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da Fuoriregistro - Intelligenza naturale e artificiale

l'articolo cui questo risponde è presente in questa stessa rassegna in data 25.1 (ndr) Intelligenza naturale e artificiale di Edoardo De Carli - 27-01-2002 Leggo l'intervento di Biuso (co...

28/01/2002
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Fuoriregistro

l'articolo cui questo risponde è presente in questa stessa rassegna in data 25.1 (ndr)

Intelligenza naturale e artificiale
di Edoardo De Carli - 27-01-2002

Leggo l'intervento di Biuso (con cui sostanzialmente concordo) in risposta a Manzelli e mi viene voglia di aggiungere qualche nota pescata fra i ricordi di studio, di insegnamento e di vita. Premetto che la mia formazione non è filosofica ma filologica.
Con l'intelligenza artificiale ho avuto un primo incontro alla Statale di Milano nella metà anni '60, quando i calcolatori funzionavano a schede perforate: in uno sgabuzzino Silvio Ceccato metteva assieme il primo (almeno per la mia esperienza) laboratorio di cibernetica. Fantastico! Si discuteva sul funzionamento di tutte le operazioni del nostro corpo e intelletto e si cercava di studiare che itinerario di comandi, divieti, opzioni essi seguissero, immaginando di poterle riprodurre artificialmente (il 'con che cosa' ci interessava relativamente).
Qualche anno dopo mi sono trovato in cattedra alle superiori: il mondo in cui avevano insegnato i miei maestri stava cambiando rapidamente (era il '68') e dunque potevo ben poco fare affidamento sui loro modelli. Insomma, mi trovavo come un ominide che improvvisamente si vedesse sparire la foresta, sostitita da una savana. Bisognava ingegnarsi per sopravvivere, e non era concessa una tana protettiva. Lo scritto di italiano '#8211;ad esempio- non poteva più essere corretto in base ad un confronto con modelli letterari considerati sacri dogmi ma era necessario (giustamente!) fornire motivazioni convincenti, che rivelassero in modo indiscutibile la logica delle strutture della nostra lingua. Per inciso, mi accorsi allora che non esisteva nelle scuole una tradizione di insegnamento autonomo della grammatica e della sintassi italiana ma era quasi sempre riferito alla latina. Come ominide smarrito, imparai dunque a ragionare e dubitare sul funzionamento della mia lingua, per potere trasmettere ai miei allievi ciò che scoprivo. Mi sembrava di fare un lavoro analogo a quello che con Ceccato mi aveva tanto affascinato'
Altro flash, primi anni '80. Ho due figli, più o meno piccoli; al maggiore posso regalare uno dei primi PersonalPC di consumo, il geniale Spectrum Sinclair (con una Ram di 16 KB: preistoria!), con cui gioca e si impratichisce; con questa macchinetta alla seconda figlia posso costruire in Basic un programmino che le insegni in modo molto 'visivo e concreto' il meccanismo delle divisioni, che a scuola non ha capito.
Scandito lungo tutti questi anni, procede un lavoro a cui collaboro con alcuni amici della Statale: un lessico del Romanzo Greco, che finirà anni dopo, in 4 volumi. L'abbiamo iniziato con la macchina da scrivere e il primo volume è edito con i caratteri di piombo (come ai tempi di Gutenberg); gli altri 3 volumi sono scritti direttamente sul computer, prima su PC col macchinoso WordStar, poi su un molto più efficiente McIntosh; e i file sono trasmessi all'editore che li stampa direttamente senza bisogno del lavoro di composizione.
Ultimo cenno: da alcuni anni mi sono dedicato a sviluppare giocosamente con gli studenti il sito web del Liceo e a diffondere (socraticamente, spero) un po' più di conoscenze sull'uso di queste macchine, che molti ancora vedono come armi da negromanti.

Morale: durante la mia vita sono passato all'uso di strumenti che mettono in atto l'intelligenza artificiale, senza subire particolari metamorfosi, applicando anche gli stessi metodi che utilizzavo quando, per studio o per hobby, facevo il filologo. Ammetto che il mio approccio è stato sempre 'da bottega' e poco mi sono dedicato alla letteratura sui massimi sistemi: se una mailing list prevalentemente mi annoia preferisco cercare nel programma di posta i filtri che mi consentano di selezionare le mail più interessanti piuttosto che lanciarmi in un articolo di fattura psicologico-sociologica che lamenti le degenerazioni della comunicazione in rete. Aggiungo che non sono così sprovveduto da non immaginare che diversi strumenti e diverse struttutre finiscano per trascinare con sé, modificandole, forme culturali e altre sovrastrutture: il filologo studia e conosce gli effetti del passaggio dalle letterature orali a quelle scritte e dalla scrittura chirografa a quella stampata, e ci ragiona sopra. Già adesso vediamo cenni di cambiamento nei modi della comunicazione (dalle e-mail ai SMS) e nella trasversalità con cui si organizza l'informazione. Ma da qui è arbitrario e apocalittico pensare che l'intelligenza naturale, potenziata in millenni di storia umana, abbia fatto il suo tempo.
Ormai uso abitualmente le macchine e la rete, ma provo fastidio all'enfatizzazione (in tutti i sensi, positivi o negativi) di questi strumenti, alle parole d'ordine che dilagano in questo settore; e non credo che tali difetti siano prodotti proprio dalla diffusione dell'informatica: di atteggiamenti del genere è costellata la storia.