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Da Gentile alla Falcucci, quel mito eterno di riscrivere ogni volta il «patto formativo»

Non esiste premier, ministro dell’istruzione, governo di legislatura o governo balneare che non abbia voluto passare alla storia (per ora c’è riuscito soltanto Giovanni Gentile nel 1923 ma era Giovanni Gentile) per aver trasformato la scuola

04/09/2014
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Il Messaggero

LA STORIA
ROMA La riforma della scuola - chiamala se vuoi «grande riforma», «riforma-rivoluzione» o, come si usa ora, «patto educativo» - è insieme un mito e un rito. Con una costante. Non esiste premier, ministro dell’istruzione, governo di legislatura o governo balneare che non abbia voluto passare alla storia (per ora c’è riuscito soltanto Giovanni Gentile nel 1923 ma era Giovanni Gentile) per aver trasformato la scuola e per averla messa in sintonia con, formula standard, «la modernità e le sue problematiche». Adesso tocca a Renzi. Ce la farà? 
IL TIC

La scia dei fallimenti precedenti dovuti anche a improvvisazione è, renzianamente parlando, «da far tremare i polsi». Malfatti (Franco Maria) è un cognome di ministro dell’istruzione, democristiano degli anni ’70, ma anche l’aggettivo riassuntivo dei tentativi di riforma della scuola negli ultimi 40 anni. Che - a parte rari casi come l’istituzione della scuola media unificata nel 1962, primo governo di centrosinistra, ministro Luigi Gui, della Dc - sono stati, appunto, malfatti: tra abbozzi, aborti, velleità, vanità, sconsideratezze. E una sorta di tic: quello di smontare la riforma o pseudo-riforma del predecessore. Luigi Berlinguer, ministro dal ’96, ha demolito il breve lavoro di Francesco D’Onofrio, alla Pubblica Istruzione nel primo governo Berlusconi, per riproporre però l’autonomia scolastica su cui quell’altro aveva già puntato. E poi Letizia Moratti smonta il piano Berlinguer, Tullio De Mauro (governo Amato) riabilita la riforma Berlinguer alla quale, appena ha vinto le elezioni del 2001 e prima di dare a Maria Stella Gelmini il classico compito di «rivoluzionare la scuola», Berlusconi dedica questo gentile pensierino: «Uno dei primi atti del nostro governo sarà abolire la riforma De Mauro». 
LE LACRIME DI DE MAURO

Sono più le controriforme che le riforme, in campo scolastico. E, costante per costante, non c’è mai stata una volta che il sindacato non si sia messo di traverso e non abbia impedito di cambiare le cose. De Mauro, uomo di sinistra, scoppiò addirittura in lacrime il 23 febbraio del 2001, davanti a una platea di insegnanti di sinistra inferociti e tra i singhiozzi disse loro: «Ma questa riforma l’avete voluta per trent’anni. Perchè ora non vi piace?». Perchè conteneva, tra l’altro, l’introduzione di criteri di valutazione per gli insegnanti e apriti cielo: un attentato all’egualitarismo! Il paradosso è che, da oltre un ventennio, i temi delle riforme - anche se la successiva boccia quella precedente - sono sempre più o meno gli stessi. La meritocrazia ora renziana? Prima che demauriana era stata berlingueriana e successivamente gelminesca. E che cosa ricorda la riforma Moratti? Nel 2003, prevedeva: professori-tutor, doppio canale tra istruzione e formazione, valutazione meritocratica degli insegnanti. Ossia? Più o meno come il «patto educativo» di Matteo. Quella fu bombardata, questo cercheranno di affogarlo nella «palude» ma non è detto che stavolta ci riescano perchè la sinistra barcolla - e la sinistra ha spesso stracciato le riforme della scuola volute dalla sinistra, basti pensare a Berlinguer scaricato dal suo partito, i Ds - e il sindacato non si sente tanto bene. Le manifestazioni della Cgil in piazza contro la riforma Gelmini, ovviamente criticabile assai ma non tacciabile come è stato fatto di «eversione della democrazia», furono numerose. Ma forse bastava, di fronte alla ideologia scolastica berlusconiana delle tre I - impresa, internet e inglese (il trittico è presente anche nelle «nuove linee guida» renziane), genialmente ironizzare come ha fatto lo storico Luciano Canfora: «Quanto alla I di impresa, se la intendiamo in senso garibaldino, come impresa dei Mille, non ho nulla in contrario». 
Certi fili di continuità virtuosi però ci sono in questa vicenda non esaltante. Franca Falcucci non godeva di buona immagine ma nell’84 cancellò le scuole differenziate per handicappati. Adesso, su quella linea, si vuole riformare il sostegno ai disabili. E comunque srotolando il filo delle riforme e non riforme della scuola ognuno può trovarsi di fronte al proprio album dei ricordi. Fiorentino Sullo nel ’69 varò la «maturità provvisoria», che è durata 30 anni, a riprova del motto di Ennio Flaiano: «In Italia nulla è più definitivo del provvisorio». Malfatti coinvolse le famiglie nelle decisioni pedagogiche. D’Onofrio nel ’95 eliminò gli esami di settembre e inventò i corsi di recupero. Berlinguer abolì i presidi, li rinominò «direttori scolastici» e cambiò la maturità (per gli scritti: una prova d’italiano, una prova di un’altra materia e il quizzone). Fioroni reintrodusse i rimandi estivi aboliti da D’Onofrio e voluti da Gentile. Gelmini scatenò il putiferio con il maestro unico alle elementari. E l’apertura pomeridiana della scuola? La volle, invano, Berlinguer. La rivorrebbe Renzi. Ma i soldi? 
Quando c’erano non servirono ad ammodernare la scuola ma ad oliare la macchina del clientelismo, della demagogia delle assunzioni, delle non valutazioni e dei concorsoni. E ora che i soldi non ci sono? Il problema resta quello di sempre, molto doloroso per Renzi, e così riassunto a suo tempo dal ministro De Mauro: «Gli insegnanti hanno stipendi da fame». E non c’è riforma che finora abbia riformato questo buco di bilancio. 
Mario Ajello


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