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Corriere: Bologna, via libera dei pm al 10 politico ai bambini

Scuola Chiesta l’archiviazione dopo la denuncia di un parlamentare del Pdl. Le 27 maestre contrarie alle nuove pagelle. «Il reato non c’è»

09/04/2009
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Corriere della sera

Caduti gli estremi per l’abuso d’ufficio, ma resta il procedimento amministrativo per un’azione disciplinare

BOLOGNA – Dare 10 a tutti gli alunni e in tutte le materie non è reato. Ne è convinta la Procura della Repubblica di Bo­logna nell’inchiesta aperta sul­la clamorosa forma di protesta dei maestri della scuola ele­mentare «Longhena», quartie­re Colli del capoluogo emilia­no. Una protesta contro la nor­ma introdotta dalla Riforma Gelmini, che ha riportato il vo­to numerico nelle pagelle, scat­tata in occasione della chiusu­ra del primo quadrimestre, lo scorso 11 febbraio. Creando una mole di polemiche, non solo a Bologna.

Il procuratore reggente Sil­verio Piro e il sostituto Luigi Persico hanno deciso di chie­dere al giudice l’archiviazione del procedimento. A loro dire, nel comportamento dei mae­stri e delle maestre delle Lon­ghena non sono ravvisabili profili penali. L’inchiesta era nata dall’esposto del parlamen­tare bolognese del PdL, Fabio Garagnani. Mentre il mondo politico si infiammava, i pm aprirono un procedimento senza indagati, ipotizzando l’abuso d’ufficio. «Non è etica­mente corretto rifiutarsi di in­formare le famiglie soltanto perché non si condivide la po­litica del governo» protestò a sua volta il ministro dell’Istru­zione, Mariastella Gelmini, de­finendo «grave» il fatto di Bo­logna.

I maestri delle Longhena, che hanno avuto come «porta­voce » Marzia Mascagni, che fu anche responsabile Scuola per il Prc, hanno sempre negato che fosse «politica» la loro pro­testa. Il collegio dei docenti aveva deciso all’unanimità, trovando nei genitori degli alunni pressoché totale soste­gno, di dichiararsi contrario al­la reintroduzione dei voti. Mol­ti di loro non li avevano mai dati e potevano dunque trovar­si in difficoltà nel decidere se un bimbo fosse da cinque piut­tosto che da otto. Non erano infatti stati ancora emanati i criteri per un’uniforme appli­cazione. Dunque avrebbero proceduto scrivendo i giudizi. Nel giorno degli scrutini arri­vò invece un ordine di servi­zio che obbligava ad esprime­re i voti in decimi. Pur di non disattendere la circolare e per non incorrere in sanzioni, i maestri di 13 classi su 15 die­dero 10 a tutti, in tutto, affi­dando la valutazione vera e propria ai contestuali vecchi giudizi. Un voto che nel dibat­tito generale comunque diven­tò un «10 politico». «Ogni bambino — spiegò Mascagni – ha fatto progressi e ha rag­giunto degli obiettivi». Ecco il perché di un 10 che, comun­que, sarebbe stato dato solo in occasione del primo quadrime­stre, a causa del pochissimo tempo a disposizione per valu­tare diversamente. «Volevamo solo essere seri. Preferivamo fare un anno di sperimentazio­ne e di studio, per poter fare tabelle con voti dati in manie­ra consapevole» è il ragiona­mento della Mascagni.

Secondo gli inquirenti, in questa logica, in questo com­portamento non ci sono gli estremi dell’abuso d’ufficio, perché i maestri non hanno procurato un «ingiusto vantag­gio patrimoniale» per sé o un «ingiusto danno» ad altri. In­nocenti, dunque. Penalmente, è ovvio. Resta in piedi il proce­dimento amministrativo, aper­to con la contestazione di ad­debito a 27 su 36 maestri, pri­mo atto di un procedimento disciplinare. A difesa dei mae­stri del «10 per tutti», a parte un gran numero di colleghi di tutta Italia, si è schierata pres­soché tutta la sinistra. Contro, i partiti di governo e l’Udc, che contestano in primo luogo «la mancanza di rispetto per le re­gole a chi dovrebbe insegnar­le ». Un giudizio, dunque, nega­tivo almeno come un 5.

Giampiero Moscato