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Corriere-Il premier fermò le liti: non è la Finanziaria che volevo io, ma questi sono i conti

IL RETROSCENA Il premier fermò le liti: non è la Finanziaria che volevo io, ma questi sono i conti Marzano minaccia di lasciare per tre volte, la tensione della Moratti. Fini frena Pisanu. Il ...

01/10/2002
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Corriere della sera

IL RETROSCENA

Il premier fermò le liti: non è la Finanziaria che volevo io, ma questi sono i conti

Marzano minaccia di lasciare per tre volte, la tensione della Moratti. Fini frena Pisanu. Il capo dell'esecutivo tentato dall'idea di rinunciare al progetto del "caccia" europeo

ROMA - "Non è la Finanziaria che volevo io". Avrebbe voluto evitare parole così dense di verità e di amarezza, invece è stato addirittura costretto a mostrare le stigmate per ottenere ubbidienza dai suoi apostoli, "perché è questa la realtà delle cose, i conti pubblici sono quelli che sono, l'economia mondiale attraversa una fase difficile, e dunque bisogna avere il coraggio di anteporre l'interesse nazionale alle esigenze dei singoli dicasteri". Berlusconi ha chiesto un atto di fede ai ministri, "dovete accettare i tagli, e se non vi piacciono mi dispiace, ma non possiamo farci nulla". Più che una domenica è sembrato un venerdì di passione, e quel concetto ripetuto più volte dal premier è diventato una sorta di credo laico del governo. Raccontano che durante il rito per il varo della Finanziaria, il Cavaliere abbia alternato la lettura dell'Apocalisse ai racconti della Resurrezione, "e vedrete che le cose andranno meglio l'anno prossimo, l'economia mondiale ripartirà, la nostra Finanziaria aiuterà la ripresa, perché i soldi che i ceti meno abbienti risparmieranno sulle tasse, non saranno spesi per acquistare dei Rolex a rate, ma verranno usati per consumi di massa" . Ma è difficile confidare nel domani e nel prossimo, se al tavolo della cena si sospetta del vicino, e quando Marzano ha visto realizzarsi il tradimento, gliel'ha gridato in faccia al vice di Tremonti, Miccichè, colpevole ai suoi occhi di avergli teso "una trappola": "Ti sei messo d'accordo per togliermi i soldi e le competenze". L'ira e il disprezzo erano tutti per il titolare del Tesoro, sebbene il ministro delle Attività produttive non gli abbia mai rivolto lo sguardo né la parola: "E se le cose stanno così, voto contro la Finanziaria e vado via". Nessuno ha solidarizzato con Marzano, mentre Fini gli anticipava che la gestione dei fondi per il Sud se la poteva scordare, perché "verrà assunta direttamente da Palazzo Chigi". Solo Gasparri lo invitava a ripensarci, ma non per alleviargli le pene dell'animo: "È che se te ne andassi, ti assumeresti una grave responsabilità", quella di mettere a repentaglio il governo.
Pare che per tre volte il professore abbia detto "prendo le carte e vado via", e che per tre volte sia ritornato sui propri passi, chiedendo ai colleghi: "Ma se voto contro, cosa succede?". È servito tutto il carisma di Berlusconi per renderlo mansueto. Come un profeta che esorta i propri discepoli a non soffermarsi sulle vicende terrene, il premier gli si è avvicinato per confortarlo: "Antonio, non fare così, in fondo non sono mica soldi tuoi".
Da vecchio democristiano, Pisanu sapeva che gli sarebbe toccata identica sorte se non avesse escogitato qualcosa. Perciò aveva chiesto per primo la parola. All'inizio il suo "pianto greco" aveva raccolto la solidarietà unanime del governo: fate la carità al ministro dell'Interno, "altrimenti avrò tutti i Comuni contro"; coprite questo finanziamento, "o non saprei cosa dire alla Polizia"; e versate un obolo per i pompieri degli aeroporti, "se non volete che le strutture vengano declassate". Perfino Tremonti era rimasto ipnotizzato dal modo in cui Pisanu aveva sgranato il rosario, e a ogni posta il ministro taglia-spese aveva pronunciato un amen e aperto il portafogli. Finché il vice premier si è premurato di porre fine alla questua, "basta così, Beppe, alle altre cose ci penseremo più in là". Piccato, il responsabile del Viminale lo ha avvertito che "certo non perderò tempo a chiedere soldi per la legge sull'immigrazione, perché è nel vostro interesse che venga finanziata. Altrimenti non potrò applicarla e sarete voi a rimetterci". Pare che Bossi e Fini si siano scambiati un sorriso simile a un avvertimento.
E un avvertimento il leader della Lega lo avrebbe rivolto poco dopo agli alleati, accettando i tagli agli enti locali: "Vi ricordo che senza il federalismo fiscale la Finanziaria ve la votate da soli". Nessuno ha preso sul serio la minaccia del Senatur, molti hanno invece interpretato le sue parole come un modo per salvarsi l'anima prima di chinare la testa davanti alla scure. L'immagine del boia era già apparsa alla Moratti, che aveva abbandonato lo studio del premier dopo un colloquio riservato lungo e stressante. Lo avevano intuito i colleghi, per via del suo volto tirato e dei suoi occhi lucidi. Né il ministro aveva provato a celare l'emozione. Non avrebbe potuto, perché il tono della voce tradiva il momento di sconforto più delle parole pronunciate subito dopo l'incontro con Berlusconi: "Io intendo preservare la mia reputazione. Ho sempre sperato di costruire qualcosa di importante, ma se continua così, non so cosa rimango a fare". Per il momento la Moratti rimarrà, come rimarrà anche Sirchia, e Lunardi che per giorni ha chiesto invano un colloquio con il Cavaliere.
"Non è la Finanziaria che volevo io", ha sospirato il premier. Nei suoi progetti, per esempio, il dicastero dell'Innovazione tecnologica avrebbe dovuto portare la rivoluzione informatica nel comparto pubblico. E l'altra sera ancora ci credeva, se è vero che ha dato la parola a Stanca presentandolo come il titolare "di uno dei punti più qualificanti del nostro programma". "Io vi ringrazio per la vostra considerazione - ha esordito il ministro - ma ritengo di non poter fare molto, visto che ho a disposizione solo cinquanta milioni". Berlusconi si è girato di scatto verso Tremonti: "Cinquanta milioni? Come cinquanta milioni". "Silvio, non ci sono soldi", è stata la risposta. E avanti un altro.
L'altro era Martino, il quale ha ricordato al capo del governo che "la Difesa oggi misura la credibilità all'estero del nostro Paese. La Nato ci chiede un maggior impegno, l'Europa preme per realizzare la Forza di reazione rapida. Ora, io accetto l'impostazione della Finanziaria, ma a perdere la faccia sarebbe l'Italia, il governo, tu Silvio. Perché al vertice di Praga sarai tu a dover affrontare gli alleati". Martino stava per ottenere gli stanziamenti necessari al progetto del caccia Euro-fighter, quando Berlusconi lo ha interrotto: "Dobbiamo avere il coraggio di dire no anche a cose importanti. Chiediamo a un avvocato come rescindere il contratto". "Guarda che non è un contratto", ha replicato Martino: "Qui stiamo parlando di un accordo internazionale". I soldi, dapprima inseriti a bilancio, sono stati tolti appena il ministro della Difesa ha lasciato Palazzo Chigi.
Più volte Berlusconi ha scosso il capo l'altra notte, finché nel dibattito si è inserito il ministro per l'Ambiente. Matteoli è uno dei pochi che in questi mesi ha fronteggiato il titolare del Tesoro con parole che altri non hanno neppure osato pensare. Ora tra i due le cose vanno un po' meglio, ma non è un caso se per qualche minuto il dirigente di An ha voluto far accomodare la politica nella sala del governo. E lo ha fatto rivolgendosi a tutti i colleghi, "perché, vedete, io non ho gli strumenti per confutare l'analisi di Tremonti, e dunque accetto le sue cifre e il percorso che ha stabilito. Ma dobbiamo essere chiari tra noi: o riconosciamo di essere in presenza di una crisi economica internazionale, e allora, insieme, dobbiamo far quadrato, oppure qualcuno dovrà avere il coraggio di dire che la Finanziaria dell'anno passato non ha centrato l'obiettivo". Come dire che il governo allora ha fallito. E sarebbe esiziale concedersi un bis.
Francesco Verderami


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