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Covid: le famiglie lasciate da sole nel vuoto con i figli

Silvia Avallone

17/03/2021
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Corriere della sera

Mentre 

 lo mancavamo di una decina di centimetri, io mi promettevo in silenzio che non avrei più permesso a mia figlia di vivere un’esperienza simile: non poter giocare all’aperto, non poter vedere altri bambini, non poter andare a scuola. Non l’ho mantenuta. Sono tornata a svegliarmi all’alba per poter scrivere qualche pagina. Poi mia figlia si sveglia, e mio marito e io cominciamo a fronteggiare il lungo giorno. Non è affatto come l’anno scorso: anche in zona rossa si lavora. Il mondo non si è fermato di nuovo: si sono fermate le scuole, per l’ennesima volta.
Cominciamo con il puzzle dei francobolli da 1.000 pezzi. Proseguiamo con il gioco dell’oca. Nel frattempo i telefoni squillano, le mail arrivano, mio marito deve uscire. Mia figlia scoppia a piangere: Perché papà va al lavoro e io non vado a scuola? Mi sento impotente, in una misura che mi sovrasta.
Come posso riuscire, da sola, tra le mura di una casa deserta, senza mondo, a far crescere mia figlia?
L’Italia ha sempre dato un ruolo troppo vasto alla famiglia, come se questa potesse sostituirsi alla scuola, alle amicizie, alla cultura, alla società intera, come se contenesse un orizzonte a cui tendere. Ma è vero il contrario: una famiglia è solo l’inizio di una storia, e nessun figlio, nessun genitore, può vivere la propria e diventare se stesso senza allontanarsene.

«Mamma, perché papà va al lavoro e io non vado a scuola?

La mattina trascorre rinunciando: faccio saltare impegni o li schivo. Se una telefonata è troppo urgente, accendo la televisione e dico a mia figlia di guardarla. Ieri, nella chat dei genitori, una madre ha scritto che, a causa di una serie di riunioni su Zoom, ha dovuto sistemare il bambino davanti ai cartoni animati per 5 ore e si è sentita uno schifo. «Che alternative avevo?» ha chiesto disperata. Qualche giorno prima il video di Davide Conte, assessore del Comune di Bologna interrotto più volte dal figlio durante una seduta comunale, è diventato virale. Qualcuno lo ha definito divertente. Altri hanno consigliato, di nuovo, di ricorrere alla tv per tenerlo buono. Ma i bambini non vanno sedati: vanno aiutati a fiorire. Tutto ciò che capita loro durante l’età evolutiva ha un impatto indelebile sulla geografia degli cognizioni, dell’emotività e dell’affetto. La pandemia dura da un anno e i bambini e gli adolescenti sono stati l’ultimo argomento.
Non parlo solo di scuola e di istruzione, ma anche del loro diritto a essere quello che sono: non adulti, non autonomi. Con necessità specifiche: crescere sani nell’anima e nel corpo, con relazioni e stimoli, luce e spazio. Il rischio è che quando lo diventeranno sul serio, adulti, il vuoto di esperienza, di cultura, di affettività che si porteranno dentro sarà insormontabile. E non si tratta di un problema individuale, ma collettivo.

«A casa finiscono per rimanere le madri
Vedere i propri bambini annichiliti genera un senso di colpa insostenibile»

L’ipoteca della pandemia sul futuro si decide oggi. Annientare bambini e adolescenti davanti agli schermi, chiusi tra quattro pareti, perché il mondo degli adulti deve riuscire a barcamenarsi in ufficio, in fabbrica, nelle riunioni su Zoom è un’ingiustizia senza senso. Il mondo degli adulti non sta affatto procedendo in avanti. Sta tornando indietro: lavorando senza preoccuparsi delle persone a cui lascerà il testimone, senza costruire un sistema alternativo che ci metta al riparo da nuove ondate, accrescendo a dismisura le diseguaglianze tra chi ha mezzi e wifi e chi non li ha. Non in ultimo, sta ribadendo che quella famiglia a cui riconosce un ruolo così vasto, che tanto magnifica a parole, in fondo coincide con un unico membro lasciato solo: a casa, a prendersi cura dei figli, devono rimanere le madri. Che possono «scegliere» se continuare a lavorare in presenza, senza sapere a chi lasciare i figli, o in smartworking al prezzo di riunioni interrotte di continuo, oppure abdicare a loro stesse. Perché vedere i propri bambini annichiliti genera un senso di colpa insostenibile. E perché, concretamente, non ci sono alternative.
Però i figli non appartengono ai genitori. Sono cittadini, hanno nomi e cognomi: se non votano, non protestano, non producono ricchezza oggi, è perché devono imparare a farlo domani. Sono il motivo per cui una società progetta e cerca di migliorarsi.

«È inutile arrrabattarsi nell’economia del presente
È l’istruzione l’economia di domani. Serve un orizzonte»

Nel dramma totale di questa pandemia, è urgente un piano che riguardi i bambini e gli adolescenti. Dopo più di un anno, è inutile arrabattarsi nell’economia del presente come in un vicolo cieco: è la scuola l’economia del domani. Cosa siamo senza un orizzonte? Lo chiamano inverno demografico: la rinuncia a mettere al mondo dei figli. È diventato impossibile progettare un viaggio, un calendario che vada oltre la settimana, oltre la sopravvivenza. Pianificare e immaginare una nuova vita sarebbe una follia, no? In questa quasi primavera, insolitamente assolata come lo fu quella del 2020, vedo chiaramente nel deserto delle strade là fuori il perché di questo inverno: non si sentono le voci dei bambini. Non sono previste le loro corse, non è loro consentito abitare a cielo aperto. Osservo anziani che portano a spasso il cane, signori che fanno jogging. È come se i bambini fossero stati tutti ricacciati indietro, nelle placente delle loro stanze, nel ronzio monotono delle connessioni. È come se fosse stato loro precluso il venire al mondo.
La vita si differenzia dalla sopravvivenza perché contiene un sogno. L’intelligenza di guardare oltre l’immediatezza e costruire un cammino in cui realizzarsi: non solo per se stessi, ma per continuare e cambiare negli altri. E, in questo modo, non morire mai.


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