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ANVUR e il Diritto allo studio universitario: un Rapporto da rivedere

Il Rapporto Biennale sullo Stato del Sistema Universitario e della ricerca 2018 pubblicato da ANVUR contiene un capitolo sul Diritto allo studio universitario, che contiene non solo molti errori, ma anche giudizi sulle politiche del diritto allo studio che appaiono scollegati dalla realtà dei dati.  

22/11/2018
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ROARS

Federica Laudisa

Il Rapporto Biennale sullo Stato del Sistema Universitario e della ricerca 2018 pubblicato da ANVUR contiene un capitolo sul Diritto allo studio universitario, che contiene non solo molti errori, ma anche giudizi sulle politiche del diritto allo studio che appaiono scollegati dalla realtà dei dati.  

È sempre ingrato il ruolo della maestrina dalla penna rossa, ancor più lo è se si tratta di utilizzarla sul Rapporto Biennale sullo Stato del Sistema Universitario e della ricerca 2018: è il rapporto che fotografa lo stato del sistema universitario in Italia, l’unico rapporto istituzionale[1]. Se non si può che plaudere a – e sostenere la – realizzazione di un rapporto di ricerca che analizza l’Università nella sua accezione più ampia, al contempo ci si aspetta estremo rigore informativo. Se non dall’Agenzia Nazionale di Valutazione del sistema Universitario e della Ricerca, da chi altri?

Nel capitolo Diritto allo studio e contribuzione studentesca diverse frasi, invece, sottoposte alla lente del rigore informativo appaiono con qualche sbavatura. Mi assumo allora l’antipatico compito di provare a rimetterle a fuoco. Poiché la politica per il diritto allo studio universitario è molto poco analizzata, l’auspicio è che, quando affrontata, se ne faccia informazione con cognizione di causa.

Tassa regionale per il diritto allo studio

Sul sistema di finanziamento del diritto allo studio si legge:

La tassa regionale, in quanto appunto regionale, è stabilita dalle Regioni (e non dagli Atenei). Tutte le Regioni si sono adeguate a quanto prevede il d.lgs. 68/2012 che, modificando la precedente normativa, ha elevato nell’a.a. 2012/13 l’importo della tassa da 96 euro (media nazionale) a 140 euro. Le Regioni possono in alternativa differenziarla in tre fasce ISEE cuis corrispondono i seguenti importi: 120 euro, 140 euro e 160 euro (quest’ultimo elevabile fino a 200 euro). Ad esempio gli studenti con ISEE oltre i 46.000 euro, nel 2017/18, in alcune Regioni, oltre al contributo universitario, hanno pagato tra i 160 euro e i 200 euro di tassa DSU[2].

Legge di Bilancio

La legge di Bilancio 2018 non ha introdotto alcuna novità sul fronte del sistema del DSU, mentre ciò è vero per la legge di Bilancio 2017 che ha previsto:

  • che le regioni istituissero un unico ente per il DSU su tutto il territorio regionale per razionalizzarne l’organizzazione, basandosi sul principio di coordinamento della finanza pubblica (commi 269-270);
  • il trasferimento del FIS (Fondo statale integrativo) direttamente agli enti erogatori degli interventi per il DSU, in luogo di essere attribuito dal MIUR alle Regioni che in tempi successivi provvedevano a trasmettere il finanziamento agli enti (comma 272), ovviamente allo scopo di velocizzare l’assegnazione delle risorse;
  • che il MIUR, di concerto con il MEF, emanasse un decreto per definire i fabbisogni regionali in proporzione ai quali distribuire il FIS.

Innanzitutto occorre precisare che i commi che prevedevano l’obbligo di istituire un unico ente per il DSU su tutto il territorio regionale sono stati impugnati dalla Regione Veneto e dichiarati illegittimi da una sentenza della Corte Costituzionale a marzo 2018.

In secondo luogo, questi interventi normativi non incidono su “l’eterogeneità dei requisiti di accesso ai fondi”, né su “l’erogazione delle borse ad anno accademico inoltrato”, né su “l’incertezza sulla permanenza del sostegno per le modifiche dei requisiti per l’accesso”.

In terzo luogo, a ottobre 2017 è stato emanato il decreto interministeriale MIUR-MEF che ha stabilito come deve essere calcolato il fabbisogno regionale e modificato i criteri di riparto del FIS. Di conseguenza, quanto scritto nel paragrafo sottostante non è più vigente (attenendo ai vecchi criteri di riparto) mentre è stata data attuazione a quello che prevedeva la Legge di Bilancio 2017.

Il nuovo meccanismo di ripartizione delle risorse statali spiega perché nel 2017 le regioni del Sud Italia, Isole comprese, abbiano ricevuto una maggiore quota del finanziamento statale

Borse di studio

Gli idonei nel 2013/14 sono stati 161.735 mentre, nel 2016/17, erano pari a 167.340, un numero sostanzialmente stabile (l’incremento è dell’ordine del 3,5%). La percentuale di copertura delle borse di studio è aumentata in misura cospicua perché sono aumentate le risorse statali per finanziare le borse: il FIS nel 2013 è stato di 149,2 milioni di euro, mentre nel 2016 di 216,8 milioni di euro.

Prestiti d’onore

In diversi punti del capitolo si citano i prestiti d’onore. I prestiti d’onore nella forma prevista dalla L. 390/91[3] – a tasso zero, concesso solo agli aventi diritto alla borsa di studio, con restituzione rateale che doveva avvenire non prima dell’inizio di un’attività lavorativa, e con una rata del rimborso non superiore al 20% del reddito del beneficiario – in Italia non sono mai stati attuati. Questo tipo di prestito, mai realizzato, non ha nulla a che vedere con i prestiti agevolati erogati attraverso delle convenzioni con istituti bancari, con requisiti di “ammissione” autonomamente definiti dalle Regioni o dagli atenei (quindi non circoscritti ai capaci meritevoli privi di mezzi), i quali non implicano l’esonero totale dalle tasse universitarie. Di solito si applica un tasso di interesse agli studenti sottoscrittori e la restituzione deve avvenire dopo 12 o 24 mesi dal termine dell’erogazione. Nel 2016/17, soltanto tre Regioni (Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto) hanno attivato delle forme di prestito e in totale 89 sono stati gli studenti beneficiari (dati UFF. STAT. MIUR).

Servizio abitativo e di ristorazione

Per beneficiare di un posto letto in residenza universitaria gli studenti devono essere idonei alla borsa di studio e fuori sede. All’interno di questa categoria ci possono essere studenti stranieri o disabili, ma non è un pre-requisito per accedere al servizio abitativo. Quando un ente esaurisce la graduatoria degli aventi diritto fuori sede può assegnare il posto letto a studenti non idonei, e tendenzialmente lo fa ad una tariffa più alta.

Il servizio mensa non è gratuito per i beneficiari di borsa. In alcune realtà pagano una tariffa a consumo, ovvero ogniqualvolta accedono al servizio, sebbene solitamente ad un prezzo più basso rispetto a quello corrisposto dagli altri utenti; in molte altre realtà, invece, viene direttamente detratto dall’importo di borsa una quota monetaria a fronte dell’accesso libero in mensa per il periodo di apertura del servizio, per una o due volte al giorno: in altre parole, si tratta di un pasto pre-pagato. Il DPCM 9 aprile 2001 stabilisce una detrazione di 600 euro dall’importo di borsa per il consumo di un pasto al giorno; nei fatti, quasi tutti gli enti per il DSU hanno fissato in modo autonomo l’importo della detrazione (diversi enti sottraggono 1.600 euro dall’ammontare di borsa dei fuori sede, equivalenti all’accesso “gratuito” giornaliero in mensa a pranzo e cena).

Tasse universitarie

Le tasse universitarie si definiscono “relativamente contenute in Italia”. Se il raffronto viene fatto con Stati Uniti, Cile, Giappone, Canada e Australia, per citare i primi cinque Paesi che compaiono nella figura del rapporto ANVUR, l’affermazione può anche apparire veritiera. Ma si tratta di sistemi di formazione terziaria molto distanti dal nostro, sia geograficamente che culturalmente. Se invece ci confrontiamo con il resto d’Europa, realisticamente i “nostri” più stretti competitors, la situazione appare molto diversa: l’Italia ha la contribuzione media studentesca più alta, dopo l’Olanda e la Spagna, nelle università pubbliche. Il rapporto Eurydice parla chiaro e la figura a corredo del testo ancor di più perché mostra come in alcuni Paesi l’istruzione universitaria sia gratuita o al massimo l’importo richiesto non superi i 100 euro (cfr. National Student Fee and Support Systems in European Higher Education 2017/18, Eurydice, European Commission).

* Le opinioni espresse sono quelle dell’autrice e non impegnano l’Istituto di appartenenza.

[1] E’ opportuno segnalare anche il Rapporto sulla condizione studentesca 2018, redatto dal Consiglio Nazionale degli studenti universitari che affronta in modo ampio e dettagliato soprattutto il tema del DSU.

[2] Un paio di Regioni hanno dato una diversa interpretazione alla norma ministeriale, per cui applicano l’importo massimo di tassa DSU agli studenti con ISEE superiore a 31.497,57 euro (Veneto) o 30.187,06 euro (Liguria).

[3] Questa legge è stata abrogata dal d. lgs. 68/2012.