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Carta-Nato per fare il maestro-di Arturo Ghinelli

INSEGNARE "Ma lei si è fermato a maestro? Glielo chiedo,perché mia figlia ha proseguito ed è diventata professoressa". Questo mi ha chiesto l'altro giorno una conoscente. Infatti oggi,nell'epoc...

02/11/2005
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Carta

INSEGNARE

"Ma lei si è fermato a maestro? Glielo chiedo,perché mia figlia ha proseguito ed è diventata professoressa". Questo mi ha chiesto l'altro giorno una conoscente. Infatti oggi,nell'epoca delle lauree brevi e dei dottorati , fare il maestro significa essersi "fermato". Quando però mi sono diplomato all'Istituto magistrale"C.Sigonio"era il luglio del 1968 e, per l'epoca,il figlio di un falegname e di un'operaia che diventava maestro era segno che nello studio niente lo fermava. I prof delle medie dandomi la licenza avevano scritto che potevo continuare a studiare ai licei o alle magistrali. Tuttavia in famiglia la discussione se farmi continuare negli studi era stata sempre molto accesa. Alla fine delle medie era mio padre ad essere contrario,mentre alla fine delle magistrali era mia madre ad opporsi al mio ingresso all'università. Entrambe le volte,alla fine,prevalse la volontà di farmi continuare e di proseguire il riscatto sociale e culturale di una famiglia in cui mia madre passava per l'intellettuale,perché era riuscita a finire la quinta prima di essere mandata a lavorare in campagna,e mio padre invece aveva appena la terza elementare. L'avversione di mia madre per l'università era dovuta esclusivamente a ragioni economiche: era ora che anch'io diventassi una voce in attivo nel bilancio familiare. Perciò,quando dopo pochi mesi dalla maturità venne bandito il concorso magistrale corsi subito a farlo.
Anzi andai a sostenere l'esame in provincia di Varese,su consiglio del mio insegnante di Didattica. Infatti il maestro Ricchetti ci aveva detto che lì la graduatoria si esauriva tra un concorso e l'altro, anziché allungarsi come a Modena, e perciò c'erano più speranze anche per noi giovani che non avevamo altro punteggio se non quello del diploma. Al concorso andammo in otto ma soltanto in due riuscimmo a superarlo.
Così il primo ottobre 1969 mi ritrovai dall'altra parte della cattedra a soli diciannove anni senza aver mai fatto supplenza. L'unica esperienza,se così si può dire,di insegnamento era stata una "lezione"sulla macchina a vapore che l'insegnante di Didattica mi aveva fatto tenere insieme al mio compagno Tiziano a dei bambini di classe quarta delle scuole elementari "Pascoli".(siccome le ore di didattica erano poche e noi eravamo in 35,il prof era stato costretto a formare delle coppie per riuscire a farci provare tutti) Il maestro Ricchetti rimase entusiasta di quella mia prima prestazione professionale,tanto che al ricevimento disse a mia madre:"Suo figlio è nato per fare il maestro". A dir la verità io ero uno dei pochi della mia classe convinto e deciso a fare l'insegnante,mentre la maggior parte dei miei compagni negava il benché minimo interesse per la professione,che invece poi quasi tutti hanno fatto un volta diventati grandi,anche se quasi nessuno si è fermato a maestro ma ha proseguito e sono diventati professoresse di scuola media o delle superiori. Non voglio certo dire con questo che l'insegnante deve essere un missionario,posso solo dire che la motivazione mi è stata di grande aiuto in questi 35 anni e molto spesso ha fatto rima con soddisfazione;perché le più grandi soddisfazioni in questo mestiere le ho avute quando mi è sembrato di aver contribuito a far continuare a studiare quei bambini per i quali non era così scontato,ma anzi molti erano pronti a scommettere che si sarebbero fermati presto,troppo presto. Del resto io stesso non saprei individuare con esattezza tutte le ragioni che hanno contribuito a formare e a tenere viva la mia motivazione ad insegnare. Certo alcune di queste ragioni sono evidenti.
Prima di tutto la mia formazione umana e sociale. Essere uno dei primi figli di operai
che era riuscito a continuare gli studi,ha contribuito a fare dell'istruzione e della cultura un valore forte per me. A questo risultato ha certamente contribuito la situazione sociale in piena evoluzione negli anni '60. Infatti non bisogna dimenticare che proprio l'anno in cui io dovevo sostenerli sono stati aboliti sia l'esame d'ammissione all'università(1968),sia in precedenza l'esame d'ammissione alla scuola media(1961). Perché arrivassi preparato a quest'ultimo i miei genitori si erano inutilmente svenati mandandomi a lezione privata dal mio maestro di scuola.
Frequentavo la terza magistrale quando uscì "Lettera a una professoressa" dalla scuola di Barbiana di Don Lorenzo Milani,che conoscevo perché mi aveva già avvinto con "L'obbedienza non è più una virtù". Queste letture sono state una conferma e un rafforzamento della mia voglia di insegnare. Nell'unico anno in cui ho frequentato solo l'università,come i figli di papà,costituii un comitato di quartiere genitori-studenti e fu lì che diffusi il donmilani-pensiero.Nel Comitato i genitori c'erano davvero: erano le donne del mio quartiere di case popolari. Riuscii a coinvolgere anche un papà,un vecchio muratore .Io e questo muratore andammo notte tempo ad affiggere,davanti alla scuola elementare del nostro quartiere due manifesti copiati da "Lettera a una professoressa".I manifesti li avevo fatti in casa con l'aiuto di un compagno d'università bravissimo a disegnare,senza il quale non sarei mai riuscito a riprodurre sulla carta da pacchi la piramide degli esclusi di una stessa leva scolastica. Nell'altro manifesto campeggiava la scritta"insegnanti vergognatevi",perché le maestre disincentivavano in tutti i modi la partecipazione dei ragazzi al doposcuola comunale.
Quando,con mia grande sorpresa,seppi di essere stato ammesso all'orale del concorso magistrale avevo solo venti giorni per prepararmi,perciò chiesi alla professoressa Contaldi se poteva consigliarmi dei testi brevi da portare all'esame. Fu così che scoprii l'altro ispiratore della mia attività professionale il Celestin Freinet de "I detti di Matteo",che mi costò una battutaccia del Direttore Didattico che mi interrogò:"Lei da buon emiliano ha portato Freinet,che era membro del PCF".La scoperta del metodo Freinet fu fondamentale perché mi permise di entrare in contatto con il Movimento di Cooperazione Educativa(MCE) e di frequentare i corsi d'aggiornamento che i gruppi territoriali di Milano e di Torino organizzavano durante le vacanze estive o natalizie,con le spese completamente a carico dei partecipanti.
Ebbi così la fortuna di ascoltare la parola e di seguire l'opera di Fiorenzo Alfieri,Caterina Foschi Pini,Andrea Canevaro e tanti altri,che mi furono maestri.
Pochi anni dopo il MCE ebbe il suo momento di gloria con il successo tributato al libro di Mario Lodi "Il Paese sbagliato".Nel frattempo avevo avuto l'assegnazione provvisoria in provincia di Modena,dopo i tre anni trascorsi in provincia di Varese.
Insegnavo a Quartirolo,una scuola alla periferia di Carpi, quando in televisione trasmisero "Diario di un maestro"il film tratto dal libro di Albino Bernardini e il bidello,un lunedì mattina,venne in classe e mi disse:"Lei fa scuola come quello della televisione". Questo riconoscimento aumentò le mie quotazioni presso il bidello,che divenne più tollerante nei confronti dei miei ragazzi e delle nostre attività,che facevano assomigliare l'aula,a fine giornata,ad un laboratorio artigiano.
Poi finalmente arrivò il Tempo Pieno. Nel 1974 il Direttore Stentarelli mi chiese se volevo essere assegnato alle scuole di Via Bollitora per svolgere le attività di Tempo Pieno in base alla legge 820 del 1971,io accettai e devo ancora smettere. Infatti dal 1980 insegno a Modena città,ma sempre in una scuola a Tempo Pieno:la Giovanni XXIII. Su 35 anni di servizio,ne ho investito ben 30 sul Tempo Pieno. Per me quello sul Tempo Pieno è stato un investimento professionale: è lì che ho imparato a fare il maestro,non l'avevo certo imparato alle magistrali. Il confronto e lo scambio continuo con le colleghe mi hanno formato. Se adesso sono quello che sono lo devo a questa esperienza professionale e umana(nella scuola di Via Bollitora ho incontrato anche la donna che è diventata mia moglie).Oggi il Tempo Pieno è stato abolito. Mi sarebbe bastato questo per essere contrario alla "riforma" Moratti,ma hanno esagerato e hanno aggiunto anche dell'altro. Mi chiedono di personalizzare il mio intervento,intendendo che dovrei -dare di più a chi ha già di più-. L'esatto contrario di quello che faceva Don Milani. Non posso farlo,non rientra nell'etica della mia professione. Prima che un rifiuto politico il mio è un rifiuto morale. Non posso rinnegare Giacomo,forte della sua tetraparesi spastica,a cui ho insegnato a leggere e a scrivere e che oggi vive e lavora in modo autonomo dalla famiglia. Dovrei render conto a Jens,il primo bambino entrato in classe mia proveniente dal Ghana nel 1989 e sarebbe un problema. Infatti oggi Jens è un campione di atletica leggera che stava per qualificarsi per le Olimpiadi di Atene nella staffetta 4x4,è molto più alto e robusto di me,soccomberei di certo. Dopo le otto ore di lavoro scende in pista e corre e presto rappresenterà l'Italia nelle gare internazionali,perché è riuscito a ottenere la cittadinanza italiana,anche se ha dovuto sudare per averla. Ma almeno con loro due ci vediamo solo una volta ogni tanto,sono uomini. Ma come potrei fare coi bambini che incontro tutte le mattine. Non potrei più guardare negli occhi Mamoudou,Djenaba,Rihab,Hana,Rami,Manuel e Justice,che è arrivato proprio ieri dal Ghana e che ha un nome che da solo lo rende clandestino nel nostro paese,come se non bastasse già il colore della sua pelle. Non riuscirei ad esercitare la mia attività di insegnante,se dovessi abbassare lo sguardo per la vergogna. E non credo di essere il solo. Tanto è vero che hanno pensato di risolvere i problemi della scuola italiana riducendo il numero degli insegnanti. Nell'ultima finanziaria hanno previsto di ridurre di 14.000 il numero dei maestri(quelli di inglese)e di aumentare il numero dei carabinieri. Mi sembra una scelta non equivoca. Noi maestri siamo troppi.Meno tasse,meno insegnanti,meno scuola,meno formazione.Perché anche l'istruzione è una merce.Solo chi ha i soldi potrà comprarsi più scuola e più qualità nell'istruzione.
Noi maestri della mia scuola avevamo capito che con l'autonomia fosse lecito tutto quello che non era espressamente vietato. Per questo da otto anni diamo più scuola a chi ne ha più bisogno,perché a casa i genitori hanno meno istruzione. A giugno,al termine delle lezioni facciamo venire a scuola fino alla fine del mese i ragazzi immigrati neoarrivati per quindici giorni di immersione totale nella lingua italiana,che permetta loro di affrontare l'anno scolastico nuovo con una maggior padronanza della lingua italiana. Praticamente teniamo chiuso solo in luglio e fino a a ferragosto.Infatti già nella seconda metà di agosto riapriamo le aule per tutti quei ragazzi,italiani e no,che trovano difficoltà ad essere seguiti dalle famiglie durante l'estate,perché possano fare i compiti per le vacanze e possano riprendere a studiare sotto la guida di un insegnante. In questa attività ci sono d'aiuto anche le studentesse del Liceo psicopedagogico,che aggiungendosi alle cinque maestre permettono di organizzare le attività per piccoli gruppi,per una maggior individualizzazione,che vuol dire dare di più a chi ha meno per permettergli di raggiungere però gli stessi risultati degli altri senza dare per scontato che non ce la possono fare come affermano i teorici della personalizzazione. Queste stesse studentesse tornano anche un pomeriggio alla settimana durante l'anno per seguire individualmente i bambini in difficoltà. Una novità dell'anno scorso,resa possibile grazie al contributo dell'Assessorato alla P.I. del Comune di Modena, è stata quella di infrangere un tabù per una scuola tutta a Tempo Pieno,aprire le aule anche al sabato mattina: per insegnare o consolidare la lingua madre dei bambini arabofoni. Questo intervento è stato pensato da noi insegnanti perché nella nostra provincia(a Sassuolo) si era aperta una scuola coranica in cui confluivano anche alunni obbligati a frequentare la nostra scuola. Ne abbiamo parlato con i genitori che ci portavano i figli per fare l'esame di ammissione come privatisti, visto che avevano frequentato una scuola non legalmente riconosciuta, e in cambio della promessa del corso di lingua araba hanno iscritto i bambini nella nostra scuola. Appena in tempo perché poi i carabinieri sono intervenuti e hanno fatto chiudere la scuola coranica di Sassuolo. Il corso si è fatto davvero con una insegnante madrelingua,che lavorava come mediatrice presso Porta Aperta(l'associazione della Caritas modenese),con piena soddisfazione nostra e delle famiglie arabofone.
Ancora una volta abbiamo dato di più a chi aveva di meno,a chi era rimasto senza la possibilità di continuare a studiare la propria lingua madre. Anche noi insegnanti di italiano ne abbiamo tratto giovamento perché come diceva anche la pubblicità"do lengui is mei che uan".Due lingue sono meglio di una. Imparare bene più di una lingua scritta aiuta il ragazzo,non lo confonde come potrebbe sembrare a prima vista.. Imparare bene l'arabo aiuta il piccolo immigrato ad imparare bene anche l'italiano,parola di Tullio De Mauro. La nostra scuola è color dell'acqua,perché come l'acqua prende il colore di chi ci sta dentro,perché è scuola pubblica cioè di tutti, non uno di meno. Tutte queste iniziative noi maestri le abbiamo prese pensando così di adeguare la nostra professione alle esigenze del terzo millennio. Non vale la pena spendere dei soldi per pagare i maestri?Nella primavera scorsa da una indagine demoscopia risultava che il 71% degli intervistati era soddisfatto delle scuole elementari pubbliche. Non solo,il maestro,ma sarebbe più giusto dire la maestra,si piazzava al quarto posto nella classifica delle professioni per il prestigio che gli attribuiscono gli italiani. Ebbene la maestra viene solo dopo il medico,il prof universitario e il giudice. Mediti su questo chi ha intenzione di scardinare la scuola elementare. A noi maestri tocca,come proponeva Marco Rossi Doria,farci l'esame di coscienza per capire se siamo ancora interessati a educare o se uno non possiede più tale motivazione ed "è un verme che si ruba lo stipendio".Faccio mia la proposta perché rispondo sì alla domanda che mi ha rivolto il computer"Salvi insegnare con modifiche?" arturo.ghinelli@virgilio.it


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