il progetto di indurre nella scuola bocciature biennali e voto di condotta, che l'attuale 'aggiustamento' dell'esame di stato: tutti commissari interni. Il risultato atteso all'esame di stato dovrebbe riguardare la capacità di comunicare all'esterno, capire il linguaggio di altri, non restare nel linguaggio dei propri professori. Capire e comunicare in un mondo diverso da quello cui si è abituati. Anche questo momento di valutazione conclusivo del percorso scolastico è rivolto al futuro dello studente. Tolta invece questa funzione, gli esami di fatto sono aboliti.

3. Perché gli insegnanti chiedono i trasferimenti.

Numerosi insegnanti degli istituti professionali hanno chiesto il trasferimento perché non intendono cambiare la propria situazione lavorativa qualora questi istituti divenissero regionali: l'istruzione tecnica e quella professionale rappresentano due settori centrali del sistema di istruzione, sia per quantità che per qualità, e solo uno stereotipo spinge chi non conosce la scuola a pensare le superiori esclusivamente nei termini del liceo classico. La regionalizzazione della istruzione e formazione professionale prevista dal nuovo art.117 della Costituzione è connessa all'innalzamento dell'obbligo di istruzione per la durata di 10 anni, già regolato dalla legislazione italiana (legge n. 9 del 1999). Solo al termine di tale percorso obbligatorio di istruzione si può pensare ad avviare i giovani verso ambiti specifici dell'impegno lavorativo che ciascuno vorrà assumere. A che scopo regionalizzare parti dell'istruzione tecnica e professionale per il nono e decimo anno di istruzione, se tali anni saranno ancora istruzione obbligatoria '#8211; e quindi garantiti da parte dello Stato? E' evidente che intenzione di questo governo è considerarli non istruzione ma formazione obbligatoria, però quest'ultima è legale solo dopo il decimo anno di frequenza scolastica.

Il clima positivo che l'autore desidera per la riforma della scuola è senz'altro auspicabile, ma non come risultato di una efficace campagna pubblicitaria, bensì come fattore di una visione politica positiva della società futura, del suo sviluppo che potrà essere uno sviluppo civile e democratico, se si sapranno stabilire regole coerenti con i diritti costituzionali. E anche su questo mi sembra inaccettabile considerare una estensione dei diritti la libertà di scelta dentro i piani di studio e nella frequenza delle lezioni, come propone Barbiellini Amidei. La libertà qui si configura come un self-service della formazione, in cui la scuola certifica le competenze degli alunni senza assumersi la responsabilità del progetto, ed il percorso di istruzione dello studente, anziché essere un impegno che lo Stato assume nei confronti di ciascun (giovane) cittadino, diviene una variabile delle ambizioni, della disponibilità economica, della lungimiranza o della miopia di ciascuna famiglia. E là dove la famiglia non esiste o non è in grado di assumere queste decisioni, il diritto all'istruzione viene ridotto ai minimi termini.

Mi auguro che un clima positivo intorno ad una prospettiva sociale e culturale di questo tipo non si crei, perché temo ci condurrebbe verso il naufragio del nostro Stato costituzionale.

Chiara Profumo

insegnante di storia e filosofia, segretaria della CGIL Scuola di Torino.


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