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Corriere - MODERNI, NON AZIENDALISTI

MODERNI, NON AZIENDALISTI di GASPARE BARBIELLINI AMIDEI Che sia una svolta, è innegabile. Cade una ostinazione ideologica almeno trentennale. Speriamo che non ne spunti un'altra. Il perdonism...

02/02/2002
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Corriere della sera

MODERNI, NON AZIENDALISTI

di GASPARE BARBIELLINI AMIDEI

Che sia una svolta, è innegabile. Cade una ostinazione ideologica almeno trentennale. Speriamo che non ne spunti un'altra. Il perdonismo pedagogico ha molto deluso e ha fatto danni, l'aziendalismo pedagogico sarebbe altrettanto negativo. Per ora stiamo al lato concreto delle innovazioni. Esse giustificano un cauto ottimismo. Meno enfasi e più precisione sulle singole cose da fare gioveranno a questa importante riforma che vuole mandare in archivio l'ipocrisia dei crediti e dei debiti e la finzione dei ricuperi fantasma, prendendo di petto non soltanto il tema arduo della valutazione degli apprendimenti, ma anche quello scottante della valutazione dei comportamenti. Ecco che si introducono, con l'eufemismo della parola "fermi", le bocciature previste ogni due anni, mentre il voto in condotta andrà a fare media nello scrutinio. Il passaggio è delicato. Se non vuole mettersi in testa l'elmetto di un autoritarismo anacronistico, questa nuova scuola deve onorare al più presto i grandi impegni che sottoscrive: centrale è una attenzione alla qualità degli studi che discenderà da un grande investimento nella qualità degli insegnamenti. La maggiore trasformazione in tale senso è nella pari dignità promessa alla formazione professionale, inserita in un sistema binario che vede scorrere in parallelo l'istruzione liceale.
I ragazzi che scelgono il percorso formativo non soltanto si vedranno garantita anno dopo anno una "passerella" per trasferirsi a volontà nell'esperienza liceale, cambiando così il progetto di futuro.
Avranno anche modo di proseguire dopo i quattro anni "normali", per un quinto, un sesto e un settimo anno, così da acquisire una qualifica professionale superiore, meglio spendibile sul mercato del lavoro come "quadri". Potranno pure avere un quinto anno ad hoc per affrontare l'esame di maturità e iscriversi in un ateneo.
Questi sono passaggi di modernità che la contrapposizione politica non impedisce di cogliere. Affidare al governo della scuola la possibile alternanza fra aula e lavoro dai 15 ai 18 anni sposta poi il baricentro delle esperienze e conferisce maggiore importanza al ruolo degli studenti e dei docenti.
Il progetto qua e là mostra i segni di compromessi interni alla maggioranza. È da verificare quanto arricchiscano e quanto piuttosto non impoveriscano in compattezza e in linearità gli studi le sconcertanti operazioni-spezzatino all'interno delle elementari (1 anno più 2 più 2 è il nuovo schema) e delle medie (2 anni più 1).
Centrale è la questione del primato della scuola pubblica, per la quale Berlusconi ha promesso grandi investimenti. Prendiamo in parola lui e il ministro Moratti. Alcuni interessi marginali delle scuole private sono stati qua e là toccati, anche se con qualche timido ripensamento. Quel po' di anticipo nell'iscrizione alle materne e alle elementari dà fastidio al monopolio privato delle "primine". La coerenza nazionale dell'insegnamento pubblico è la garanzia della qualità e della libertà della scuola. La quota a parte dei piani di studio da lasciare alle diverse regioni nell'iniziale progetto governativo era limitata al 5 per cento. Lo schema approvato ieri affida invece la determinazione degli spazi di manovra ai decreti delegati. Tocca quindi al ministro difendere il valore nazionale del disegno, materie, metodi e valutazioni. Sarà bene lasciare fuori dalle aule stravaganze folcloristiche e velleitarie tentazioni localistiche.
L'Italia, che non è un'azienda e vuole una scuola pubblica che non sia un'azienda, gradisce però dalla maggioranza e dall'opposizione un segno di concretezza "manageriale": cioè stare alle cose, meno slogan, meno cortei, meno fischi e meno applausi, e più realismo. Ora c'è un punto da cui partire.