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Corriere-Sciopero generale, l'appello di Cofferati

Sciopero generale, l'appello di Cofferati Il segretario Cgil scrive a Cisl e Uil: "Incontriamoci per decidere un nuovo programma di mobilitazione" ROMA - Sergio Cofferati scrive ai numeri uno ...

12/02/2002
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Corriere della sera

Sciopero generale, l'appello di Cofferati

Il segretario Cgil scrive a Cisl e Uil: "Incontriamoci per decidere un nuovo programma di mobilitazione"

ROMA - Sergio Cofferati scrive ai numeri uno della Cisl Savino Pezzotta e della Uil Luigi Angeletti per tentare di ricucire lo strappo sindacale di Rimini. Ma, in realtà, suona più come un affondo per la chiamata allo sciopero generale. Nella lettera, protocollo n.756/2002, il segretario generale della Cgil si dice "a vostra disposizione per fissare una riunione tra le nostre segreterie per definire il tutto". Cioè un "nuovo programma di mobilitazione" contro la modifica dell'articolo 18 nel quale campeggia a caratteri cubitali la parola "sciopero". "Come sapete", scrive infatti, "secondo noi tale programma dovrebbe prevedere anche il ricorso allo sciopero generale". La breve missiva termina con "fraterni saluti" ma non sembra fare breccia tra i cuori infranti del sindacato. Anzi, nella Cisl il disagio nei confronti dell'"arrogante" Cofferati che continua a parlare di sciopero generale è aumentato. Pezzotta ieri ha imboccato la strada del "no comment" e rinviato a questo pomeriggio, in una conferenza stampa, la risposta da dare non senza aver sentito prima l'esecutivo. Il grande freddo dunque resta e ieri, tra i collaboratori di Pezzotta c'era chi si lamentava del gesto di Cofferati: "Parole fredde e distaccate, sembra la lettera di un direttore generale che convoca i suoi manager".
In attesa di capire l'evolversi delle cose il pragmatico Angeletti, ma prima della lettera del "Cinese", aveva messo la sordina alla polemica sostenendo che lo "strappo in casa sindacale è molto più apparente che reale". "Se siamo d'accordo sugli obiettivi da raggiungere", ha detto ancora il sindacalista, "ci mettiamo cinque minuti a raggiungere l'intesa". Anche perché, secondo il segretario della Uil, il governo finirà col ripensarci e fare marcia indietro sulla storia dell'articolo 18 quando si renderà conto che "la stragrande maggioranza dei cittadini è contraria a questo provvedimento". E finisce così per rilanciare la formula del "work day", come grande manifestazione unitaria contro le deleghe su lavoro e pensioni in grado di portare in piazza oltre un milione di persone.
Ma il governo non sembra spaventato da questa eventualità. E nemmeno dallo sciopero. Il ministro per l'Attuazione del programma, il forzista Giuseppe Pisanu, ha dichiarato che "uno sciopero generale non sposta di una virgola la posizione del governo". E il viceministro delle Attività produttive Adolfo Urso, dell'ala liberal di An, ha addirittura proposto che il governi tratti anche separatamente, escludendo le posizioni più intransigenti del sindacato, i temi delle deleghe.
Intanto il ministro del Lavoro Maroni, che tra l'altro ha convocato per domani le parti sociali sulla riforma del collocamento, continua a girare l'Europa a caccia di sponde sulla flessibilità. Ieri era a Madrid dove ha partecipato a un convegno sul lavoro col collega spagnolo Juan Carlos Aparicio, l'altra settimana era a Londra dove con Tony Blair ha stretto un "asse" per riformare il mercato del lavoro: il testo verrà firmato a Roma giovedì. La partita, ora, diventa tutta politica e non sono esclusi nei prossimi giorni colpi di scena: da una parte Gianfranco Fini potrebbe scendere di nuovo in campo come ha già fatto per il pubblico impiego, dall'altra Luca Volontè, capogruppo alla Camera dei Ccd, ieri ha criticato il governo che "avrebbe già dovuto convocare le parti sin da oggi (ieri per chi legge)".