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da edscuola-IL VECCHIO? IL NUOVO? NESSUNO DEI DUE- di Claudia Fanti

IL VECCHIO? IL NUOVO? NESSUNO DEI DUE' Fra vecchi e nuovi programmi Ho letto e riletto i 'vecchi programmi' di elementari e medie, poi le 'indicazioni' dell'attuale ministero. Ho ce...

03/01/2003
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Edscuola

IL VECCHIO? IL NUOVO? NESSUNO DEI DUE'
Fra vecchi e nuovi programmi

Ho letto e riletto i 'vecchi programmi' di elementari e medie, poi le 'indicazioni'

dell'attuale ministero. Ho cercato tra le righe i perché di tanto arrovellarsi di esperti e saggi per trovare parole e costrutti che rendano validi le nuove proposte e percorsi di educazione e istruzione 'a discapito' degli altri.

Tuttavia, nello studiare e cercare quale dei documenti in questione mi potesse piacere

più o meno, ho avuto la conferma di ciò che penso da tempo: nessuno di essi offre la risposta ai problemi che molte/i di noi, cittadine/i- genitori- insegnanti ragazze/i, vorrebbero.

Quale risposta?

Ebbene, quella che renda chiaro il motivo di tanta 'spesa' per le riforme, cioè

un' offerta di qualche garanzia di riscatto sociale e di successo per tutte/i le studentesse e gli studenti, nessuna/o esclusa/o.

In verità, tutti i documenti fanno belle enunciazioni di principio, ma poi, nella sostanza, ci parlano di cosa si debba imparare, di quanto e di quali materie (per la verità, sempre di più!), ma non toccano il nodo dei problemi: il come.

Sarà anche vero che dire il 'come' non è compito dei programmi nazionali, ma allora a cosa serve cambiarli? Tanto uno assomiglia all'altro: a un' attenta lettura comparata dei testi si scopre proprio questo. Quindi non vale neppure la pena di parlarne, di scandalizzarsi per un eccesso di grammatica (che poi, a ben guardare, non sembra neppure più eccessiva nei nuovi documenti piuttosto che nei vecchi!) o per il ritorno all'uso della memorizzazione, o per altro ancora' Anzi, si dovrebbe cercare di non fare l'errore di perdere tempo indignandosi e si dovrebbe spostare l'attenzione su qualcosa che vale.

Ciò che infatti preoccupa alcune/i di noi è il perdurare di un'idea di 'programma' che sovrasta e oscura l'importanza sia del 'modo' di far scuola, sia dei tempi necessari per il 'farlo', sia degli spazi, sia degli strumenti e degli ambienti, come se queste ultime non fossero le variabili responsabili più importanti degli eventuali successi o insuccessi scolastici.

A ben guardare, forse nulla cambia dei 'programmi', a parte qualche accento posto sulle materie più 'contemporanee', la tecnologia e le lingue.

Allora perché tanto 'disturbo' per scrivere nuovi 'programmi'?

Non so, mi piacerebbe che qualcuno lo spiegasse.

Eppure, ci sarebbe il modo di affrontare i nodi dell'insegnamento-apprendimento nella nostra mutata società, con l'aprire un serio dibattito dentro le scuole, nelle associazioni, nelle riviste di settore'

Per liberare una donna e un uomo da se stessa/o e dalla dipendenza dal contingente, non basta dire che bisogna insegnarle/gli a leggere, a scrivere, a studiare a memoria, a contare, a fare esperimenti di scienze, a parlare le lingue, a usare il computer, a suonare uno strumento, a fare sport' e via dicendo. Così, infatti, il problema della diffusione dei saperi, a TUTTA la popolazione di studentesse e studenti, resta nella sua 'grandezza' irrisolta.

Per affrontare il futuro, non si dovrebbe partire dal falso assioma che tutte/i possono imparare tutto e nel minor tempo possibile, per poi scrivere montagne di 'programmi' che nessuna/o vorrà né insegnare né imparare. Sarebbe ora di ribellarsi a tale modo di procedere che ha visto la sconfitta di intere generazioni di studenti, studentesse e insegnanti frustrate/i alla ricerca della ricetta miracolistica di strategie metodologiche che consentissero a tutte/i di apprendere nel minor tempo possibile qualsiasi astrusità fosse compresa nel programma! Molte/i di noi credevano che a capire questo ci si fosse già arrivati, ma così non è, e ciò è la riprova di quanto sia ancora lontano, dalla realtà e dai bisogni della scuola, il mondo di chi elabora teorie e obiettivi per essa.

Sono rare/i le/i docenti che non si lamentano per la scarsa capacità di attenzione, per la noia che si legge nel volto delle alunne e degli alunni, per l'assoluto disimpegno nel portar a termine i compiti a casa, per il difficile rapporto con le famiglie che nella relazione con la realtà scolastica sembrano diventare extraterrestri, pur essendo, a volte, famiglie di genitori - docenti che vivono il doppio ruolo di insegnanti e padri e madri!

Molte/i docenti rilevano scarsa capacità di rievocazione, di espressione linguistica e non solo'

Allora?

Come si risolvono i problemi?

Aumentando il numero delle materie, degli obiettivi in esse contenuti, diminuendo il tempo a disposizione'?

Sembra veramente un'assurdità! Oppure, ma preferisco non crederlo, dando per scontato che imparino alcune/i e che le/gli altre/i si dirigeranno verso lidi che non siano la scuola?

Per un momento, facciamo finta che viviamo in un mondo di buoni e che tutti desiderino veramente il bene di tutti: quale potrebbe essere un modo onesto di porre la questione della 'qualità'degli apprendimenti?

Forse una risposta potrebbe essere quella che sposta l'attenzione dalle materie e dagli obiettivi alle persone a cui si vuole insegnare.

Chi sono tali persone che oggi siedono al di là dei banchi?

Le/i figlie/i di tutti, grazie a dio!

Ragazze e ragazzi che fanno i conti con la fretta, con i sofficini findus, con le girelle, il mulino bianco'Ragazze/i che stanno sempre meno volentieri in casa, che a 13 anni, e a volte anche meno, hanno grande libertà d'azione, che non credono a babbo natale, che sono abituate/i a seguire i genitori fin dalla più tenera età ovunque vadano e con chiunque vadano, che non sanno cosa sia andare a letto dopo 'carosello', davanti ai quali non ci si trattiene dal parlare di qualsiasi argomento, che hanno visto di tutto di più, dentro la grande scatola della televisione o del computer, che chiedono e subito, o quasi, ottengono'Ragazze/i che, anche nelle famiglie più colte, ritengono noioso il parlare strutturando una frase con soggetto, predicato ed espansione, e, ancora più noioso, il non essere subito comprese/i'Poi ci sono le/i cosiddette/i ragazze/i a rischio, quelle/i che vivono nelle situazioni familiari più disperate, quelle/i che sono costretti a lavorare da piccole/i per vivere (o a qualcosa di peggio)'

Ebbene, a tutte/i queste/i, nessuna/o esclusa/o, va insegnato a provare piacere per il sapere! Con le nuovissime indicazioni ministeriali? Con il ripristino della disciplina e del voto in condotta?

Non credo. A parte che se fosse così semplice, non sarebbe neppure stimolante insegnare, a parte che se fosse possibile, non sarebbe stata neppure da prendere in considerazione l'idea di dover riformare la scuola con altissimi costi per ogni cittadino; a parte tutto, no' non è con programmi, indicazioni, condotta, aggiunta di materie'Non è con il tutor tutto fare', bensì, forse, con un diverso modo di 'far entrare' i docenti sulla scena complessa della classe.

Cosa vuol dire?

Avete mai visto una/un docente con l'orologio in mano o, peggio, sulla cattedra, pronta/o a iniziare per poi portare a termine una lezione in 55minuti o, quand'è fortunato, in un'ora?

Avete mai visto come si affanni con la voce, con lo sguardo roteante su quella o quell'altro studente tra altre/i 25, 26'28, per cercare un contatto oculare?

Avete mai visto quale 'disperazione', appena contenuta nella voce e nello sguardo, quando si accorge di non essere stata/o compresa/o, lei o lui, che aveva preparato una bellissima lezione definendone i tempi e selezionando addirittura le parole più consone al livello della classe?!

Avete mai sentito dire da una/un docente: 'Ripeto le cose fino allo sfinimento, ma non c'è niente da fare!'?

Sì?

Allora, perché non tenere conto di questa realtà e non proporre una scuola strutturata come un ambiente laboratorio di apprendimento e di ricerca costante di 'risposte' per ogni materia (poche obbligatorie, perché non credo sia la quantità di materie che le/gli si offrono a rendere una/un ragazza/o consapevole delle proprie predilezioni, a orientarla/o, ma forse sia il grado di autostima che si è formata/o nell'esercizio della metacognizione e dell'apprendimento cooperativo) in classi meno numerose delle attuali, in cui siano le/gli alunni stesse/i a cercare le soluzioni ai problemi di vario tipo, grammaticali, aritmetici, scientifici, storici'guidate/i e indirizzate/i dalle/dai docenti che predispongono materiali e strumenti per la lezione viva gestita in cooperazione tra studentesse e studenti.

L'apprendimento cooperativo per chi lo ha provato è realmente una risorsa inestimabile, ma non andrebbe vissuto come una strategia da 'usare' ogni tanto, bensì come la scuola, la vera scuola di vita, come la strategia di attacco ai problemi e alla vita: nessuna/o viene esclusa/o, nessuna/o ha un unico ruolo, tutte/i devono misurarsi con ogni ruolo, ognuna/o è importante per l'altra/o, ognuna/o è partecipe dei successi altrui oltre che dei propri; ogni classe (la classe è la base da cui partire, perché in essa c'è il più importante dei laboratori, quello delle relazioni diversificate: conflittuali, sentimentali, di lavoro'nessuna esclusa!), poi, potrebbe aprire la porta alle altre in momenti ricorrenti e stabiliti, non occasionali, per riferire, relazionare, mostrare, documentare i percorsi dei piccoli gruppi e dei singoli'ma ciò dovrebbe accadere sempre, non soltanto per portare a termine qualche progetto del P.O.F.!

L'eccezionale, a scuola, dovrebbe divenire la normalità e viceversa (anche ciò che ci sembra 'normale' andrebbe reso straordinario con la valorizzazione continua di ogni 'prodotto': una frase, una parola che hanno significato per qualcuna/o sono immediatamente da cogliere e 'mostrare')'La relazione è l'unica arma che abbiamo a disposizione per vincere il degrado, la mortificazione, gli abbandoni'Ma non soltanto la relazione fra docente e alunna/o, che pure è fondamentale, bensì quella fra alunno e alunno, fra alunna e alunna, in un continuo confronto di stili di apprendimento e intelligenze giovani che fanno nascere pensieri per poi seguirli o abbandonarli, per farli scontrare e incontrare sul terreno della conoscenza condivisa'Perché credere ancora, e quasi sempre, che l'adulta/o insegnante debba parlare e l'altra/o alunna/o ascoltare e imparare? Indubbiamente l'adulta/o è la/il depositaria/o di un mondo di saperi e valori sociali e culturali, ma non è la/il sola/o. Anzi, non dovrebbe 'sentirsi' sola/o, là, sulla sua cattedra, magari reputandosi vittima di un sistema che le/gli impone orari e obiettivi da raggiungere senza lasciarle/gli spazio per la creatività, per l'artigianalità, per l'ascolto attivo'

E l'unico modo per non sentirsi sole/i è stare con le ragazze e i ragazzi che provano e riprovano, sudano, nel vero senso della parola, per ripercorrere le strade della conoscenza a voce alta, discutendone ogni angolo buio, ogni luce trovata singolarmente, per poi infonderla anche in compagne/i che quella luce non avevano trovato'

Perché non accettare che in classe qualcuna/o possa parlare del 'Paradiso' come fa Benigni (mi riferisco ai modi!), magari balbettando parole, descrivendo 'primitive' emozioni, gesticolando e facendo 'balzane' associazioni' per poi ripartire insieme, con il lavoro cooperativo, verso una eventuale 'formalizzazione' delle sue 'scoperte' e intuizioni?

In ogni classe c'è un 'Benigni', o una/un possibile scienziata/o, o una/un futura/o maestra/o, o una/un filosofa/o, o una/un matematica/o, anche fra quelle/i che sembrano apparentemente lontane/i dall'esserlo perché bloccate/i da situazioni di svantaggio'

Non consentire ai pulcini di rompere l'uovo è un vero delitto oltre che un pericolo per la società, ma ogni volta che l'istituzione ci obbliga, a causa degli orari, del numero di alunne/i, di un'organizzazione rigida, di materiali, ambienti e strumenti inadeguati', a far lezione, senza mettere in azione le/i ragazze/i e le loro energie, noi costringiamo un pulcino a non nascere.



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