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«Atenei, i tagli al Sud sono incostituzionali»

Uricchio (Bari): 300 prof in pensione, 10 rimpiazzi

28/11/2013
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il manifesto

Davide Cerbone 

Sotto l'incedere placido del tono  accademico, cova il fuoco dell'indignazione.  Perché quella dei  "punti organico" per il tumover  è una minaccia che rischia di  compromettere non solo il futuro  prossimo degli atenei del Sud,  ma anche il loro presente più immediato.  E allora Antonio Felice  Uricchio, rettore dell'Università  degli Studi di Bari, 60mila iscritti  dei quali 15mila in difficoltà economica,  non ci ha pensato due  volte a far sentire la propria voce.  Rettore, siamo di fronte a  un'ingiustizia?  «Sì. In queste condizioni non  saremo più in grado di  assicurare servizi e docenti in  numero congruo. Per questo  siamo stati tra i primi in Puglia a  insorgere, producendo un  documento che contiene  alcune proposte di riequilibrio».  Ce le illustri.  «La prima è la reintroduzione  della clausola di salvaguardia,  che prevede un tetto massimo  del 50 per cento peri punti  organico. La seconda è  l'introduzione di un parametro  di tassazione figurativa nella  formula Isef utilizzata per  ripartire i fondi: alle tasse pagate  vanno  aggiunte  quelle  figurative,  così da  compensare  le esenzioni.  Perché c'è un  problema di  contesto che  il decreto  ignora».  Le esenzioni, in effetti, sono la  spia di una sofferenza sociale.  «E chiaro. A Bari abbiamo 7mila  esenti e 8mila studenti che  pagano in forma ridotta. E le  esenzioni si concedono quando  vi è una condizione di disagio e  di necessità».  Quali sono le altre proposte?  «Chiediamo di dare attuazione  al decreto 49 del 2012 sul costo  standard per studente, di tener  conto del personale medico  docente in modo ridotto e di  applicare gli indici di  deprivazione sociale, basati su  diversi fattori che misurano lo  svantaggio socioeconomico di  un territorio».  Crede sia in atto un attacco agli  atenei del Sud?  «Spero proprio di no, ma lo  vedremo nell'incontro di oggi  con il ministro Maria Chiara  Carrozza. Una cosa è certa:  siamo molto preoccupati. Il  rischio che i flussi finanziari si  spostino dalle università del Sud  verso quelli del Nord è molto  concreto».  Di chi è la colpa?  «L'Italia non ha fatto  investimenti forti su università e  ricerca, come hanno fatto altri  Paesi europei, sia pure in una  fase di crisi. E poi il riparto delle  risorse non ha premiato né  meriti né bisogni, ma ha  assecondato indicatori che  producono evidenti  distorsioni».  Quali sono le conseguenze a  Bari?  «Negli ultimi 3 anni abbiamo  perso quasi 300 docenti e  quest'anno, con 5 punti  organico, abbiamo potuto  assumere appena 10 ricercatori  (ciascun ricercatore vale 0,5  punti organico, ndr). Questo,  venendo fuori da un blocco del  tumover che ha impoverito  molto la nostra offerta  formativa».  Tenacia ed orgoglio, però, non  vi fanno difetto.  «Per niente. Oggi, mentre noi  rettori siamo a Roma con il  ministro, a Bari si terrà un open  day di protesta e di riflessione  con lezioni magistrali,  interventi di studenti e di  associazioni. Se nulla cambia, il  numero di docenti si riduce  ancora e la loro età media  aumenta. Di questo passo, i  giovani lasceranno gli atenei del  Sud per spostarsi al  Centro-Nord o all'estero.  Rischiamo di scomparire, ma  resistiamo».  Il decreto Carrozza tradisce il  ruolo pubblico delle  università, che dovrebbero  compensare le sperequazioni  economiche?  «Di più: tradisce i principi  costituzionali di eguaglianza e  sussidiarietà».


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