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da Fuoriregistro - Intelligenza Artificiale, discipline e apprendimento

Intelligenza Artificiale, discipline e apprendimento di Alberto Biuso - 24-01-2002 L'intervento di Paolo Manzelli dal titolo "Cervello, informazione, apprendimento" (Fuoriregistro del 19/1/20...

25/01/2002
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Fuoriregistro

Intelligenza Artificiale, discipline e apprendimento
di Alberto Biuso - 24-01-2002

L'intervento di Paolo Manzelli dal titolo "Cervello, informazione, apprendimento" (Fuoriregistro del 19/1/2002) propone l'organizzazione di un corso di e.learning e ne illustra '#8211;con un linguaggio non esente dal didattichese- i fondamenti epistemologici. Si tratta di posizioni decisamente discutibili, già a partire dalla premessa che individua la necessità di un "cambiamento epocale della Scuola", come se negli ultimi decenni la scuola italiana non fosse mutata in moltissime sue pratiche e presupposti e si dovesse ripartire ogni volta da zero. Un secondo postulato di questo intervento è la necessità di sostituire alle discipline/materie le competenze/abilità. "Rinnovamento epocale e superamento del sapere disciplinare", ecco due dei principi di fondo che molti esperti di didattica vanno diffondendo da anni. Si tratta di due principi sbagliati e anche funzionali alla vittoria di uno stile di vita nel quale la densità del passato, la nostra benefica dipendenza da esso, la soggettività e difficoltà dell'imparare vengono sostituiti dalla glorificazione del presente, dalla riduzione dell'apprendimento a un gioco disneyano e dagli apparati globalizzati di produzione e consumo. Non a caso si parla di un'"economia della conoscenza" rivolta ad "acquisire rapidamente, e in modo efficace, concetti e abilità nuove favorendo la flessibilità cerebrale dell'individuo", la flessibilità di quelle 'risorse umane' alle quali l'economia postfordista ha ridotto le persone umane. Un segnale lessicale molto significativo è, ad esempio, l'espressione "la scelta dei contenuti suddivisibili in moduli e le unità di formazione, ed infine il target di riferimento". Comunque, non intendo qui approfondire il tema della funzionalità di questi progetti cognitivi agli sviluppi del capitalismo trionfante ma solo muovere qualche osservazione sul tema dei rapporti fra l'Intelligenza Artificiale e l'insegnamento/apprendimento.

L'Interconnected network è uno strumento assai potente di comunicazione ma non è altro che il più avanzato dei dispositivi '#8211; pietra, papiro, carta'- che rendono possibile quello scambio infinito fra le menti in cui consiste edificio della socialità e della cultura. Il Web, la ragnatela di dati, di testi, di immagini, di bit che corre sui supporti telematici è uno dei modi nei quali opera e pensa la mente universale. Le sue potenzialità sono enormi ma si tratta pur sempre di abilità strumentali. La forma della comunicazione rimane totalmente dipendente dal suo contenuto. In questo senso, entusiasmi e timori '#8211;nei confronti del nuovo mezzo- sono entrambi ingiustificati. Nell'era di Internet, come in quella dell'Atene classica, delle Accademie rinascimentali o delle università moderne, la comunicazione più efficace fra allievo e maestro, la più vera delle strategie conoscitive rimane quella socratica: "in realtà, il docente può fare tutto e il contrario di tutto, ma alla fine se lo studente impara è perché a capire un determinato concetto c'è arrivato lui, proprio lui, nessun altro lo ha potuto fare al posto suo (1)" .
Per chiarire i complessi rapporti tra insegnamento/apprendimento e Intelligenza Artificiale è quindi di primaria importanza comprendere che le menti umane e i computer ragionano in modo differente poiché sono ambienti differenti. Ne segue che se le macchine saranno davvero in grado di elaborare pensieri lo faranno in un modo diverso da come ci saremmo aspettati all'inizio e in un modo forse difficilmente comprensibile a noi. Postulare che l'intelligenza deve somigliare in ogni caso a quella umana, pena il non essere intelligenza, è probabilmente un residuo di quell'atteggiamento antropomorfico e antropocentrico che già Senofane aveva colto e che si esprime, ad esempio, nella pretesa di trovare nell'universo forme aliene di vita che non siano però troppo aliene da ciò che l'umanità ha inteso come vita a partire dalla vita del suo stesso corpo. Avrebbe pertanto poco senso stabilire delle gerarchie fra diversi '#8211; i terrestri e gli alieni, i computer e gli umani- e sarebbe più razionale accettare questa differenza come un esempio della ricchezza del mondo rispetto alle categorie nelle quali cerchiamo di rinchiuderlo.
Sarebbe in ogni caso immotivata ogni riflessione sulla natura umana che assuma ciò che nel presente siamo come un modello inoltrepassabile, come un paradigma dato per sempre, come un valore indiscutibile. Veniamo certamente da molto lontano e altrettanto lungo è il cammino che possiamo ancora percorrere. Se si accetta tale presupposto, le due ipotesi sull'Intelligenza Artificiale -che si sono progressivamente diversificate a partire dalla conferenza di Dartmouth del 1956- potranno essere analizzate e discusse ciascuna nella propria fattibilità e nel diverso significato che assumono in una prospettiva evolutiva. Il programma dell'IA debole guarda a questa prospettiva in modo sostanzialmente operativo e strumentale, come a una maniera particolarmente efficiente di dotare l'umanità di congegni in grado di svolgere con efficacia lavori non solo di routine e molto pesanti '#8211;cosa che le macchine hanno fatto egregiamente almeno a partire dalla Rivoluzione Industriale- ma anche di simulare attività intelligenti in quei settori nei quali non basta la semplice forza meccanica. L'IA forte rappresenta un programma assai diverso rispetto al primo, ritenendo che, anche se molto difficile '#8211;almeno per ora- non sia per principio impossibile la creazione di menti artificiali, dotate di una qualche forma di coscienza separata dalla struttura biologica attuale del corpo.
A chi si interroga su che cosa di esclusivo possieda la specie umana, si dà di solito una risposta tanto immediata quanto antica: l'intelligenza, la comprensione non solo degli oggetti ma anche dello strumento che su di essi indaga; l'intelligenza come autocoscienza e non soltanto come coscienza dell'ambiente nel quale un organismo è immerso e nel cui metabolismo la vita consiste. Intelligenza come capacità di trovare soluzioni anche diverse a problemi ricorrenti. Intelligenza, infine, come facoltà di apprendimento rispetto a ciò che si vive e di infinita autocorrezione. La prospettiva più affascinante dell'IA forte consiste nella possibilità che l'evoluzione della specie umana sia in grado di far transitare tutte queste caratteristiche in un supporto fisico diverso '#8211;o meglio trasformato- rispetto a quello che nel presente caratterizza gli umani, in una forma altra di corporeità. È questo, probabilmente, il significato più rigoroso della cosiddetta cyberfilosofia.

Notevole è il possibile impatto di queste prospettive sull'insegnamento. Insieme alle grandi potenzialità, non bisogna nascondere i possibili rischi. Nella interazione tra informatica e apprendimento è opportuno distinguere tra i semplici "chioschi informativi (testi, antologie di testi, enciclopedie, lezioni)" dal livello di interattività piuttosto ridotto e i "CBL (Computer-Based Learning), applicazioni costruite avendo come obiettivo principale l'interattività", da non confondersi -in ogni caso- con la semplice multimedialità; "il computer (') va considerato, a livello, didattico, essenzialmente come uno strumento e nessuno strumento può sostituire l'insegnante e la sua opera" (2). La macchina da sola non produce nessun miracolo virtuale, nessuna rivoluzione epistemologica, proprio perché non è possibile un insegnamento separato dalla concreta e viva soggettività del docente. Ciò non significa, naturalmente, che strutture scolastiche e programmi formativi non debbano essere pensati attentamente ma solo che debbano essere pensati in funzione del vivo rapporto educativo con gli allievi e delle rigorose competenze disciplinari di chi sta in cattedra. Nessuna riforma e nessuna novità metodologica produrranno degli effetti positivi se prima di tutto chi insegna non conosce a fondo la propria disciplina. Nessuna riforma che voglia avere successo può permettersi di trascurare le competenze e l'esperienza professionale di maestri e professori. La tecnologia del Web da sola non dà valore aggiunto all'insegnamento se questo non ha alla sua base una pedagogia matura e consapevole. Dall'equivoco '#8211;ingenuo ma diffuso- della autonomia del mezzo rispetto al fine nasce quella realtà ben sintetizzata da Barnette: "le attività dell'insegnamento della filosofia nel cyberspazio ispirano e gratificano così come spesso deludono e creano dubbi" (3) . Chi sta ogni giorno a scuola e cerca di utilizzare nella propria didattica i laboratori informatici sa che le cose stanno proprio in questo modo. Nessuna chiusura quindi nei confronti dell'e.learning ma anche nessun acritico entusiasmo.

(1) - D.Massaro-A.Grotti, Il filo di Sofia. Etica, comunicazione e strategie conoscitive nell'epoca di Internet, Bollati Boringhieri, Torino 2000, pag. 193.
(2) - G.Stelli-D.Lanari, Modelli di insegnamento della filosofia. Modello teoretico, modello storico, filosofia al computer, Armando editore, Roma 2001, pagg. 81-82.
(3) - R. Barnette, "L'insegnamento della filosofia nel cyberspazio", in La fenice digitale. Come i computer stanno cambiando la filosofia, Apogeo, Milano 2000, .pag. 367.

Alberto Giovanni Biuso


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