FLC CGIL
Contratto Istruzione e ricerca, filo diretto

https://www.flcgil.it/@3848045
Home » Rassegna stampa » Rassegna stampa nazionale » Corriere: «Ricerca, troppi favoritismi» Science apre il caso Italia

Corriere: «Ricerca, troppi favoritismi» Science apre il caso Italia

La rivista Usa: più trasparenza nella gestione dei fondi Finanziamenti Il Nobel Capecchi: se il Paese non investe rischia la crisi

19/05/2008
Decrease text size Increase text size
Corriere della sera

Rilanciata la petizione che 1.500 ricercatori hanno presentato a Napolitano.
Ignazio Marino: il 10% dei fondi agli under 40

MILANO — La rivista scientifica americana Science, nell'ultimo numero (16 maggio), affronta il tema della ricerca in Italia. In particolare sulle staminali, ma in generale su come vengono distribuiti i pochi fondi pubblici. E titola: «Richiesta di trasparenza». Nella foto, il presidente Giorgio Napolitano e il primo ministro Silvio Berlusconi. Un'anomalia per l'apolitico Science.
Che rilancia la petizione sottoscritta da 1.500 ricercatori italiani e inviata a Napolitano. Rafforzata dall'editoriale sul Sole 24 Ore (da cui Science
prende spunto) dell'economista Andrea Ichino contro i «finanziamenti a pioggia». Insomma «pochi soldi e distribuiti secondo parametri politici o favoritismi», segnala Science parlando di «rivolta» della scienza italiana. Quale la soluzione? «La stessa in vigore per i fondi pubblici negli Stati Uniti: si valutano i progetti, si selezionano, si verificano nella loro evoluzione ». E i soldi sono nominali, affidati alla responsabilità di chi presenta il progetto. «Trasparenza, nessun conflitto di interessi nell'assegnazione dei fondi, meritocrazia», è la formula giusta secondo Science. Stessa proposta viene dal genetista Mario Renato Capecchi, premio Nobel per la medicina 2007. Statunitense di origine italiana. E' nel nostro Paese, per conferenze e onorificenze: a Bologna, a Padova. «Se l'Italia non investe in ricerca — dice —, presto si potrebbero avere grossi problemi economici». Si riferisce alle staminali ma il discorso vale per tutto. Il motivo? «Non essere allineati al momento della ricerca teorica e nella successiva fase delle applicazioni pratiche significa essere tagliati fuori dai processi di produzione — risponde —. E un Paese che non è al passo con la ricerca deve poi aspettare che arrivino le innovazioni dall'estero, ma questo significa non essere più competitivi in un mondo che cambia a grande velocità». Insomma, «non investire in ricerca si riflette, e aggrava, la crisi economica».
Capecchi rafforza i concetti di Science:
«Una cosa che gli Stati Uniti fanno davvero bene è quella di dare agli scienziati più giovani delle opportunità; in Italia invece i soldi vanno ai leader dei settori della ricerca e filtrati giù per la piramide dello staff. Non c'è alcuna possibilità per il giovane ricercatore brillante di farsi notare». Il senatore Ignazio Marino, chirurgo che negli Stati Uniti ha lavorato per anni, una soluzione l'ha trovata: «Nell'ultima Finanziaria ho fatto introdurre una norma rivoluzionaria: il 10 per cento delle risorse per la ricerca (pari a 81 milioni di euro) devono essere attribuite per merito a ricercatori al di sotto dei 40 anni e nominalmente. In base a progetti valutati da una commissione internazionale composta da 10 giovani scienziati, 5 italiani e 5 stranieri». La commissione è stata insediata lo scorso 4 aprile ed è presieduta da Monica Buzzai, 37 anni, biologa molecolare che lavora alla
North Western University di Chicago. «Questo è il primo passo per cambiare ma ora va applicato», aggiunge Marino. Peraltro il nostro Paese non attira nemmeno ricercatori dall'estero. I dati 2007 di Farmindustria sono eloquenti. In Italia solo tre occupati su mille sono ricercatori, rispetto ai 6 dei Paesi dell'Ue (per esempio 8 in Francia, 7 in Germania, 6 in Gran Bretagna). E si riscontra un rapporto deficitario fra ricercatori che vanno all'estero e stranieri che arrivano nel nostro Paese: sono solo il 4,3% rispetto a una media degli altri Paesi che è del 17,5%. «Questo nonostante le aziende abbiano aumentato negli ultimi 5 anni il numero di addetti in ricerca e sviluppo, passando dal 7,4% all'8,7% dell'occupazione nel settore», dice Sergio Dompé, presidente di Farmindustria. Ma occorrono anche più fondi da investire. La proposta del neosenatore Umberto Veronesi è chiara: «Aumentare la percentuale del Pil da dedicare alla ricerca: attualmente in Italia siamo allo 0.9-1, bisogna almeno arrivare all'1.5. Media europea».
Mario Pappagallo