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Coronavirus e riapertura scuole: se i miei ragazzi non tornano a scuola, se li prende la criminalità

Eugenia Carfora dirigente scolastico a Caivano (Napoli): i prof hanno chiesto il congedo per Coronavirus. Promuovere tutti: i ragazzi mi devono dimostrare che desiderano il diploma

06/04/2020
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Corriere della sera

di Gianna Fregonara

Per lei che i suoi ragazzi li aspettava sul cancello tutte le mattine o, se non venivano, andava direttamente al bar ad acciuffarli per portarli a scuola, la sospensione delle lezioni è una catastrofe. Preside a Caivano, dell’Istituto Superiore Tecnico Professionale «Morano» in quel Parco Verde che è una delle peggiori piazze dello spaccio alla periferia di Napoli, Eugenia Carfora è molto più che preoccupata per i suoi ragazzi rinchiusi in casa. Vorrebbe farli tornare a scuola il prima possibile perché sa che se non vengono da lei tutte le mattine, «se li prende qualcun altro», che da queste parti vuol dire spacciatori, vuol dire camorra. E’ in contatto con la task force creata al ministero da Giovanna Boda che aiuta le scuole in difficoltà. «Cerco di tenere un filo diretto con loro, li chiamo, telefono, mando sms, li spingo a chiamare gli altri compagni. Ma cosa vuole...»

Come si fanno le lezioni a distanza in una scuola di frontiera come la sua?
«Io ottempero a tutto quello che devo fare come preside. Ho attivato la piattaforma Moodle, ho dato disposizioni. Ma per me la scuola, in posti come questo, è innanzitutto sguardo, è l’occhio che incontra l’occhio: da lì comincia tutto. A distanza non si può fare»

E i ragazzi si collegano?
«I centocinquanta che già venivano a scuola un po’ si e un po’ no, li ho persi. Da subito. Niente da fare, anche se ci siamo attivati. Prima mi sarei messa in macchina e sarei andata a cercarli a uno a uno. Ma adesso? Tengo il cancello aperto, la luce accesa. Cerco di mandare un messaggio positivo. Il ministero mi vuole mandare i tablet, ma io qui avrei bisogno dello psicologo. Avrei bisogno di aprire uno sportello di ascolto, per parlare con i ragazzi della loro paura, dell’angoscia di questa situazione e del loro futuro».

E i professori si sono attivati?
«All’inizio c’è stato molto disorientamento. Molti hanno chiesto il congedo parentale come previsto dai provvedimenti del governo. Ho cento supplenti annuali su 139 professori, c’è il rischio che si sentano giudicati mentre usano strumenti che non conoscono bene, anche se abbiamo il registro elettronico e tutto ciò che serve. Ma se gliela devo dire tutta, io non sono preoccupata dei contenuti delle lezioni, il programma che non si fa quest’anno si farà il prossimo. Io sono preoccupata dal silenzio dei ragazzi, dalla loro angoscia: tutti insieme chiusi in casa, con genitori che spesso non ce la fanno, né come genitori nè economicamente: per loro venire a scuola era la possibilità di appartenere ad un altro mondo, diverso da quello di casa. Voleva dire avere una possibilità: io sono molto preoccupata di quello che passa nella testa dei miei ragazzi in questi giorni»

La chiusura sembra dover durare ancora a lungo, che cosa pensa di fare?
«Io vorrei riaprire subito. L’altro giorno mi ha chiamato uno dei ragazzi dell’alberghiero. Era angosciato, voleva parlare, alla fine gli ho detto: cucina a casa, e mandami il video, che te lo pubblico. Questo vogliono i ragazzi in questo momento, che li ascoltiamo. Non è solo l’angoscia delle reclusione in casa, ma qui con la scusa delle mascherine sta girando di tutto: nei palazzi entra chi porta cibo e chi porta altro, qui c’è una comunità che vive di espedienti, se i ragazzi non tornano a scuola, saranno risucchiati. Mi sono spiegata?».

Che cosa farà a fine anno. Il ministero dice tutti promossi
«Me lo ha chiesto anche Giuseppe, uno dei ragazzi del professionale. Gli ho detto: ma se adesso tu fossi malato di Coronavirus e avessi, accanto al tuo respiratore, un medico promosso così a casa che non ha studiato, che cosa penseresti? “Che mi fa morire, mi ha risposto. Se io ti do il diploma gratis in questo momento non ti faccio un piacere. Non è possibile che questa situazione si tramuti in un’occasione per ottenere comunque quello che non si merita»


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